Giudizio: 7/10
In una epoca imprecisata e in un luogo indefinito si sviluppa il racconto di In the Shadows , opera del regista turco Erdem Tepegoz: un luogo carico di rovine desolate e marcescenti, ferraglia abbandonata a se stessa, palazzi che si sbriciolano, raccolti intorno ad una miniera dove come operai da epoca di Rivoluzione Industriale, si muove una umanità silenziosa, sporca , abbrutita, controllata in ogni suo gesto da un sistema di telecamere arrugginite e decadenti anch'esse e comandata da una voce metallica che ripete in ogni occasione possibile di tornare al proprio posto di lavoro; chi si ammala, dopo un grottesco esame condotto con apparecchiature fatiscenti e cadenti, viene allontanano dal posto di lavoro.
In questo limbo per poveri disgraziati che potrebbe essere un passato remoto come un futuro post apocalittico che regge la sua esistenza sulle rovine del mondo moderno è proibito ammalarsi quindi, ma anche opporre la seppur minima resistenza; eppure tutti i personaggi lavorano come schiavi, temendo di perdere il lavoro, come se la loro vita non avesse altre prospettive che quella di far funzionare una struttura industriale annessa alla miniera.
Il solo sospettare qualcosa di non funzionante , come imprudentemente fa il capelluto Zait che si affida la riparatore ufficiale per un problema con un pezzo della macchina su cui lavora, ha delle conseguenze letali: cibo ridotto, acqua tagliata, la minaccia della dismissione come manodopera dalla fabbrica, l'avversione degli altri lavoratori che vedono nel ribelle qualcuno che nuoce alla loro esistenza.
Procedere oltre nella sinossi sarebbe operazione inutile oltre che sbagliata perchè molto di quello che c'è da raccontare fa parte dell'esperienza visiva e della struttura filosofico-allegorica che impregna In the Shadows.
Il film di Tepegoz sfugge a classificazioni di genere e ha l'indubbio pregio di offrire uno sguardo originale, distopico e fortemente pessimista sull'umanità raffigurata nel film come un insieme di personaggi privati di ogni forma di socialità e di comunicazione, immersa nei detriti e nelle rovine di una società che di fatto non esiste più, almeno nelle sue sfere dirigenziali: solo l'operaio esiste, manipolato da una voce e da telecamere perennemente accese dietro cui non si sa bene chi possa esserci.