Giudizio: 8/10
Ogni situazione che si presenta ( o si svela) e si perpetua nella Cina moderna assume sempre i caratteri di qualcosa di enorme , inimmaginabile, soprattutto a causa della sterminata popolazione che abita quel paese e per la sua trasformazione inarrestabile a ritmi vertiginosi che porta con sè sempre delle aberrazioni: il problema dei neonati disabili abbandonati, ci informano i titoli di coda di Baby, ha assunto le dimensioni di una vera e propria piaga sociale intorno alla quale il regista cinese Liu Jie, attivo nel cinema ormai da quasi venti anni, costruisce il suo ultimo lavoro.
Baby è infatti il coraggioso tentativo di affrontare la tematica senza tinte melodrammatiche e senza troppi risvolti sociali pretestuosi e per farlo Liu Jie decide di utilizzare la prospettiva della protagonista Jiang Meng una ragazza che fu abbandonata per le sue gravi malattie alla nascita e che dopo aver subito numerosi interventi si salvò e fu affidata ad una famiglia.
La ragazza ormai diciottenne , per le leggi cinesi che regolano l'affido, deve lasciare la famiglia che la ha adottata sebbene sia lei che la anziana e paretica madre vorrebbero continuare a vivere assieme.
Avendo trovato lavoro presso l'ospedale, Jiang Meng scopre che c'è una neonata i cui genitori hanno deciso di non dare l'autorizzazione all'intervento chirurgico che potrebbe salvarla, preferendo per lei la morte piuttosto che una vita tribolata e infelice; Jiang Meng vede in quella piccola se stessa e intraprende una lotta contro tutto per cercare di salvarle la vita anche a rischio di pagare conseguenze penali gravissime, perchè salvare la neonata sarà per lei come salvare sè stessa di nuovo.
Lungi dall'essere un film che sfrutta un problema sociale molto serio e che crea emozione e sdegno per costruire la sua struttura narrativa, Baby è invece un coraggioso esempio di cinema civile, quello che una volta si definiva cinema socialmente impegnato; la scelta di scrutare nella coscienza cinese attraverso gli occhi di una giovane che ha percorso il calvario comune solo ai più fortunati tra i neonati abbandonati, permette al regista di poter prendere di petto le problematiche legali, quelle più tipicamente sociali, l'atteggiamento della società verso i disabili, la difficoltà dei disabili stessi (espressa attraverso quelle che sono le difficoltà che incontra la protagonista ) a trovare un lavoro e a realizzarsi, la tendenza a ghettizzarsi da parte dei giovani disabili dalla nascita , come quelli presso cui Jiang Meng trova ospitalità una volta costretta a lasciare la casa della madre adottiva, il concetto molto statalista e paternalista di farsi strada con i certificati che attestano la disabilità per ottenere il lavoro ; possiamo ben dire che il resoconto che fa il regista è una cascata di problematiche sociali che concorrono a creare il corposo tema nella sua interezza e complessità.
Il racconto però non si appesantisce, nonostante la messe di tematiche che introduce durante il suo percorso, anzi la regia tende sempre ad evitare gli inciampi, spesso ricorrendo ad un taglio simil-documentaristico, proprio per descrivere nella maniera più aderente la realtà.
Ma c'è all'interno di Baby però un forte impulso umanistico ( c'è Hou Hsiao Hsien come produttore esecutivo...) che si traduce in impegno civile finalizzato a gridare lo sdegno di un società che non può più tollerare un abominio del genere di cui appare impossibile trovare anche solo una minima giustificazione e comprensione, anche a costo di cadere sotto le cesoie della censura, sebbene Liu tutto fa tranne che lanciare accuse di stampo politico o sociale; il suo è più un lavoro di cronaca , di svelamento di una tematica nascosta e ignorata, di coscienza umanistica .
Raccontare queste zone d'ombra di una società , che ancora rimane ancorata a tradizioni antichissime nonostante le vette raggiunte in breve tempo, costituisce l'atto di civiltà di Baby, un film che sa discostarsi in maniera più che netta da gran parte del cinema non solo cinese , ma di ogni continente, un cinema realmente al servizio della civiltà.
Autentica mattatrice dl film è la diva Yang Mi, più nota in patria per le sue recenti performance in serie televisive di gran successo, ma che in questa circostanza dimostra di avere una stoffa notevole: la capacità con cui disegna la sua protagonista, vittima ed eroina, fragile emotivamente e decisa fino all'irreparabile nella sua battaglia, è dote da grande e sensibile interprete.
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