Giudizio: 8.5/10
L'opera prima della regista kosovara Antoneta Kastrati, presentata al Festival di Toronto, possiede una forte impronta autobiografica, sebbene , come ci tiene a precisare la regista stessa, la storia sia di pura fantasia; ma la regista , allora adolescente, perse nella Guerra del Kossovo sia la madre che la sorella e quindi ben conosce il trauma che sta al centro del racconto di Zana e della sua protagonista Lume.
Ambientato nella campagna kosovara, in un quadro bucolico che ben esprime la forte impronta agricola del paese, le pellicola vede Lume al centro della narrazione: da ormai molti anni ha perso la figlia di quattro anni durante la guerra, le leggi arcaiche del villaggio e della società tradizionale patriarcale impongono alla donna di svolgere come unico ruolo quello di procreare per tramandare la stirpe cosa che a Lume e al marito Ilir non riesce nonostante dal punto di vista medico nulla sembra poter ostacolare la gravidanza.
Essendo la società kosovara rurale molto legata a misticismi e stregonerie varie Lume viene sottoposta al vaglio di fattucchiere e guaritori vari, ognuno dei quali ha la sua ricetta per risolvere il problema cui la donna pur di assecondare i voleri della suocera e del marito si sottopone, spinta anche dalla subdola minaccia di venire ripudiata.
Nessuno sembra voler comprendere che il malessere di Lume ha radici troppo profonde, una sindrome da stress post traumatico che la attanaglia da troppo tempo e che le fa vivere incubi notturni e visioni orrorifiche sempre legate al trauma della perdita della figlia.
Quando poi , dopo tanto, e da parte di Lume neppure troppo convinto, provarci , la gravidanza si presenta, i disagi della donna , prossima da una nuova maternità diventano ancora più profondi e si sublimano in un finale agghiacciante per molti versi ma ricchissimo di tragica poesia.
In Zana si vede solo un frammento brevissimo, qualche secondo forse, di guerra, ma raramente abbiamo visto un'opera così tragicamente di denuncia dei danni psicologici che un conflitto bellico induce sulle persone, a conferma che per potere trattare il tema della guerra in maniera profonda ed efficace , non servono necessariamente cannonate e bombe; anzi Antoneta Kastrati crea due livelli distinti su cui il racconto si muove: uno superficiale , rassicurante, rappresentato da una campagna bellissima, da animali al pascolo, prati in fiore, anche grazie all'eccellente fotografia della sorella Sevdije Kastrati, una vita tranquilla insomma ed uno più profondo rappresentato in maniera esemplare dal proiettile, residuato bellico, che Lume trova sotto terra, nel quale si muove il territorio oscuro dell'anima della protagonista, ma in effetti di tutte le vittime della guerra e del paese stesso, popolato da fantasmi e da incubi pronti ad accanirsi sulle carni e nella psiche martoriata di chi ha subito il trauma; questi due livelli si alternano , si intersecano e sono osservati attraverso la prospettiva della protagonista , l'unico che la regista sceglie per raccontare una storia che va ad indagare sul senso profondo della maternità sul legame tra madre e figlio e sulle conseguenze della rottura traumatica di questo legame.