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Giovani ad Hong Kong
La travagliatissima genesi e il budget ridotto all'osso non hanno minimamente influito sull'eccellente risultato ottenuto da Fruit Chan con questo Made in Hong Kong che ha portato definitivamente alla ribalta il talento purissimo del regista HKese.
In una Hong Kong lontana dalle luci e dagli sfarzi, alle soglie del passaggio sotto il governo della Cina Popolare, Moon, poco più che adolescente, vive la sua vita da nullafacente (ma con talento, a suo dire); svolge qualche lavoretto di riscossione da parte di un boss e si dedica con grande carattere alla protezione di un amico ritardato mentale, spesso bersagliato dalle angherie; la sua famiglia è in pieno disfacimento e la strada con le sue dure regole è il suo pane quotidiano.
L'incontro con Ah Ping, la cui madre è strozzata dai debiti e l'assistere al suicidio apparentemente senza motivo di Hui Boshan, una ragazza che compie il gesto estremo gettandosi da un palazzo di fronte al quale campeggia una enorme croce di cemento, portano nella sua vita una nuova linfa, fatta di voglia di redenzione che passa attraverso l'amore per Ah Ping e la presenza onirica della suicida.
Il pessimismo estremo di Chan condurrà la storia su binari tragici dopo averci regalato momenti di autentica e sorprendente poesia.
Il film, convine dirlo subito, è duro, durissimo, avvolto da un alone nero che a momenti stordisce man mano che le tematiche intimamente presenti si svelano: il disagio giovanile, il rapporto con la morte, il senso profondo del suicidio, vivere e morire intesi come beffardi capricci di un fato privo di ogni etica e di senso di giustizia, il temuto da molti, agognato da pochi, ricongiungimento di Hong Kong alla madre Cina; a tutto ciò fa da sfondo una società ed una città sporche , degradate, che nulla di rassicurante hanno da offrire, in cui la rabbia giovanile non sembra avere altri sbocchi che non siano comunque e sempre drammatici e a poco sembra servire il brano di Mao sulla gioventù letto alla radio che chiude il film.
Il talento visivo di Chan sa fare di questo film un gioiello purissimo, mostrandoci un realismo fatto di sporcizia e di sentimenti; l'uso delle tonalità di colore da connotati cromatici bellissimi, struggenti in certi momenti ed infine Chan ci regala una scena grandiosa, quella del cimitero, più altri momenti che trasudano lirismo puro.
Anche questo film è la dimostrazione tangibile di come sia essenziale avere qualcosa da raccontare per fare un bella pellicola, a prescindere dai mezzi usati e dai soldi spesi: se hai una buona storia farai un buon film, come diceva il saggio.
In una Hong Kong lontana dalle luci e dagli sfarzi, alle soglie del passaggio sotto il governo della Cina Popolare, Moon, poco più che adolescente, vive la sua vita da nullafacente (ma con talento, a suo dire); svolge qualche lavoretto di riscossione da parte di un boss e si dedica con grande carattere alla protezione di un amico ritardato mentale, spesso bersagliato dalle angherie; la sua famiglia è in pieno disfacimento e la strada con le sue dure regole è il suo pane quotidiano.
L'incontro con Ah Ping, la cui madre è strozzata dai debiti e l'assistere al suicidio apparentemente senza motivo di Hui Boshan, una ragazza che compie il gesto estremo gettandosi da un palazzo di fronte al quale campeggia una enorme croce di cemento, portano nella sua vita una nuova linfa, fatta di voglia di redenzione che passa attraverso l'amore per Ah Ping e la presenza onirica della suicida.
Il pessimismo estremo di Chan condurrà la storia su binari tragici dopo averci regalato momenti di autentica e sorprendente poesia.
Il film, convine dirlo subito, è duro, durissimo, avvolto da un alone nero che a momenti stordisce man mano che le tematiche intimamente presenti si svelano: il disagio giovanile, il rapporto con la morte, il senso profondo del suicidio, vivere e morire intesi come beffardi capricci di un fato privo di ogni etica e di senso di giustizia, il temuto da molti, agognato da pochi, ricongiungimento di Hong Kong alla madre Cina; a tutto ciò fa da sfondo una società ed una città sporche , degradate, che nulla di rassicurante hanno da offrire, in cui la rabbia giovanile non sembra avere altri sbocchi che non siano comunque e sempre drammatici e a poco sembra servire il brano di Mao sulla gioventù letto alla radio che chiude il film.
Il talento visivo di Chan sa fare di questo film un gioiello purissimo, mostrandoci un realismo fatto di sporcizia e di sentimenti; l'uso delle tonalità di colore da connotati cromatici bellissimi, struggenti in certi momenti ed infine Chan ci regala una scena grandiosa, quella del cimitero, più altri momenti che trasudano lirismo puro.
Anche questo film è la dimostrazione tangibile di come sia essenziale avere qualcosa da raccontare per fare un bella pellicola, a prescindere dai mezzi usati e dai soldi spesi: se hai una buona storia farai un buon film, come diceva il saggio.
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