Giudizio: 8/10
Dopo un folgorante esordio internazionale al Festival di Busan che è valso svariati riconoscimenti, bissati alla rassegna di Rotterdam e in altre di minor prestigio, l'opera prima della giovane regista coreana Yoon Danbi arriva anche in Italia attraverso gli schermi virtuali del Festival di Torino dove riceve il premio Fipresci a conferma del successo di critica ottenuto lungo tutto il 2020, anno che ha confermato una volta in più il grande valore artistico e la fulgida vitalità del cinema indipendente coreano che ha regalato in questi due anni lavori di gran pregio che arricchiscono una cinematografia, quella coreana appunto, nota soprattutto per la qualità dei suoi blockbuster d'azione o comunque delle grandi produzioni.
La giovane regista dimostra di conoscere molto bene il cinema di quelli che sono probabilmente due tra i cantori delle storie famigliari più importanti del cinema asiatico: Moving On infatti mostra chiari, non sappiamo quanto voluti, ma innegabili , riferimenti ad Ozu e a Koreeda nel mettere al centro del racconto una vicenda famigliare osservata attraverso la prospettiva di una adolescente, Okju e del suo fratellino più giovane, Dongju ,ancora nel pieno della fanciullezza.
I due ragazzi si trasferiscono infatti col padre divorziato presso la grande casa dell'anziano nonno nella provincia coreana, per far fronte alle difficoltà economiche e risparmiare quindi i soldi per l'affitto; il nonno, un po' rimbambito, silenzioso e di salute malferma ha bisogno di assistenza e quindi poco dopo la sorella del padre li raggiunge nella grande casa.
Mentre per il piccolo Dongju questo cambiamento è vissuto quasi come una vacanza, Okju soffre dei normali sbalzi d'umore tipici della sua età accentuati da una situazione di insicurezza, nonostante i consigli che la zia, anch'essa prossima al divorzio, le propina con molto affetto.
Il vecchio nonno ha ormai preso la china discendente e i figli decidono di portarlo in una casa di riposo e vendere la casa, cercando così di sistemare le loro misere esistenze; sembra che solo i giovanissimi riescano a vedere oltre la miseria della vita dei loro genitori e capire l'importanza della perdita del nonno.
Tutto il film di Yoon ruota intorno al disfacimento della famiglia: è in rovina quella dei due giovani protagonisti, con un padre fallito che per campare spaccia scarpe taroccate e una madre che non si è mai fatta problemi a perseverare nella sua assenza, sta andando a rotoli quella della zia, che per lo meno non ha figli e quindi si sente in qualche modo consolata e meno oppressa, è in disfacimento , mutatis mutandi, la famiglia coreana, intesa nella sua forma istituzionale, come il centro e il cuore della società che si sta modificando troppo in fretta e che lascia alle spalle le sue tradizioni e il suo passato.
Il ritratto che ne fa la giovane regista è crudo nel suo realismo, ma al tempo stesso delicato, avendo scelto probabilmente proprio per questo di utilizzare lo sguardo dei due giovani ragazzi ; per tale motivo la realtà della famiglia coreana in decadenza risulta ancora più cruda e dolorosa, perchè quello che emerge non sono solo le ristrettezze economiche e la difficoltà a rapportarsi all'interno della comunità famigliare, ma anche una certa meschinità se non addirittura un egoismo bieco che travalica il rispetto reciproco.
Un finale che in alcuni punti si tinge di surreale e di onirico ci regala l'ultimo sguardo dei due ragazzi, forse un ultimo tentativo di affidare alla loro purezza di animo e alla loro innocenza la possibilità della salvezza dell'istituzione famigliare ed, estrapolando, del paese intero
Moving On è anche un lavoro che si costruisce sul senso della lontananza e della separazione e sulla loro elaborazione sempre mediata dallo sguardo adolescenziale ( ed in questo c'è molto del cinema di Koreeda): lontananza e separazione dei genitori, separazione dolorosa dal vecchio nonno, persino separazione dal giovane fidanzato di Okju, a metà tra l'opportuntista e l'anaffettivo, separazione dalla madre che viene evocata con toni ed atmosfere oniriche; persino la canzone che fa da colonna sonora , un successo degli anni 70 in Corea è un disperato inno alla sofferenza per la separazione.
Famiglia e separazione, affetti e dolore per la perdita di qualcosa che costituisce lo scheletro dell'ambiente in cui si vive, difficoltà a vivere i rapporti personali, rassegnazione di fronte al fallimento sono le tematiche che Yoon Danbi, con molto coraggio bisogna dire, affronta con grande lucidità e maturità che risultano stupefacenti per una esordiente che anche nell'aspetto più puramente tecnico, grazie ad una regia pulita e limpida, mostra doti sorprendenti: faremo bene a seguirla con attenzione perchè con questo Moving On offre uno degli esordi più interessanti e promettenti degli ultimi anni.
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