martedì 29 dicembre 2009

Achille e la tartaruga ( Takeshi Kitano , 2008 )


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Parabola sull'arte

Partendo dal paradosso di Achille e la tartaruga, che col film c'entra poco, ma funge da morale della storia, Kitano scrive e interpreta questa parabola sull'Arte, eterno campo di battaglia tra talento, passione e libertà espressiva.
Molto di autobigrafico , relativamente alla sua passione pittorica, c'è dentro, condito col sarcasmo e l'ironia che sono propri al Maestro giapponese.
La storia narra la parabola artistica di Machisu che vediamo sin da bambino appassionato di pittura e totalmente estraneo alle attività scolastiche; suo padre è un ricco magnate che si veste da mecenate offrendo aiuto agli artisti. Quando la fortuna negli affari volta le spalle al genitore con relativo suicidio , il piccolo sarà affidato dapprima ad uno zio rozzo e quindi ad un collegio, dove nessuno però sembra avere interesse per la sua passione.
Da giovane cerca di conciliare il lavoro con la scuola d'arte , spinto dalla convinzione che le manchino talento e conoscenza tecnica; il suo rimane comunque un approccio all'arte di tipo ancestrale , distaccato, non facendosi coinvolgere più di tanto nei fervori artistici dei suoi compagni di studio.
Infine giunto all'età matura, sposatosi con una donna che le fa da assistente, lo vediamo nei tragicomici tentativi di dare voce alla sua arte, sistematicamente rifiutata dai galleristi.
Kitano non risparmia alcun aspetto del mondo dell'arte, usando la sciabola dove serve soprattutto verso quel certo snobismo culturale che richiede all'artista sempre di andare oltre i propri limiti: fin dove l'artista è libero di esprimersi secondo le sue emozioni? Quanto lo status sociale influenza la riuscita di una opera d'arte? E' lecito per il pittore cercare di andare oltre i suoi limiti sfruttando la sua inquietudine, quando non i tormenti?
Son tutte domande cha aleggiano pesanti sullo scorrere del film, cui Kitano cerca di dare risposta, mettendo in gioco se stesso e il suo personale senso pittorico: mettendo alla berlina i quadri di Machisu, il regista sferza se stesso, essendo la gran parte delle opere presenti nel film effettivamente sue; ed indubbiamente il trionfo di colori e di forme che emergono dai dipinti sono tra le cose più belle del film.
La regia di Kitano è saggia e ben dosata tra un inizio quasi melò ed un finale che vira al grottesco, ma le qualità del regista ormai sono indiscutibili, in ogni caso; manca nella parte finale, quella in cui compare Kitano stesso, un po' di verve, troppo incentrata sui ridicoli tentativi di dar corpo ad un avanguardismo artistico che non è proprio del personaggio; una descrizione del contrasto tra la (tanta) passione ed il non eccelso talento avrebbe probabilmente giovato di più.
Sta di fatto che il film ha l'indubbio pregio di squarciare un velo sull'essenza dell'arte e sui suoi limiti, nello stesso modo in cui il paradosso di Zenone che da il titolo al film cerca di convincerci che se un qualcosa non la si ha non c'è verso di poterla raggiungere anche correndo molto più veloci di quello che dobbiamo agguantare.

2 commenti:

  1. Ammetto anche stavolta una bella dose di delusione, anche se forse questo "achille" e superiore ai precedenti; però Kitano perde molta efficacia quando non far sonare le pistole.

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  2. D'accordo sul fatto che non è il miglior Kitano, però a me non è dispiaciuto affatto, soprattutto per il suo aspetto artistico-autobiografico. Qualche graffio cattivo sugli ambienti legati all'arte non è male per nulla.

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