Giudizio : 8/10
L'inesauribile verve cinematografica sostenuta da una vitalità sorprendente per un uomo che ha comunque superato già da un po' la soglia degli ottanta anni e che ha alle spalle ben 27 lungometraggi, più una decina di documentari, di cui 12 negli ultimi 23 anni, all'invidiabile ritmo di uno ogni due anni, fa di Marco Bellocchio uno degli autori italiani più longevi oltre che più stimati, capace di offrire ancora sprazzi di Cinema potente e vitalissimo.
L'ultima fatica, presentata alla rassegna di Cannes di quest'anno, è opera che rimane ben salda nei canoni ormai ben delineati del Cinema di Bellocchio, a conferma di una rigorosa coerenza da parte del regista , che contribuisce a farne una delle voci più alte del cinema europeo e mondiale.
Ispirandosi liberamente ad un testo di Daniele Scalise del 1996 ( prontamente ristampato), dal titolo Il caso Mortara. La vera storia del bambino ebreo rapito dal papa, Bellocchio mette in scena un'opera dallo spessore robusto, durissima , senza indugiare però in facili orpelli, e che soprattutto, mostra la modernità del suo cinema ( di cui parleremo dopo) nell'affrontare una storia che dimostra come l'intolleranza, l'integralismo e l'ottusità abbiano avuto già a partire dai secoli passati un ruolo fondamentale nella società civile.
Il fatto, realmente accaduto a metà del 1800 ha per protagonista un bambino ebreo , sesto genito di una famiglia di Bologna, il quale avendo subito un battesimo improvvisato da parte della serva che vedendolo malato e temendone la morte col successivo approdo al Limbo, come la Chiesa ha sempre paventato per i neonati non battezzati, viene rapito all'età di sei anni dai gendarmi pontifici, dietro soffiata all'Inquisitore da parte della serva stessa, tipico esempio di cattolica becera, baciapile e ipocrita, per una manciata di denari; naturalmente il tutto nella perfetta osservanza delle leggi clericali (ricordiamo che Bologna all'epoca faceva parte dello Stato Pontificio) da parte dell'alto prelato capo dell'Inquisizione: un battezzato infatti secondo la legge deve avere una educazione cristiana lontana dalle diaboliche superstizioni giudaiche.
Il ragazzino viene quindi trasferito a Roma dove nel collegio riceverà l'indottrinamento e , visto che l'opinione pubblica di tutta Europa aveva mostrato il suo sdegno per l'accaduto, Pio IX, già in evidente difficoltà politica, divenne il protettore personale del ragazzino, a sottolineare l'inviolabilità della legge , diretta emanazione di quella divina.
La storia del ragazzino Edgardo solcherà gli eventi storici di quegli anni, fino alla breccia di Porta Pia e alla unione d'Italia e alla morte di Pio IX, dopo un regno pluridecennale, per approdare ad un finale che suona come resa dei conti con la sua famiglia e con le sue origini, dimostrazione di una violenta coercizione psicologica e morale imposta dalla religione quando essa guarda più alla sacralità del suo essere che alla profondità dell'essere umano.
Bellocchio, lo sappiamo bene, è sempre stato sin dall'inizio della sua attività di regista molto critico con la religione e con l'autorità ecclesiastica, lasciando in secondo piano la vera essenza filosofica della religione e la presenza del divino, molto più interessato a dimostrare la violenza, il sopruso, la cattiveria e l'immoralità (intesa in senso umanistico) dell'applicazione della legge da parte dell'istituzione ecclesiastica: un mangia preti, come si sarebbe detto un volta, semplicemente una persona che semmai aspirerebbe eventualmente ad un rapporto più diretto con Dio, piuttosto che mediato da personaggi di dubbia moralità e di scarsissima apertura mentale.