Giudizio: 8/10
Seoyoung è una trentenne designer che lavora come precaria in una azienda che ha sede in un grattacielo di Seoul; il suo status lavorativo le impone il rispetto delle rigide regole da caserma che regnano negli ambienti lavorativi coreani con inoltre il continuo ricatto della possibilità di essere assunta a tempo indeterminato , cosa che farebbe di lei una donna perlomeno appagata lavorativamente , anche se ormai fatta fuori nella vita sociale come possibile moglie e madre per le usanze coreane.
Con queste regole non scritte ma scrupolosamente applicate sul lavoro come retaggio di tradizioni che fanno da substrato per un classismo e un sessismo odioso, la donna riesce a convivere alla meno peggio, ha un rapporto clandestino con il capo che però non evolve verso una normale relazione tradizionale per la resistenza di quest'ultimo.
Seoyoung inoltre soffre di fastidiosi disturbi causati da un problema all'orecchio: acufeni, instabilità, sensazione di perdita di equilibrio che il grattacielo a vetri scintillanti dove lavora al 42° piano non aiuta certo a superare.
Ma è soprattutto nel suo profondo che la donna ribolle di una instabilità dolorosa che nasce dall'appartenere ad una famiglia distrutta dai conflitti parentali: con il padre violento che le ha rotto il timpano che le causa i problemi non ha più rapporti da tempo, la madre la chiama solo per colpevolizzarla e per dare sfogo alle sue frustrazioni consumate nell'alcol che derivano da una relazione con un altro poco di buono e per accusarla di non pensare a lei, un rapporto veramente malato fatto di odio reciproco cui Seoyoung tenterà di mettere una volta per tutte la fine quando di fronte alla madre dichiara: "E' meglio che noi non ci vediamo più".
Inoltre la sua instabilità sentimentale che perdura nel rapporto clandestino con il proprio capo accentua i suoi malesseri e il suo senso di sconfitta e frustrazione, già notevolmente alimentato dal comportamento servile che le viene richiesto sul lavoro, a maggior ragione ora che l'azienda dovrà scegliere se confermarla o meno.
A parte la collega Yedam che mostra un minimo di interesse per lei e che non risparmia i suoi consigli, Seoyoung è un donna profondamente sola , che si sente quasi inadeguata al suo ambiente; solo un giovane che lavora come lavavetri delle finestre del grattacielo e col quale incrocia lo sguardo dall'altra parte del vetro, mentre pulisce sospeso nel vuoto, sembra capire il disagio della donna quasi però con un atteggiamento voyeur; lei a volte si accorge di lui , lui invece diventa un po' il suo angelo custode, intrufolandosi nell'ufficio quando è vuoto per lasciarle messaggi.
Vertigo regala un finale bellissimo , emozionante nella sua semplicità che sembra offrire alla protagonista una via d'uscita dalla sconcertante situazione in cui si trova.
Detto che non esiste alcun riferimento al capolavoro di Hitchcock, il quarto lungometraggio del regista coreano Jeon Gyesoo, è una opera che può contare su alcuni presupposti fondamentali: anzitutto la fotografia e la musica entrambe di alto livello, una regia , nella quale abbondano le lunghe carrellate, che ben riesce a creare una atmosfera adatta alla descrizione di un personaggio riuscitissimo, vuoi per la bravura della interprete , vuoi per il carico emozionale che veicola.
E' certamente un film d'amore, un amore che per molti versi sembra raccontato dal Kim Ki Duk di Ferro 3 , ma è anche l'ennesimo ritratto di una donna sola come mai ne abbiamo visti nelle edizioni precedenti del FEFF: una donna che sembra riuscire a convivere con un ambiente odioso, con una malattia fastidiosa, con i fantasmi di una famiglia dissolta, persino con un rapporto che alla lunga non porterà altro che guai, ma al tempo stesso una donna che deve fuggire nelle stanze isolate e assolate dell'ufficio per contenere i suoi accessi di panico e che deve sentire l'umiliazione del ricatto e del machismo becero.
La denuncia del regista sulle dinamiche perverse del lavoro che derivano da una tradizione sessista è piuttosto netta e diretta e soprattutto non la maschera solo dietro le serate tra alcol e karaoke cui sono obbligate a partecipare le donne , a maggior ragione se giovani e precarie, ma la mette esplicitamente in mostra nel contesto della storia.
Come detto una delle colonne portanti di Vertigo e uno dei motivi della sua buona riuscita è la magnifica prova della star Chun Woohee che dopo il trionfo ottenuto con Han Gong-ju è diventata una delle attrici di punta del cinema coreano: la sua è una dimostrazione di sensibilità e di misura straordinaria , in un ruolo intorno al quale ruota tutta la storia.
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