Giudizio: 7/10
Ancora relativamente lontano dalla fatidica soglia dei 60 anni, Francois Ozon si afferma in maniera definitiva come uno dei più prolifici registi , grazie ai suoi 22 lungometraggio e ad un'altra ventina di corto e mediometraggi; il paragone viene quasi spontaneo con l'inarrivabile Hong Sangsoo che del più prolifico del mondo tiene ben stretta la palma.
La cadenza annuale che sembra essere diventata un metronomo cinematografico per il regista parigino porta persino a situazioni per cui questo Mon Crime, presentato all'ultimo Festival di Cannes esce nelle sale ben prima del penultimo lavoro, quel Peter Von Kant che porta la data del 2022 e che invece vede la luce nelle sale italiane in questi giorni: situazione che molto spesso capita ai registi più prolifici oltre che più stimati, quale è appunto Ozon.
Mon Crime, film che in tutto e per tutto è un lavoro votato ad un femminismo, magari un po' snob , ma certamente sentito e attuale, rimanda per molti aspetti ad altri lavori di Ozon ( Potiche e 8 Donne e un mistero) in cui questi esplora con occhio divertito e curioso il mondo femminile.
In Mon Crime sebben lo sguardo rimanga apparentemente leggero e sostenuto da toni francamente da commedia classica alla francese, la tematica è però ben più sostanziosa: strascici del metoo, la violenza ( soprattutto psicologica) sulle donne, la riflessione morale sulle attenuanti di fronte al sopruso subito e vendicato con la forza, la denuncia di una ambiente dello spettacolo ben poco propenso a dare una possibilità a tutti se non dietro qualcosa di utile di rimando.
Mom Crime si apre con una scena che per molti versi sembra derivare da un prologo chabroliano o da racconto alla Maigret: Parigi, anni trenta, vediamo una giovane donna fuggire sconvolta da una lussuosa casa con splendido giardino; nel frattempo in un'altra casa , una catapecchia più che altro, vediamo un'altra giovane donna alle prese con un omaccione venuto a reclamare il pagamento degli affitti arretrati: le due ragazze si ritrovane nella catapecchia ed il film costruisce così il filone principale.
Madeleine è una giovane attrice, neanche tanto talentuosa, alla ricerca di una parte che possa avviarla alla professione e che ha appena subito l'assalto del solito produttore predatore, ha una specie di fidanzato che però ben si guarda dal rendere pubblica la loro relazione pena l'avversione della ricchissima famiglia; Pauline è la sua amica del cuore ( e forse anche qualcosa di più...) con cui condivide l'appartamento, avvocatessa alle prime armi in cerca di qualcuno da difendere per guadagnare qualche soldo.
Un quadro ben delineato in brevi passaggi da Ozon: due giovani donne in cerca di affermazione che debbono scontrarsi con un mondo di squali e maschi cinici.
Quando Madeleine viene accusata di avere ucciso il produttore nella sua villa per trafugare denaro, la ragazza dapprima insorge dichiarandosi innocente, ma poi anche dietro consiglio dell'amica avvocata confesserà il crimine, dando il via ad una poderosa ascesa nell'olimpo del cinema, grazie anche ad un processo, in cui viene assolta perchè la sua è stata leggittima difesa, che la porta all'attenzione di tutto il paese.
Naturalmente avendo le bugie le gambe corte, nel bel mezzo dell'ascesa trionfale di Madeleine e di Pauline, la verità viene a bussare alla porta.
Mon Crime-La colpevole sono io è lavoro che offre varie prospettive da cui potere essere osservato: come ha già ampiamente dimostrato, Ozon è un esteta del Cinema di rara sensibilità e capacità, per cui il racconto si svolge tra abiti, situazioni, arredamenti che richiamano alla perfezione lo stile degli anni trenta, in più come sa maneggiare la commedia lui ci riescono ben pochi, dando libertà ai suoi attori e avendo come riferimento i classici non solo francesi ma anche americani, ed infine affronta in maniera tutt'altro che pesante la tematica femminista, quella predominante nel film, in cui descrive una condizione che apparteneva certo a quegli anni ma che di fatto è presente ancora oggi come ben sappiamo; infine sembra voler concludere con una riflessione amara: per poter farsi largo bisogna usare la furbizia, i metodi poco ortodossi , addirittura il reato, perchè questo è l'unico modo che una donna ha per emergere, costruendo con tale assurto anche la sua assoluzione morale.
Mon Crime è film che diverte con intelligenza, lancia un inno alla sorellanza, ha situazioni spassose , presenta una serie di personaggi , soprattutto quelli di contorno, che bucano lo schermo anche grazie alla presenza di due colonne del cinema francese: Fabrice Luchini nel ruolo di un giudice inetto e pusillanime e Isabelle Huppert , strepitosa nel ruolo di una attrice del cinema muto che tenta di rimanere a galla nel nuovo mondo della celluloide.
Indubbiamente il film diverte e la vena satirica di Ozon lo arricchisce, però si ha la perenne sensazione di vedere qualcosa di ormai già visto tante volte, peccando quindi di poca originalità, sebbene la bravura del regista nel maneggiare il genere faccia sì che Mon Crime è lavoro che comunque ha il suo valore.
Detto di Luchini e di Isabelle Huppert, vanno segnalate le due giovani attrici protagoniste: Nadia Tereszkiewicz (Madeleine) , già premiata anni fa come promessa del cinema francese, ha la giusta ingenuità iniziale che si trasforma in scaltrezza con l'incedere del racconto, Rebecca Marder (Pauline) funziona bene come puntello per l'altra protagonista.
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