Giudizio: 7.5/10
Approfittando dell'assenza per qualche giorno del marito , dal quale non si separa mai perchè come dice spesso citando il marito stesso "chi si ama deve stare sempre insieme" , Gamhee decide di far visita a vecchie amiche: una che vive in una zona periferica residenziale insieme ad una amica, un'altra che ha appena rotto una relazione sentimentale e che a suo dire viene perseguitata da un uomo conosciuto in un bar e col quale ha avuto solo un rapporto di una notte ed un'altra ancora , incontrata, par di capire, casualmente e che ha qualcosa da farsi perdonare da Gamhee.
Tre quadri , statici, sublimazione assoluta dello stile di Hong Sangsoo, separati tra loro da un intermezzo musicale e dalla presenza impalpabile, a tratti patetica di un personaggio maschile; un lavoro di breve durata tutto incentrato su figure femminili, altra estremizzazione dello sguardo del regista sempre più propenso ad indagare e a privilegiare l'universo femmineo.
Il processo di feminilizzazione iniziato da Hong già da qualche anno trova il suo caposaldo narrativo nella figura di Kim Minhee, attrice prediletta nonchè compagna di vita del regista , il suo tramite esploratore di un universo che il regista sembra prediligere, nei suoi dolori, nelle sue ambiguità, nella sua umana imperfezione.
Gli uomini che dominano i suoi primi film, quasi sempre personaggio descritti prevalentemente nei loro vizi e nella loro meschinità che rasenta l'abiezione, sono sempre più figure marginali, in The Woman Who Ran addirittura dei meri intermezzi fastidiosi come può esserlo un intruso; forse Hong considera se stesso un intruso del mondo femminile, ma il suo legame con Kim ne fa un osservatore privilegiato, grazie anche alla leggiadria e alla bravura della attrice.
Ther Woman Who Ran, come detto, si articola su tre quadri, quasi tutti in interni, nei quali i dialoghi, ancora più che negli altri lavori, sono il verso centro del film; gli argomenti e le tematiche affrontati sono quasi sempre appena accennati, quasi delle traccia lasciate lì artatamente in attesa che qualcuno decida di seguirle, perchè in effetti il minimalismo narrativo raggiunge in questa opera una essenzialità cinematografica semi assoluta sia come racconto che come tecnica di regia con una gamma di interpretazioni da sviluppare osservando piccoli segni , sguardi, mezze parole , silenzi che conducono assai spesso al dubbio che vuole diventare sottointeso.
Se la protagonista è al tempo stesso l'occhio del regista ma anche il suo oggetto di analisi, le altre amiche sono donne dalle quali emerge un qualche male di vivere , una qualche difficoltà a relazionarsi, anche se stavolta le immancabili bevute con conseguenti scene madre da osteria di borgata non ci sono e sono appena accennate come racconto.
Ma a ben guardare l'interesse di Hong si posa essenzialmente sulla protagonista, cioè sull'unico elemento che tiene insieme il racconto: è realmente una donna realizzata e felice come sembra e come non si stanca mai di affermare? e questo breve viaggio nel passato , alla ricerca delle vecchie amiche, cosa significa veramente , o forse più esattamente , cosa sottintende? E' forse lei la donna che fugge del titolo?
Insomma questo ultimo lavoro del regista coreano, vincitore dell'Orso d'Argento per la migliore regia alla Berlinale, se da un lato appare un ennesimo episodio della narrazione continua che è diventata il suo cinema attraverso gli episodi dei vari lavori, dall'altra dà un ulteriore taglio col passato e una polarizzazione verso il mondo al femminile, ormai visto quasi come una monade rispetto al suo rapporto col mondo maschile: ne deriva un lavoro , come molti degli ultimi, in cui l'empatia, la simpatia, e a volte anche l'affetto vero e proprio, ci avvicinano ai personaggi, autentici specchi di noi stessi attraverso i quali possiamo osservare le nostre debolezze e la nostra condizione umana anche nelle pieghe più nascoste.
Come detto, al minimalismo narrativo si associa una regia improntata all'essenziale: piani fissi, qualche movimento di zoom a sottolineare una battuta o uno stato d'animo, qualche particolare gettato qua e là a intervallare il quadro d'insieme al punto che la struttura dell'opera si posa tutta sui dialoghi, dai quali però non sempre emerge chiaramente la verità della storia che infatti rimane caratterizzata da molti interrogativi e dubbi.
Ormai i film di Hong sono degli episodi di un unico racconto che è poi quello della esistenza dell'uomo osservata sotto varie prospettive: un appuntamento che , grazie alla prolificità del regista, si ripresenta anche più di una volta l'anno, una rimpatriata tra amici verrebbe da dire.
Non si può chiudere senza accennare alla prova di Kim Minhee, che sembra calarsi in questo infinito racconto di Hong che data ormai da 5 anni in maniera magnifica, degna di una attrice di altissimo livello.
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