mercoledì 30 dicembre 2020

In the Shadows ( Erdem Tepegoz , 2020 )

 




In the Shadows (2020) on IMDb
Giudizio: 7/10

In una epoca imprecisata e in un luogo indefinito si sviluppa il racconto di In the Shadows , opera del regista turco Erdem Tepegoz: un luogo carico di rovine desolate e marcescenti, ferraglia abbandonata a se stessa, palazzi che si sbriciolano, raccolti intorno ad una miniera dove come operai da epoca di Rivoluzione Industriale, si muove una umanità silenziosa, sporca , abbrutita, controllata in ogni suo gesto da un sistema di telecamere arrugginite e decadenti anch'esse e comandata da una voce metallica che ripete in ogni occasione possibile di tornare al proprio posto di lavoro; chi si ammala, dopo un grottesco esame condotto con apparecchiature fatiscenti e cadenti, viene allontanano dal posto di lavoro.
In questo limbo per poveri disgraziati che potrebbe essere un passato remoto come un futuro post apocalittico che regge la sua esistenza sulle rovine del mondo moderno è proibito ammalarsi quindi, ma anche opporre la seppur minima resistenza; eppure tutti i personaggi lavorano come schiavi, temendo di perdere il lavoro, come se la loro vita non avesse altre prospettive che quella di far funzionare una struttura industriale annessa alla miniera.



Il solo sospettare qualcosa di non funzionante , come imprudentemente fa il capelluto Zait che si affida la riparatore ufficiale per un problema con un pezzo della macchina su cui lavora, ha delle conseguenze letali: cibo ridotto, acqua tagliata, la minaccia della dismissione come manodopera dalla fabbrica, l'avversione degli altri lavoratori che vedono nel ribelle qualcuno che nuoce alla loro esistenza.
Procedere oltre nella sinossi sarebbe operazione inutile oltre che sbagliata perchè molto di quello che c'è da raccontare fa parte dell'esperienza visiva e della struttura filosofico-allegorica che impregna In the Shadows.
Il film di Tepegoz sfugge a classificazioni di genere e ha l'indubbio pregio di offrire uno sguardo originale, distopico e fortemente pessimista sull'umanità raffigurata nel film come un insieme di personaggi privati di ogni forma di socialità e di comunicazione, immersa nei detriti e nelle rovine di una società che di fatto non esiste più, almeno nelle sue sfere dirigenziali: solo l'operaio esiste, manipolato da una voce e da telecamere perennemente accese dietro cui non si sa bene chi possa esserci.

domenica 27 dicembre 2020

Beyond the Dream / 幻爱 ( Kiwi Chow / 周冠威 , 2020 )

 




Beyond the Dream (2019) on IMDb
Giudizio: 8/10

Ancora una volta, come spesso accaduto negli ultimi anni, la cinematografia di HongKong, per molti versi in crisi profonda, è capace di imporsi grazie ad un lavoro che racconta di situazioni disagiate; laddove ogni anno era il noir , l'action movie o la commedia a primeggiare, da un po' di tempo trova invece spazio e si impone una tipologia di film che in altri tempi sarebbe stato definito " di impegno sociale" : anziani disabili, malati mentali, personaggi ai margini della società pericolosamente in bilico sulla quella esilissima linea di confine che separa il cosiddetto normale dall'anormale sono infatti i protagonisti di questa piccola rinascita del cinema di Hong Kong.
Beyond the Dream appartiene ai diritto a questa categoria di film; in più il regista Kiwi Chow cinque anni orsono fu uno dei giovani registi protagonisti di quel Ten Years , lavoro corale che vide la luce nel pieno della rivolta degli ombrelli gialli e che proiettava nel futuro lo sguardo sul destino incerto di una Hong Kong in quei momenti ribollente di proteste; il mediometraggio di Chow che faceva parte del lavoro corale risultò il più politico e duro mostrando i connotati ideologici e culturali del regista.
In Beyond the Dream Chow affronta il tema della malattia mentale, lungi però dall'analisi scientifica o comportamentale, bensì nell'ottica della sua fenomenologia nella vita di tuitti i giorni.



Lok è un giovane che da poco è uscito dal tunnel della malattia mentale a causa della sua personalità schizoide, il quale riconoscendo bene i segni  del disagio mentale soccorre in strada una giovane donna in preda ad una crisi; mentre il resto delle persone riprende la scena e si lascia andare a dileggi contro la malcapitata Lok , aiutato da una ragazza sconosciuta la conforta .
Qualche tempo dopo , con grande stupore scopre che la giovane che si è prestata ad aiutare la donna in strada abita nel suo stesso stabile, vittima di un padre violento e ubriacone, inizia a frequentarla, cerca di proteggerla dal padre e instaura con lei una relazione affettuosa; purtroppo per Lok però quella donna non è altro che la sua proiezione del disagio  psicologico ,motivo per cui finisce nuovamente ricoverato per il riacutizzarsi della malattia.
Con enorme sorpresa in ospedale scopre che quella donna che lo aiutò e della quale lui credette di innamorarsi è una psicologa che lo prende in cura in quanto interessata ad uno studio sul disturbo di cui è affetto Lok.
Come si piò facilmente capire la vita reale e quella immaginata dal ragazzo si trovano a correre su binari pericolosamente paralleli rendendo la salute mentale di quest'ultimo instabile, inoltre Yip Lam, la psicologa, ha anch'essa un passato turbolento e una serie di disturbi psicologici; il rapporto tra i due diventa quindi una bomba ad orologeria pronta ad esplodere, tra coercizioni morali e professionali, sensi di colpa, vita reale che si confonde col sogno o con l'immaginario patologico, fino ad un finale al limite del poetico e dell'onirico ma non propriamente ottimistico.

martedì 22 dicembre 2020

The Woman Who Ran ( Hong Sangsoo , 2020 )

 




The Woman Who Ran (2020) on IMDb
Giudizio: 7.5/10

Approfittando dell'assenza per qualche giorno del marito , dal quale non si separa mai perchè come dice spesso citando il marito stesso "chi si ama deve stare sempre insieme" , Gamhee decide di far visita a vecchie amiche: una che vive in una zona periferica residenziale insieme ad una amica, un'altra che ha appena rotto una relazione sentimentale e che a suo dire viene perseguitata da un uomo conosciuto in un bar e col quale ha avuto solo un rapporto di una notte ed un'altra ancora , incontrata, par di capire, casualmente e che ha qualcosa da farsi perdonare da Gamhee.
Tre quadri , statici, sublimazione assoluta dello stile di Hong Sangsoo, separati tra loro da un intermezzo musicale e dalla presenza impalpabile, a tratti patetica di un personaggio maschile; un lavoro di breve durata tutto incentrato su figure femminili, altra estremizzazione dello sguardo  del regista sempre più propenso ad indagare e a privilegiare l'universo femmineo.
Il processo di feminilizzazione iniziato da Hong già da qualche anno trova il suo caposaldo narrativo nella figura di Kim Minhee, attrice prediletta nonchè compagna di vita del regista , il suo tramite esploratore di un universo che il regista sembra prediligere, nei suoi dolori, nelle sue ambiguità, nella sua umana imperfezione.



Gli uomini che dominano i suoi primi film, quasi sempre personaggio descritti prevalentemente nei loro vizi e nella loro meschinità che rasenta l'abiezione, sono sempre più figure marginali, in The Woman Who Ran addirittura dei meri intermezzi fastidiosi come può esserlo un intruso; forse Hong considera se stesso un intruso del mondo femminile, ma il suo legame con Kim ne fa un osservatore privilegiato, grazie anche alla leggiadria e alla bravura della attrice.
Ther Woman Who Ran, come detto, si articola su tre quadri, quasi tutti in interni, nei quali i dialoghi, ancora più che negli altri lavori, sono il verso centro del film; gli argomenti e le tematiche affrontati sono quasi sempre appena accennati, quasi delle traccia lasciate lì artatamente in attesa che qualcuno decida di seguirle, perchè in effetti il minimalismo narrativo raggiunge in questa opera una essenzialità cinematografica semi assoluta sia come racconto che come tecnica di regia con una gamma di interpretazioni da sviluppare osservando piccoli segni , sguardi, mezze parole , silenzi che conducono assai spesso al dubbio che vuole diventare sottointeso.
Se la protagonista è al tempo stesso l'occhio del regista ma anche il suo oggetto di analisi, le altre amiche sono donne dalle quali emerge un qualche male di vivere , una qualche difficoltà a relazionarsi, anche se stavolta le immancabili bevute con conseguenti scene madre da osteria di borgata non ci sono e sono appena accennate come racconto.
Ma a ben guardare l'interesse di Hong si posa essenzialmente sulla protagonista, cioè sull'unico elemento che tiene insieme il racconto: è realmente una donna realizzata e felice come sembra e come non si stanca mai di affermare? e questo breve viaggio nel passato , alla ricerca delle vecchie amiche, cosa significa veramente , o forse più esattamente , cosa sottintende? E' forse lei la donna che fugge del titolo? 

martedì 15 dicembre 2020

Dwelling in the Fuchun Mountains / 春江水暖 ( Gu Xiaogang / 顾晓刚 , 2019 )

 




Dwelling in the Fuchun Mountains (2019) on IMDb
Giudizio: 8/10

Ambiziosa opera prima del poco più che trentenne regista cinese Gu Xiaogang, già dal titolo dimostra in maniera palese il suo riferimento e legame con la tradizione: Dwelling in the Fuchun Mountains è infatti una delle pochissime opere rimaste del pittore del XIV secolo Huang Gongwang appartenente a quella corrente pittorica che faceva del paesaggio rappresentato in una lunga striscia di immagini il centro del suo interesse; ed in effetti Gu cala il suo racconto, che si dipana lungo due anni, scanditi dallo scorrere delle stagioni, in un ambiente classico, pittoricamente efficace, tra fiumi che scorrono placidi, montagne, pescatori e storie famigliari.
Il racconto infatti riguarda una famiglia vecchio stampo, di quelle numerose, formatisi e accresciutesi nell'epoca in cui la legge sul figlio unico ancora non era stata introdotta nel paese: attraverso i 48 mesi vediamo le dinamiche famigliari che ruotano intorno alla vecchia matriarca, i conflitti tra fratelli, il difficile rimanere a galla di fronte alle difficoltà economiche, ma anche i problemi dei giovani, la tradizione che fa a pugni con la modernità di vedute di cui sono impregnate le nuove generazioni.



Tutto il racconto però è perfettamente , e direi egregiamente, inserito in un contesto paesaggistico che rende omaggio a quello appunto stilizzato nell'opera pittorica che dà il titolo al film stesso: siamo a Fuyang che non è solo la città natale del regista, ma anche lo scenario dipinto nel quadro, oltre ad essere la patria di Yu Dafu importante poeta di inizio XX secolo che quei luoghi ha celebrato nelle sue opere; un contesto insomma che sprizza poesia e arte in ogni suo angolo ma che con la galoppante e impetuosa crescita del paese sta per essere inglobato nella espansione vorticosa di Hangzhou una delle più dinamiche , anche culturalmente , tra le nuove metropoli cinesi.
Ed ecco quindi che Gu, pur con le sue carrellate a piano sequenza  che cercano di riprodurre quasi tangibilmente il senso di srotolamento della storia e dei personaggi enfatizzando la bellezza dei luoghi, la tradizione poetica che racchiudono e la vita di tutti i giorni scandita dalle tradizioni millenarie, ci mostra il rischio di contaminazione inarrestabile che comporta l'inglobamento della provincia nella espansione della realtà urbana: case abbattute, operai al lavoro per rimuovere i detriti, piccoli segni del tempo passato ritrovati tra le macerie, siano essi lettere o piccoli oggetti; la poetica dell'elegia della montagna e del fiume che scorre lasciano il passo alla poetica terribile e violenta delle ruspe, della modernità che cerca di seppellire il peso ingombrante del passato e delle tradizioni in un paese in cui l'importanza del passato e delle millenarie usanza ha sempre avuto una valenza difficilmente riscontrabile altrove.

domenica 13 dicembre 2020

Moving On ( Yoon Danbi , 2019 )

 




Moving On (2019) on IMDb
Giudizio: 8/10

Dopo un folgorante esordio internazionale al Festival di Busan che è valso svariati riconoscimenti, bissati alla rassegna di Rotterdam e in altre di minor prestigio, l'opera prima della giovane regista coreana Yoon Danbi arriva anche in Italia attraverso gli schermi virtuali del Festival di Torino dove riceve il premio Fipresci a conferma del successo di critica ottenuto lungo tutto il 2020, anno che ha confermato una volta in più il grande valore artistico e la fulgida vitalità del cinema indipendente coreano che ha regalato in questi due anni lavori di gran pregio che arricchiscono una cinematografia, quella coreana appunto, nota soprattutto per la qualità dei suoi blockbuster d'azione o comunque delle grandi produzioni.
La giovane regista dimostra di conoscere molto bene il cinema di quelli che sono probabilmente  due tra i cantori delle storie famigliari più importanti del cinema asiatico: Moving On infatti mostra chiari, non sappiamo quanto voluti, ma innegabili , riferimenti ad Ozu e a Koreeda nel mettere al centro del racconto una vicenda famigliare osservata attraverso la prospettiva di una adolescente, Okju e del suo fratellino più giovane, Dongju ,ancora nel pieno della fanciullezza.



I due ragazzi si trasferiscono infatti col padre divorziato presso la grande casa dell'anziano nonno nella provincia coreana, per far fronte alle difficoltà economiche e risparmiare quindi i soldi per l'affitto; il nonno, un po' rimbambito, silenzioso e di salute malferma ha bisogno di assistenza e quindi poco dopo la sorella del padre li raggiunge nella grande casa.
Mentre per il piccolo Dongju questo cambiamento è vissuto quasi come una vacanza, Okju soffre dei normali sbalzi d'umore tipici della sua età accentuati da una situazione di insicurezza, nonostante i consigli che la zia, anch'essa prossima al divorzio, le propina con molto affetto.
Il vecchio nonno ha ormai preso la china discendente e i figli decidono di portarlo in una casa di riposo e vendere la casa, cercando così di sistemare le loro misere esistenze; sembra che solo i giovanissimi riescano a vedere oltre la miseria della vita dei loro genitori e capire l'importanza della perdita del nonno.
Tutto il film di Yoon ruota intorno al disfacimento della famiglia: è in rovina quella dei due giovani protagonisti, con un padre fallito che per campare spaccia scarpe taroccate e una madre che non si è mai fatta problemi a perseverare nella sua assenza, sta andando a rotoli quella della zia, che per lo meno non ha figli e quindi si sente in qualche modo consolata e meno oppressa, è in disfacimento , mutatis mutandi, la famiglia coreana, intesa nella sua forma istituzionale, come il centro e il cuore della società che si sta modificando troppo in fretta e che lascia alle spalle le sue tradizioni e il suo passato.
Il ritratto che ne fa la giovane regista è crudo nel suo realismo, ma al tempo stesso delicato, avendo scelto probabilmente proprio per questo di utilizzare lo sguardo dei due giovani ragazzi ; per tale motivo la realtà della famiglia coreana in decadenza risulta ancora più cruda e dolorosa, perchè quello che emerge non sono solo le ristrettezze economiche e la difficoltà a rapportarsi  all'interno della comunità famigliare, ma anche una certa meschinità  se non addirittura un egoismo bieco che travalica il rispetto reciproco.

sabato 12 dicembre 2020

Camp de maci [aka Poppy Field] ( Eugen Jebeleanu , 2020 )

 




Poppy Field (2020) on IMDb
Giudizio: 5.5

E' dura la vita per gli omosessuali nella Romania che si avvicina a piccoli passi all'integrazione europea a ormai 30 anni dalla caduta del regima comunista e al successivo avvicinamento all'Europa Occidentale: in Poppy Field ( Camp de maci il titolo originale), opera prima del regista rumeno Eugen Jebeleanu, Cristi è un poliziotto gay fidanzato con un giovane francese e che vive la sua condizione di omosessualità in maniera piuttosto tormentata causando anche delle incomprensioni col suo compagno, chiaramente dalle vedute più ampie. 
La sua condizione che crea evidente disagio nell'uomo trova una improvviso aggravamento, quasi un break point quando Cristi insieme ad altri colleghi è inviato a sedare un confronto animato in un cinema dove viene proiettato un film a tematica lesbo tra attivisti gay e un manipolo di oltranzisti religiosi  pronti a lanciare anatemi sugli omosessuali e su chi si avvicina a loro anche solo per vedere un film.
La serata , con il confronto di idee inevitabilmente pesante per il protagonista, diventa una analisi della propria condizione , del carico di paure , di sensi di colpa e di tormento che si agitano dentro di lui e soprattutto dal timore che il suo essere gay venga alla luce, in un ambiente in cui il machismo domina.



L'opera prima del regista rumeno soffre di una pesante problematica di fondo :  la pretenziosità con la quale il tema viene trattato, quasi un tentativo di alleggerire il peso che la condizione di omosessualità comporta in una società evidentemente ancora impregnata di omofobia e di grettezza; questo contrasta con una messa in scena che invece ha i suoi pregi soprattutto dal punto di vista tecnico grazie ai lunghi piani sequenza e alla capacità di sfruttare gli spazi che dimostra la provenienza dal teatro del regista.
Il risultato che Poppy Field ci mostra è però un film nel complesso troppo verboso che  spesso affoga l'analisi sociologica e i tormenti che derivano dalla fragile condizione del protagonista in disquisizioni infinite e prive di sostanza.
La dicotomia che sfocia quasi nella schizofrenia in cui vive il protagonista che si basa sul suo essere gay calato in una società e in un ambiente lavorativo tutt'altro che tolleranti doveva essere trattata con maggiore attenzione essendo di fatto la vera tematica centrale del film oltre che quella più ricca di spunti narrativi.

mercoledì 25 novembre 2020

Sin senas particulares [aka Identifying Features] ( Fernanda Valadez , 2020 )

 




Identifying Features (2020) on IMDb
Giudizio: 8/10

Apre il Festival di Torino edizione 38, interamente online per la ben nota situazione di emergenza sanitaria, il primo lungometraggio della regista ,sceneggiatrice e produttrice messicana Fernanda Valadez: Sin senas particulares si presenta già bello carico di onori, avendo ricevuto riconoscimenti importanti , tra l'altro , a San Sebastian e al Sundance e al di là dell'indubbio valore artistico dell'opera è facile capire anche il perchè visto il tema trattato, quello dei desaparecidos messicani in fuga verso la terra promessa oltre il muro che divide il loro paese dagli USA, argomento tornato prepotentemente di moda per le recenti elezioni presidenziali americane.
Il film si guarda bene però dall'affrontare il problema da una prospettiva politica, semmai lo sguardo della regista si posa sull'aspetto più intimo e sociale, sull'essenza dell'uomo che anela ad una vita migliore fuggendo dalla povertà.
Il Messico in cui si svolge la storia è un paese dilaniato dalle problematiche sociali veicolate dalla lunga guerra ai narcos e allo stato di indigenza in cui vive larga parte del paese; la protagonista è la mamma di uno dei tanti giovani che ogni anno intraprendono la via del tentativo di introdursi negli USA clandestinamente, un traffico gestito da criminali senza scrupoli.



Quando qualche tempo dopo essere partito, non avendo la donna  notizie del figlio e del suo compagno di fuga, decide di sporgere denuncia alle autorità; mentre dell'amico con cui il ragazzo era partito ben presto si ritrova il cadavere in una fossa comune, del figlio di Magdalena si ritrova solamente una borsa e l'ipotesi è che sia stato bruciato e sepolto rendendo impossibile la sua identificazione; per la donna non rimane altro che accettare il presunto cadavere del figlio e mettere fine alle sue ricerche e al suo tormento. L'incontro all'obitorio con una donna che anch'essa deve riconoscere il figlio allontanatosi da casa molto tempo prima e che la incita a non arrendersi ad una verità molto parziale, porta Magdalena ad intraprendere una lunga ricerca nelle zone di confine tra Messico ed Usa per poter almeno sapere la verità "vera", scontrandosi con reticenze , omertà e paure.
Il film di Fernanda Valadez è quindi una lenta inesorabile ricerca da parte di una madre della verità e del destino del proprio figlio ed il finale tremendo, durissimo e drammatico, ricco di ambiguità morali e personali, ci lascia con l'amaro in bocca anche perchè rimane tragicamente ma molto efficacemente sospeso.
Il confine tra Usa e Messico è uno dei luoghi in cui il traffico umano trova la sua espressione più bieca e tragica e la descrizione, sempre molto posata, che ne fa la regista è quasi fuori dal tempo, con la storia che a tratti si tinge dei colori di una religiosità mista a tradizioni e a superstizione che molto spesso si incontra nelle pellicole del Centro-Sud America.

mercoledì 8 luglio 2020

Vertigo ( Jeon Gyesoo , 2019 )




Vertigo (2019) on IMDb
Giudizio: 8/10

Seoyoung è una trentenne designer che lavora come precaria in una azienda che ha sede in un grattacielo di Seoul; il suo status lavorativo le impone il rispetto delle rigide regole da caserma che regnano negli ambienti lavorativi coreani con inoltre il continuo ricatto della possibilità di essere assunta a tempo indeterminato , cosa che farebbe di lei una donna perlomeno appagata lavorativamente , anche se ormai fatta fuori nella vita sociale come possibile moglie e madre per le usanze coreane.
Con queste regole non scritte ma scrupolosamente applicate sul lavoro come retaggio di tradizioni che fanno da substrato per un classismo e un sessismo odioso, la donna riesce a convivere alla meno peggio, ha un rapporto clandestino con il capo che però non evolve verso una normale relazione tradizionale per la resistenza di quest'ultimo.
Seoyoung inoltre soffre di fastidiosi disturbi causati da un problema all'orecchio: acufeni, instabilità, sensazione di perdita di equilibrio che il grattacielo a vetri scintillanti dove lavora al 42° piano non aiuta certo a superare.


Ma è soprattutto nel suo profondo che la donna ribolle di una instabilità dolorosa che nasce dall'appartenere ad una famiglia distrutta dai conflitti parentali: con il padre violento che le ha rotto il timpano che le causa i problemi non ha più rapporti da tempo, la madre la chiama solo per colpevolizzarla e per dare sfogo alle sue frustrazioni consumate nell'alcol che derivano da una relazione con un altro poco di buono e per accusarla di non pensare a lei, un rapporto veramente malato fatto di odio reciproco cui Seoyoung tenterà di mettere una volta per tutte la fine quando di fronte alla madre dichiara: "E' meglio che noi non ci vediamo più".
Inoltre la sua instabilità sentimentale che perdura nel rapporto clandestino con il proprio capo accentua i suoi malesseri e il suo senso di sconfitta e frustrazione, già notevolmente alimentato dal comportamento servile che le viene richiesto sul lavoro, a maggior ragione ora che l'azienda dovrà scegliere se confermarla o meno.
A parte la collega Yedam che mostra un minimo di interesse per lei e che non risparmia i suoi consigli, Seoyoung è un donna profondamente sola , che si sente quasi inadeguata al suo ambiente; solo un giovane che lavora come lavavetri delle finestre del grattacielo e col quale incrocia lo sguardo  dall'altra parte del vetro, mentre pulisce sospeso nel vuoto, sembra capire il disagio della donna quasi però con un atteggiamento voyeur; lei a volte si accorge di lui , lui invece diventa un po' il suo angelo custode, intrufolandosi nell'ufficio quando è vuoto per lasciarle messaggi. 
Vertigo regala un finale bellissimo , emozionante nella sua semplicità che sembra offrire alla protagonista una via d'uscita dalla sconcertante situazione in cui si trova.
Detto che non esiste alcun riferimento al capolavoro di Hitchcock, il quarto lungometraggio del regista coreano Jeon Gyesoo, è una opera che può contare su alcuni presupposti fondamentali: anzitutto la fotografia e la musica entrambe di alto livello, una regia , nella quale abbondano le lunghe carrellate, che ben riesce a creare una atmosfera adatta alla descrizione di un personaggio riuscitissimo, vuoi per la bravura della interprete , vuoi per il carico emozionale che veicola.

martedì 7 luglio 2020

Exit ( Lee Sanggeun , 2019 )




Exit (2019) on IMDb
Giudizio: 8/10

Opera prima del regista coreano Lee Sanggeun giunta a Udine carica di riconoscimenti ottenuti prevalentemente in patria, Exit  ha ottenuto al FEFF22 il premio come migliore opera prima in concorso in una edizione del festival che passerà agli annali soprattutto per la stupefacente quantità di opere prime di qualità presentate; Exit ha dalla sua un banale assunto: fare un film di intrattenimento, divertente, se vogliamo senza pretese ma che risulti un'opera splendidamente riuscita nella sua semplicità narrativa che riesce a coniugare due generi un po' agli antipodi ma che per un certo periodo nella storia del cinema andarono a braccetto: la commedia brillante e il disaster movie.
Il film di Lee ha infatti una lunga introduzione da tipica commedia: il protagonista Yongnam è un mezzo sfigato che non trova lavoro, passa il tempo ad allenarsi per la sua passione che è l'arrampicata e l'alpinismo, la ragazza lo ha mollato e in famiglia è un po' lo zimbello di tutti compreso il nipotino che si vergogna di lui con i suoi amichetti , per non parlare della sorella con lo bullizza quasi a forza di schiaffi ed insulti ( " che mai ci potrà fare con tutta quella roba di alpinismo" si domanda aprendo l'armadio del fratello pieno di zaini moschettoni e corde).


Insomma ci ritroviamo con grande brio all'interno di una famiglia piuttosto numerosa nella quale sono presenti le solite tensioni tra parenti; tra l'altro entro pochi giorni è prevista una festa in onore della mamma di Yongnam per i suoi 70 anni.
Nella location scelta , tra canti, balli e clima da festa il nostro eroe ha la sventura di incontrare anche la sua ex fidanzata che lavora nello staff dell'albergo dove si tiene la festa.
All'improvviso però questo clima da commedia ridanciana viene sconvolto da un atto violento che getta nel terrore tutta la città: un pazzo con una cisterna carica di un gas tossico inizia a insufflare il gas per le vie della città, causando il panico, che colpirà anche Yongnam e la sua famiglia al termine della festa: l'unica salvezza per tutti è salire sui tetti per sfuggire al gas che si propaga; messa in salvo tutta la famiglia grazie all'intervento dell'elicottero e alle spericolate arrampicate , per Yongnam rimane da mettere in salvo se stesso e la sua ex fidanzata in una corsa contro il tempo e contro una serie di eventi sempre più incalzanti.
Exit è il prototipo del film in cui lo sfigato di turno diventa l'eroe e riesce a trovare un suo riscatto personale e sociale, grazie alle sue abilità che venivano derise ; diciamo pure che se vogliamo trovare una qualche involontaria aderenza con quanto è accaduto nel mondo negli ultimi mesi, il film veicola il messaggio che chiunque se segue il suo coraggio può risultare decisivo in una situazione difficile, basta credere in quello che si fa.

My Sweet Grappa Remedies ( Ohku Akiko , 2020 )




My Sweet Grappa Remedies (2019) on IMDb
Giudizio: 5/10

In un FEFF che mai come quest'anno ha visto la presenza massiccia di registe donne nei film in programmazione e di conseguenza una abbondanza di storie molto al femminile, un lavoro come quello di Ohku Akiko si presenta coerente con un dei temi dominanti di questo festival e cioè i ritratti di donne , per lo più non giovanissime, solitamente sole, quasi sempre ben inserite nel tessuto sociale e lavorativo che si ritrovano a gettare uno sguardo sulla propria esistenza.
My Sweet Grappa Remedies è probabilmente il più "estremo" all'interno di questa tipologia di racconti perchè si struttura come un lungo diario personale scritto e letto  dalla protagonista del film.
Yoshiko è una donna sulla quarantina, ha un buon lavoro che le consente di vivere comodamente, è single impenitente ormai e senza figli, vive completamente da sola, no amiche, nè animali in casa e da come si capisce ben presto non è neppure frustrata da questa vita in solitudine con se stessa, anzi sembra quasi che ne trovi piacere, al punto di umanizzare i propri rapporti anche con le cose inanimate come la bicicletta cui è legatissima.


E' talmente equilibrata che riesce persino a bere la sera da sola senza che la prenda nè la nostalgia , nè crisi isteriche, anzi è il momento in cui riesce a distendere tutta se stessa con l'aiuto di un bicchiere di vino rosso o di grappa; una donna insomma che sembra avere raggiunto una pace interiore e che non ha demoni che si agitano al suo interno.
Il ritratto che scaturisce dalla prima parte del film è quello quindi di una donna serena, riservata, ma che sa essere anche spiritosa con se stessa, che al lavoro è stimata per la sua riservatezza e che si concede questo lusso personale di scrivere un diario nel quale annota i suoi pensieri, a volte i più insignificanti.
Quando però al lavoro conosce Wakabayashi, una collega più giovane di lei, estroversa e abbastanza casinara, un po' l'opposto di Yoshiko, tra le due nasce una affettuosa amicizia, quasi una magnetica attrazione di poli opposti che però ci inizia a far venire il dubbio che forse la solitudine della protagonista non è del tutto confortante e spontanea.
Allo step successivo poi abbiamo la conferma di quanto sospettato e cioè la comparsa al lavoro di un giovane che attrae subito l'attenzione di Yoshiko che finalmente sente battere il cuore in maniera ben diversa da come le avviene quando periodicamente la vediamo concedersi qualche avventura di una notte spesso con sconosciuti rimorchiati al bar; vediamo fiorire una Yoshiko diversa, come se qualcosa si fosse messo in moto dopo tanto tempo o forse addirittura per la prima volta.
In questa parte del film l'aspetto quasi solipsistico che animava la prima viene un po' meno e diventa il racconto di una grande amicizia , quella con Wakabayashi e di un grande amore , quello con il giovane Okamoto, vissuti da Yoshiko all'unisono e che aprono alla donna nuovi orizzonti.

lunedì 6 luglio 2020

Lucky Chan-sil ( Kim Chohee , 2020 )




Lucky Chan-sil (2019) on IMDb
Giudizio: 8/10

La storia di Chansil, produttrice coreana di pellicole indipendenti, inizia con un episodio tragicomico: marcia funebre di Chopin in sottofondo, adunata intorno ad un tavolo e tutti alticci, un uomo di mezza età stramazza sul tavolo morto; dopo due minuti di film il regista col quale la protagonista lavorava da anni muore miseramente e per lei, che aveva sempre legato il suo nome alle opere del regista finito all'altro mondo, sopravvivere nel mondo del cinema è impresa titanica.
Ben presto infatti Chansil, vende la macchina, trasloca presso una casa in estrema periferia dove vive una anziana signora e per guadagnare qualcosa fa la colf ad ore a casa della sorella attrice in attesa del grande salto nel mondo del cinema.
Per la protagonista  che al cinema ha sempre donato tutta se stessa, inizia un periodo nel quale si trova a riesaminare la sua vita lavorativa e non solo, ma è chiaro che è sempre il cinema quello che rimane il punto fisso della sua esistenza.


Presso casa della sorella incontra un giovane insegnante di francese col quale si imbarca in frequenti discussioni cinematografiche su Ozu da lei amato per la sua semplictà, mentre inorridisce nell'apprendere che il preferito dell'uomo è Christopher Nolan con tanto di dissertazione che ne segue.
Ma la passione di Chansil è per il cinema di Hong Kong e , quella casa dove vive possiede una sorta di museo vivente del cinema, la stanza della figlia della anziana padrona, morta prematuramente: ottenuto il permesso della donna a poterci entrare troverà videocassette registrazioni, libri e soprattutto il cinema si carne e ossa con la presenza del fantasma di Leslie Cheung , rigorosamente in mutande e canottiera; inutile dire che per chi ama il cinema questo è uno dei momenti più alti che abbia offerto il FEFF22, a maggior ragione quando i dialoghi tra Chansil e il fantasma di Leslie assumono connotati esilaranti nella loro leggiadria; " me la immaginavo diversa" dice la donna a lui , per poi citare Maggie Cheung ( " dove stai andando da Maggie Cheung?"); il grande attore morto giovane rivive in quella casa perchè lo spirito del cinema di Hong Kong la permea vista la passione della donna che abitava quella stanza.
Per Chansil è un modo per sopravvivere continuando a vivere il cinema come il sogno della sua vita , come il tramite per permettere a certe cose di succedere, il confine tra realtà e fantasia, mentre Leslie Cheung le continua a ripetere, consigliere spirituale etero come un fantasma ,di cercare di sapere cosa si desidera veramente e di evitare di sentire la solitudine nella quale è immersa, dopo che perfino un approccio con l'insegnante di francese finisce miseramente.
Lucky Chansil è film che fa della cinefilia nel senso più ampio il suo argomento principale, attraverso il ritratto di una donna che ha vissuto per il cinema, ne conosce tutti i meccanismi ma che improvvisamente si trova espropriata di tutto , impossibilitata a lavorare e quindi ad alimentare la sua passione e che rischia di affogare nell'umiliazione personale e nella solitudine.
Un po' i fantasmi che rivivono nella casa, un po' la grazia e la sapienza della anziana proprietaria, un po' il suo poter ancora parlare di cinema citando Ozu e Kusturica di Il Tempo dei Gitani che è stato il film che l'ha folgorata e avvicinata alla settima arte, il tempo riuscirà forse a lenire la delusione di Chansil, anche perchè chi ama il cinema sa benissimo che nel cinema tutto può succedere sempre.

domenica 5 luglio 2020

I WeirDO / 怪胎 ( Liao Mingyi / 廖明毅 , 2020 )




I WeirDO (2020) on IMDb
Giudizio: 7.5/10

Il protagonista assoluto di I WeirDO è un oscuro acronimo, OCD in inglese e DOC in italiano, che sta a significare una alterazione psichiatrico-comportamentale che si manifesta con atteggiamenti ossessivi compulsivi: ne dà una rapida ma esaurientissima spiegazione il protagonista Po-ching nei primissimi minuti del film; probabilmente più chiara ed efficace di mille simposi o articoli specializzati in materia.
Il ragazzo infatti vive la sua esistenza recluso nella sua casa dove tutto è perfetto e ripetuto nello stesso modo per sempre, dove la pulizia, il lavaggio delle mani e le altre attività sono scandite da una efficientissima maniacalità; Po-ching si permette una sola uscita al mese per fare la spesa e lo fa vestendosi come se dovesse andare ad una guerra batteriologica.
Un giorno incontra al supermercato una ragazza che gira protetta come lui, guanti maschera e ogni dispositivo di protezione individuale possibile; i due dapprima si guardano e si scrutano, il giorno dopo venendo meno alle regole lui ritornerà al supermercato così come farà anche lei che fra i suoi disturbi compulsivi scopriamo che ha quello di rubare una confezione di cioccolata sebbene neppure la mangi.


Insomma i due diventano dapprima amici, quindi iniziano a frequentarsi contando su quella solidarietà tipica di chi si trova a condividere la stessa condizione ed infine i due iniziano una relazione e vanno a vivere assieme.
Tutta la prima parte di questo processo di comunione tra due  a loro modo "emarginati" si contraddistingue per le atmosfere da commedia, strappando spesso il sorriso come quando iniziano insieme una sorta di personale liberazione dal DOC attraverso una serie di prove da superare, infondono tenerezza quando si promettono vicendevolmente di non cambiare mai, ben sapendo che se ciò avvenisse sarebbe la fine della loro storia d'amore, a meno che il cambiamento , che poi sarebbe la guarigione, non avvenga simultaneamente.
Una bella mattina poi Po-ching alzandosi, apre la porta perchè un piccione lo disturba e magicamente si ritrova all'aperto senza protezione con le mani nella terra: è la guarigione? E soprattutto sapranno gestire insieme questo momento?
Pur non essendo un thriller o un film che crea suspance penso sia utile fermarci qui con la sinossi, perchè il finale del film oltre a far virare   le atmosfere verso il dramma , seppur molto contenuto nei toni, merita una visione libera da interpretazioni perchè il regista credo centri benissimo quale è la riflessione contenuta nella storia.

Detention / 返校 ( John Hsu Han-Chiang / 徐漢強 , 2019 )




Detention (2019) on IMDb
Giudizio: 7.5/10

Il film horror, sin dai tempi dei primi lavori di George Romero degli anni 60 che vanno considerati come l'alba del genere moderno, ha sempre costituito un ricettacolo di riflessioni politiche , il più delle volte sotto forma di metafora; quello che distingue il film taiwanese Detention è la chiara e inequivocabile dichiarazione di intenti: lo sguardo è posato in maniera esplicita su uno dei periodi più drammatici della storia recente di Taiwan, i quaranta anni cioè in cui l'isola fu sottoposta alla legge marziale, un terrore bianco, come viene universalmente riconosciuto quel periodo , in cui bastava anche il minimo sospetto per finire sotto la scure del potere politico repressivo; migliaia furono i morti e gli scomparsi e quelle pagine rimangono ancora oggi impresse nella memoria di chi le visse.


Il racconto prende il via con due studenti che rimangono intrappolati in una vecchia scuola impossibilitati a fuggire dalle misteriose presenze che la abitano; con un flash back ci ritroviamo in quella stessa scuola, proprio nel periodo del terrore bianco, dove un gruppo di studenti guidati da due insegnanti hanno costituito un gruppo segreto che si riunisce per leggere libri considerati vietati e per copiarli di modo da metterli in salvo dalla eventuale scoperta.
Gli eventi tragici che si succederanno saranno quelli che daranno vita agli avvenimenti terribili e spaventosi che i due ragazzi si troveranno ad affrontare; alla fine la verità su quello che successe e che di come andarono le cose veramente verrà a galla rivelandosi ben più drammatica di quanto potesse apparire.
Detention, una delle tante opere prima di questo per molti versi straordinario FEFF22, tratto da un videogioco pare piuttosto popolare, è un film che colpisce per un motivo soprattutto: la bravura del regista John Hsu a sapere condurre il film sui binari di un horror che appassiona e spaventa e al contempo di saper costruire un film storico, di memoria da conservare e da tramandare che forse , al di fuori dei magari poco attraenti libri di storia possa rimanere come un messaggio vivido e potente nelle menti delle nuove generazione affinchè apprezzino l'evoluzione democratica avuta da Taiwan dopo un periodo così lungo e drammatico.
Se l'avventura dei due studenti, che ovviamente non stanno lì per caso, tra realtà ed incubo dà vita ad un contesto che alimenta la tensione e si arricchisce sempre più di situazioni irrisolte, l'analisi politica e storica del periodo, pur senza pedanterie con intenti pedagogici, ben inquadra il momento e lo stile di vita della Taiwan di quegli anni, dove la delazione era l'ancora della propria salvezza a discapito della morte di qualcun'altro, a maggior ragione quando essa era un modo anche per saldare i conti personali con altri, ed è in effetti quello che accade nella storia che John Hsu ha messo abilmente in piedi, strutturandola in due capitoli ed un breve epilogo.

giovedì 2 luglio 2020

Crazy Romance ( Kim Hankyul , 2019 )




Crazy Romance (2019) on IMDb
Giudizio: 7.5/10

Dopo aver letto tutte le brevi sinossi di presentazione di Crazy Romance, il pensiero è stato subito : " ecco il film che farà il botto al FEFF, anche se soltanto online"; ed in effetti cosa aspettarsi da un film coreano che parla d'amore (ma non solo)  e nel quale i protagonisti sono per la gran parte del tempo ubriachi? Ci sono registi che sui comportamenti dei corani seduti ad un tavolino con davanti il soju hanno fatto uno dei capisaldi delle loro storie ( Hong Sansoo ad esempio) e comunque l'immancabile scena dei coreani ubriachi durante un film è quasi sempre la più divertente e quella che spesso è più carica di significati.


Lui , Jaehoon , è stato mollato dalla fidanzata da poco, proprio il giorno prima del matrimonio, cerca pateticamente di comunicare con lei che lo ignora e passa il tempo ad ubriacarsi praticamente tutte le sere, non ricordando poi il giorno dopo quanto accaduto; lei, Sunyoung sta cercando ti togliersi di torno definitivamente un fidanzato col quale ha rotto ma che non si da per vinto, pure lei beve che è una bellezza ed è stata appena assunta dalla società pubblicitaria dove lavora Jaehoon; si può quindi facilmente immaginare cosa possa accadere quando i due , inevitabilmente, inizieranno a frequentarsi davanti ad una bottiglia di soju e ancor peggio quando lui, al colmo della sua ubriachezza, in piena notte telefona a lei raccontandogli tutte le sue disgrazie e non ricordando nulla la mattina dopo.
Presentando prevalentemente situazioni lavorative Crazy Romance diventa anche una sarcastica analisi del mondo del lavoro dove regna il machismo più spietato che va ad offrire ancora più spunti ai toni commedia di cui il film si nutre.
Il rapporto che si crea tra i due protagonisti  è naturalmente l'asse portante narrativo del lavoro della regista esordiente Kim Hankyul che trova sì la sua sublimazione nei momenti di ubriachezza dei due , ma che getta uno sguardo anche sui difficili rapporti interpersonali, sull'ambiente lavorativo competitivo e spesso trasformato in un nido di serpi, sul sessismo che si basa su tradizioni ormai chiaramente retrograde e soprattutto mette in guardia dal considerarsi privi di scheletri nell'armadio , a maggior ragione in epoca di internet onnipotente: tutti i personaggi del film hanno la loro vita segreta e i loro misteri , e nessuno può considerarsi al sicuro, come brillantemente dimostra il finale di Crazy Romance.

mercoledì 1 luglio 2020

Chasing Dream / 我的拳王男友 ( Johnnie To / 杜琪峰 , 2019 )




Chasing Dream (2019) on IMDb
Giudizio: 6.5/10

A tre anni dalla sua ultima fatica, Johnnie To ritorna alla ribalta, e virtualmente presente anche al FEFF22, firmando con l'inseparabile sceneggiatore Wai Ka-fai un lavoro che sembra posizionarsi sulla scia di Office; quindi per stavolta, gli appassionati del genere thriller-noir-action che To ha nobilitato in decenni di attività avranno ben poche motivazioni per vedere Chasing Dream , semmai il film è una delle tante incursioni del regista nella commedia romantica che ogni tanto si concede, spesso con uguale successo.
In Chasing Dream abbiamo un giovane di umili origini ( Tiger) che pratica le arti marziali miste e a tempo perso fa lo scagnozzo per un gangster andando a riscuotere i debiti contratti da qualche disgraziato  con la gang, dall'altra parte una ragazza dal passato difficile (Cuckoo Du), aspirante cantante ma pesantemente indebitata proprio con il boss del ragazzo, che sbarca il lunario facendo la ragazza pon pon durante i combattimenti.


Per sottrarla da una brutta fine Tiger  prende la ragazza sotto la sua protezione nel suo umile appartamento, che poi è un magazzino, e quando il medico lo consiglia di smettere con le arti marziali per non incorrere in gravi problemi di salute, inizia ad accompagnare la ragazza nelle varie audizioni e matura il suo sogno di aprire un ristorante.
Due giovani apparentemente agli antipodi, ma con un passato difficile, un presente che si fa pesante e che coltivano però entrambi un sogno di riscatto.
Naturalmente raggiungere gli obiettivi non è facile e quello che si voleva mettere alle spalle spesso si ripresenta e chiede il conto; comunque gli obiettivi dell'uno diventano quelli dell'altra e viceversa, motivo per cui tra i due si stabilisce una comunione di intenti.
Tiger dovrà per una ultima volta salire sul ring , soprattutto per motivi di lealtà col suo maestro e Cuckoo avrà l'occasione della vita in un talent show di grande rilevanza che la metterà di fronte ai soprusi subiti nel passato.

One Night ( Shiraishi Kazuya , 2019 )




One Night (2019) on IMDb
Giudizio: 7/10

Il decimo film di Shiraishi Kazuya, uno degli autori più interessanti del recente panorama cinematografico giapponese è un potente drammone famigliare dalle tinte fosche che in qualche maniera, seppur con un genere e quindi tematiche diverse, sembra accodarsi al recente The Blood of Wolves; ispirato ad una opera teatrale di Kawabara Yuko One Night inizia con un prologo ambientato nel 2004: in una serata piovosa in un parcheggio di una compagnia di taxi di cui è proprietaria Koharu investe deliberatamente il marito e lo ammazza; il contesto famigliare che ci viene presentato in qualche flashback è quello di una famiglia tiranneggiata e abusata da un padre e marito violento che non perde occasione per maltrattare e umiliare i figli; per tale motivo Koharu compie quel gesto di liberazione pensando di rendere la vita migliore ai tre figli adolescenti; finirà in galera dove sconterà quindici anni.


Nel frattempo i figli, con la vita irrimediabilmente segnata da un simile evento, crescono senza genitori e si portano addosso le rovine della famiglia: la femmina, Sonoko, fa la squillo nei locali ed è prossima ad essere una alcolizzata, Yuji sbarca il lunario scrivendo per una rivista porno pur continuando a coltivare velleità letterarie, Daiki è balbuziente, lavora presso il negozio della moglie con la quale è in via di separazione, per cui quando quindi anni dopo vedono bussare alla porta la madre la reazione dei tre è ben lungi dall'essere quella di felicità per il ritorno della donna.
Tutti , seppur con sfumature diverse, pur continuando a detestare persino la memoria del padre, sono coscienti che il gesto della madre ha causato loro solo problemi , da tutti i punti di vista, sia socialmente per essere additati come i figli dell'assassina ed irrimediabilmente emarginati, sia personalmente per avere fatto crescere in loro una sorta di di senso di colpa e di rimorso represso.
Col ritorno della madre saranno inevitabili i confronti e gli scontri anche duri, specialmente Yuji, accusato dai due fratelli di avere usato la loro esperienza personale per tentare la via letteraria: l'uomo infatti possiede registrazioni e documentazione con le quali sta tentando di scrivere un libro.
Nel finale un'altra storia parallela di famiglia disgregata che vede protagonista un tassista della compagnia va a rafforzare la tematica del rapporto genitori-figli e il nesso di causa-effetto che simile rapporto produce sulle esistenze degli uni e degli altri.
Un finale probabilmente troppo frettoloso, uno tra i pochi difetti del film, sembra lasciare spazio ad un certo ottimismo affermando l'importanza fondamentale della elaborazione personali degli eventi della vita che ci segnano.

martedì 30 giugno 2020

The Captain / 中国机长 ( Andrew Lau / 劉偉強 , 2019 )




The Captain (2019) on IMDb
Giudizio: 6.5/10

L'incidente che si verificò nel maggio del 2018 a bordo di un Airbus di una compagnia aerea cinese mentre era in viaggio sopra l'Altopiano del Tibet e che si concluse con il salvataggio di tutti i passeggeri grazie alle formidabili capacità del comandante e del resto dell'equipaggio, è uno di quegli episodi che non potevano mancare nel festival di eventi da ricordare nella storia della Repubblica Popolare Cinese di cui nel 2019 si sono festeggiati i 70 anni di vita: ed infatti insieme a numerosi altri lavori a forte impronta nazionalistica e rievocativa, è uscito nelle sale cinesi riscuotendo un enorme successo The Captain diretto da Andrew Lau, uno dei registi che più di tutti hanno segnato il cammino del cinema di Hong Kong prima che l'industria mainlander consigliasse alla gran parte dei registi e delle crew di emigrare sulla terraferma e cercare nel ricco mercato cinese la strada per continuare a svolgere il loro lavoro.


Il film di Lau descrive quasi fosse una cronaca quelle poche ore intercorse da quando l'equipaggio giunge in aeroporto a quando scende finalmente dall'aereo costretto ad un atterraggio di fortuna a Chengdu; nel racconto naturalmente vengono create storie e personaggi che in qualche modo fossero l'alter ego dell'equipaggio: figli che tornano dal padre in Tibet, buddhisti che intraprendono il viaggio in cerca di spiritualità, l'anziano militare che come ogni anno va a rendere omaggio ai compagni morti in guerra, famiglie che si trasferiscono, insomma tutto un campionario di umanità che serve a creare quel substrato che permetta il formarsi di una empatia verso i passeggeri e la loro terribile esperienza.
Viceversa, anche dal punto di vista meramente tecnico, l'equipaggio è descritto come un gruppo di grandi professionisti, un mix di esperienza e vigore giovanile, nel quale comunque regna la disciplina e la precisione sul lavoro; in particolare la figura del comandante Liu, un ex pilota e addestratore militare , è disegnata col rigore di rito ( forse anche troppo ...) e con la necessaria professionalità: per lui la tratta da Chongqing a Lhasa, dove sorvolando il Tibet si deve costantemente viaggiare ad altezze ben maggiori del consueto, è un compito routinario , almeno finchè l'incidente con il quale si infrange il vetro della cabina di pilotaggio causando una veloce depressurizzazione all'interno dell'aereo, non impone il ricorso a tutte le conoscenze, alla freddezza e alla capacità di prendere decisioni fatidiche.
Sebbene  come detto il racconto spesso si configuri come una cronaca, Andrew Lau riesce comunque a far sì che la tensione e la suspance salgano in maniera esponenziale, nonostante tutti sapessimo già come sarebbe andata a finire e questo perchè le riprese e l'aspetto più puramente tecnico del film si sono rivelate particolarmente credibili , calandoci all'interno del dramma delle 120 persone a bordo dell'aereo.

lunedì 29 giugno 2020

Victim(s) / 加害者、被害人 ( Layla Zhuqing Ji / 季竹青 , 2019 )


Giudizio: 8/10

Con l'aumentare vertiginoso dei casi riportati di bullismo in tutto il mondo ,  l'ambiente cinematografico ha parallelamente aumentato il suo interesse per il problema sociale che va sempre più configurandosi come una vera e propria emergenza.
Quello che distingue Victim(s) , opera prima della regista cinese Layla Zhuqing presentata in prima mondiale al FEFF22 , è la prospettiva scelta per raccontare la sua storia: non esiste un taglio netto che mette da un lato i buoni e dall'altro i cattivi,  bensì esiste una stratificazione nella quale tutti sono un po' l'uno e un po' l'altro, nessuno insomma può sentirsi innocente.
La scelta di girare e produrre il film in Malaysia è conseguenza del rischio di vedere la censura cinese intervenire pesantemente , come già fece con l'acclamato Better Days, altro film a tematica molto simile.
Il film si apre  con l'omicidio di Gangzi, e il ferimento di altri due ragazzi compagni di classe , avvenuto nei pressi della scuola che frequentano; le immagini di una telecamera in strada mostra l'omicidio e i sospetti ricadono su Chen, il migliore alunno della classe, nel frattempo resosi irreperibile , figlio di una facoltosa imprenditrice , anche in base alle testimonianze degli altri alunni che riferiscono come i rapporti tra i due non fossero buoni anche a seguito dell'arrivo di una nuova alunna , Qianmo, verso la quale entrambi hanno mostrato interesse.


Chen poco dopo si costituisce, la madre non crede che possa essersi macchiato di un simile delitto mentre la madre di Gangzi reclama giustizia per il figlio; Chen finisce in galera e la stampa e tutta l'opinione pubblica  crede di aver trovato il colpevole da additare , assolutamente  insensibili al fatto se quella fosse la verità.
Attraverso alcune cose scoperte dalla madre di Gangzi e un lungo inserto centrale in flashback che ci racconta la vita nella scuola, scopriamo come le cose siano in realtà molto più complesse ed affondino le radici nel bullismo, nella violenza indiscriminata, connivenza ed omertà  e nella miopia degli insegnanti incapaci di vedere quanto avvenga sotto i loro occhi: Victim(s) insomma diventa un lungo, durissimo, a tratti disturbante  racconto di sopraffazione , di realtà distorta , di legame con il mondo digitale perverso che porterà a vedere i fatti avvenuti nella giusta prospettiva.
Il finale che squarcia una piccola fessura nel buio pesto e nella coltre cupa che ricopre il film , indica forse una qualche speranza veicolata, in maniera simbolica, dai tre personaggi femminili del racconto.
Layla Zhuqing, mostrando una sicurezza e una maturità solida, si lascia alle spalle i rischi tipici che si affrontano quando si prende di petto un problema simile e cioè quelli di utilizzare situazioni di facile presa e ovvie  senza rischiare nulla; la scelta di offrire varie prospettiva che sembrano in continuazione voler cambiare il ruolo della vittima e quello del carnefice, oltre a proporre tematiche più originali, mette lo spettatore di fronte a diversi problemi morali: fin dove la colpa è personale e fin dove arriva invece quella degli altri? Essere deboli è una colpa perchè si ci si concede come bersaglio ai bulli? Perchè se tutti vedono il problema nessuno fa niente ?  Nessuno dice la verità perchè conosce le conseguenze nel dirla?

Ashfall ( Kim Byungseo , Lee Haejun , 2019 )




Ashfall (2019) on IMDb
Giudizio: 7/10

Dopo avere letteralmente infranto tutti i record del cinema coreano Ashfall diretto dalla coppia Kim Byungseo e Lee Haejun è stato scelto per aprire il  22° Far East Film Festival di Udine , che a suo modo scrive ancora una volta la storia del cinema con la scelta di presentare la rassegna tutta online, un viaggio insomma solo virtuale per questa volta  nella città friulana attraverso la rete che ormai connette tutto il mondo in tempo reale.
Il film, un intelligente mix di fantascienza, dramma, action e disaster movie, si apre con le imagini del disarmo nucleare della Corea del Nord sotto la supervisione degli USA; mancano solo poche testate da rimuovere quando un vulcano, il Monte Paekdu, situauo nei pressi de confine che divide le due Coree e apparentemente silente da moltissimi anni, riprende ad eruttare causando una serie di terremoti devastanti che sconquassano le viscere di tutta la penisola coreana; ma questo è solo l'antipasto, perchè se non si mette in atto qualche soluzione entro pochi giorni il vulcano darà vita ad un'altra terribile e devastante serie di terremoti che porteranno la devastazione totale sia nella Corea del Nord che in quella del Sud.


A studiare il fenomeno per trovare soluzioni che salvino dalla catastrofe viene chiamato il più noto sismologo , il professor Kang che inizialmente si mostra titubante a collaborare per poi accettare senza riserve: la sua soluzione è quella di far esplodere nelle viscere del vulcano un ordigno atomico che annienti la potenza del vulcano.
Il piano messo in atto per effettuare questa operazione ben presto va a gambe all'aria, per cui tutto l'onere dello stesso ricade sulla squadra di artificieri che dovrà nell'ordine:  passare il confine, trovare Ri la spia della Corea del Nord , liberarla dalla detenzione, farsi passare le notizie su come raggiungere l'ultimo sito in cui ancora si conservano le testate atomiche in Corea del Nord, rubarle , portarle all'interno del vulcano e farle esplodere.
Naturalmente le cose non andranno via lisce , e soprattutto il confronto tra Ri e il capitano Jo , l'artificiere a comando della squadra infiltrata nel Nord, animerà tutto il racconto, tra momenti di altissima tensione e di immagini spettacolari; inoltre altre sottotrame irrobustiscono il racconto, soprattutto quella della moglie di Jo, incinta, che non riesce ad essere evacuata e che non sa della missione del marito, e quella della figlia di Ri, unico legame rimasto per l'uomo con il suo paese. 
E' proprio il mescolare generi diversi che fa di Ashfall un lavoro interessante e di indubbia presa popolare: un po' mainstream, un po' kolossal , ma anche buddy-movie con venature nazional popolari attraverso la tematica sempre più presente nel cinema coreano della divisione delle due Coree e del desiderio della popolazione di sanare una volta per tutte questa ferita che dura ormai da tre quarti di secolo, in questo caso particolarmente ben trattata perchè carica di ironia che gioca coi luoghi comuni che emergono dai frequenti confronti serrati  tra Ri e  Jo, così come non guasta per nulla anche un pizzico di autentico sarcasmo quando ci fa vedere le statue dei vari condottieri della patria della famiglia Kim miseramente gettate a terra dal sisma oppure ci raffigura gli americani come i veri cattivi subdoli del film.

sabato 27 giugno 2020

Changfeng Town / 长风镇 ( Wang Jing / 王晶 , 2019 )




Changfeng Town (2019) on IMDb
Giudizio: 7.5/10

Changfeng Town, una minuscola cittadina, forse sarebbe quasi meglio definirlo un paese, immaginaria, situata in quale chissà angolo della immensa provincia cinese è il crogiuolo all'interno del quale la regista Wong Jing, che ha alle spalle pochi ma buoni lavori e soprattutto una frequentazione come aiuto regista di Jia Zhangke in Mountains May Depart, costruisce il suo universo di nostalgia e di ricordi firmando la pellicola con l'omaggio ai genitori.
La piccola cittadina, un luogo che appare sin da subito quasi uno di quegli scenari di fantasia, animato da una atmosfera fiabesca, vede le gesta di un gruppo di persone rigorosamente divise in due: da un lato alcuni ragazzini che trascorrono tutta la giornata in strada in giro per il paese, tirando scherzi e prendendo di petto solitamente qualcuno più debole da poter sottomettere; dall'altro una serie di personaggi adulti che sono tutti a loro modo il risultato di una vita trascorsa per decenni in una provincia povera , sonnecchiosa, priva di vitalità e che hanno immaginato chissà quante volte di trasferirsi in città, miraggio di una vita migliore e più agiata; alcuni hanno orami le loro indelebili radici a Changfeng: il vecchio muto che gira col pappagallo e che ve alla stazione a vedere i treni pensando così di poter viaggiare con la fantasia, il barista che ormai ha perso ogni possibilità di fare il famoso viaggio in città, madri e padri di quei ragazzini che tirano avanti tra mille difficoltà.


Non è un caso che il tema del viaggio si affaccia in continuazione nel film, puntualmente evocato dall'immagine dell'aereo che solca il cielo azzurro, e che il viaggio è quello intraprende il teppistello Testarossa, il capo banda dei ragazzini in quanto più grande, un viaggio però con ritorno e nemmeno troppo fortunato.
La regista si adagia sul racconto di questa placida quotidianità, uno scorrere come fosse senza tempo di immagini, di simbiosi dell'uomo con la natura nelle sue forme leggiadre (fiori di cui si favoleggia si possa udire il rumore mentre crescono, uccelli che cantano nascosti in cima agli alberi), ma anche in quelle più terribili come le invasioni di topi che affligge la cittadina.
A scandire i sentimenti, la fantasia , la favola, la maraviglia Wong Jing, da autentica cinefila, mette al centro del film uno di quei cinema che persino la memoria di chi ha qualche anno sulle spalle ricorda anche qui da noi: è qui che la ragazza più carina della città , corteggiata dal teppistello Testagrossa, ma anche dall'intellettuale giornalista e aspirante scrittore , sogna l'amore guardando le dive occidentali del cinema ed è qui che i ragazzini sognano guardando le gesta degli spadaccini wuxia ed infine è qui il luogo del ricordo e dalla immaginazione filmica della regista stessa che cita Truffaut e Fellini, il cinema francese e quello d'epoca cinese e si affida ad una colonna sonora che spazia nella musica di ogni tempo.

martedì 23 giugno 2020

Gone With the Light / 被 光 抓走 的 人 ( Dong Runnian / 董 润 年 , 2019 )





Gone with the Light (2019) on IMDb
Giudizio: 7/10


Nel bel mezzo di una mattina di dicembre  come tante una luce improvvisa squarcia il cielo di una città della Cina centrale, pochi attimi di sbandamento e una volta passata la sensazione di stordimento tutto torna normale, tranne che alcune persone sono misteriosamente scomparse: alunni in aula, guidatori che lasciano la macchina alla deriva nelle strade, persone intente a fare qualsiasi attività normale e abitudinaria; ancor più sorprendente il fatto che il fenomeno si è verificato in altre città del mondo, motivo per cui iniziano a rincorrersi le teorie più fantasiose su cosa sia realmente accaduto, dal rapimento da parte di una civiltà aliena alle teorie psudoscientifiche più assurde.
La storia si focalizza su quattro personaggi privi di qualsiasi legame tra di loro dando quindi al film una struttura quadripartita: Wenxue è un maestro di scuola che insegna letteratura cinese e nella sua classe scompaiono due ragazzini insieme ad altri alunni e professori, Kuazi , un delinquente che sta assistendo un compare che sta impartendo una lezione ad un negoziante, quando improvvisamente l'amico scompare, l'impiegata di banca Li Nan che è impegnata nelle pratiche di divorzio e che si trova a bordo di un taxi rimasto senza autista e infine Li Jiaqi una giovane che vorrebbe sposarsi contro il parere dei genitori e che li vede sparire proprio davanti ai suoi occhi mentre litiga con loro.


Finalmente qualcuno, valutando la connessione esistente tra le persone scomparse teorizza che coloro che si sono volatilizzati siano persone unite da un forte legame amoroso; pur essendo una semplice teoria, questa trova subito presa sulla popolazione, anche se poi una volta valutato bene il significato della teoria stessa è chiaro che inizia a scorrere malumore tra le coppie "rimaste indietro" e attraverso i nostri quattro personaggi assistiamo a come il sospetto si instauri e soprattutto come il valore morale delle persone venga screditato.
Wenxue addirittura, preoccupato per la sua carriera professionale, inscena una farsa per dimostrare che la moglie quel giorno non era in città ma in un altra dove il fenomeno non si era verificato, anche se nel frattempo pure in lui i dubbi iniziano a insinuarsi e non solo verso la moglie ma anche verso se stesso.
Li Nan deve far fronte agli assalti dell'amante del marito da cui sta divorziando la quale continua a credere che la donna che questi amasse veramente fosse  lei nonostante scoprano assieme che l'uomo era un donnaiolo incallito.
Insomma l'evento di cui tutti parlano e teorizzano crea non pochi problemi nei vari protagonisti, mettendo a repentaglio la pacifica convivenza e i legami.
Ma quando qualcuno capirà che quella luce bianca altro non era che una sorta di soprannaturale  avvertimento, le cose potranno tornare alla loro normalità con rinnovata coscienza del  senso dell'amore , o comunque trovare la loro soluzione.
L'opera prima del regista cinese Dong Runnian, dietro le tematiche sci-fi e il mistery nasconde una profonda riflessione sul senso dell'amore e sulla fenomenolgia dell'amore stesso: se quella luce fosse qualcosa che ci porta a riflettere sul fatto che siamo dei deboli o dei bugiardi quando affermiamo che siamo innamorati? E se quella stessa luce fosse una prova e un avvertimento che una entità superiore ci manda per testare la nostra onestà, il nostro essere pronti a cadere sotto il peso del sospetto, la nostra moralità?
Condividi