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Dramma della carne
Opera prima di Marina De Van apprezzata attrice nonchè cosceneggiatrice di alcuni lavori di Ozon, Dans me peau è film durissimo, che potrebbe spiazzare non poco chi vi giunge alla visione non preparato.
Esther è una giovane donna dalla vita apparentemente normalissima, ben inserita nel mondo del lavoro, felicemente accoppiata con Vincent, l'uomo che ama, fino a quando una sera per un banale incidente rimane ferita ad una gamba: da quel momento qualcosa deflagra in maniera violentissima nella sua psiche. Inizia così ad autoinfliggersi ferite, a leccarne il sangue, a conservare i brandelli di cute che si asporta, il tutto mentre continua con non poche difficoltà a tentare di condurre una vita normale fatta di cene di lavoro in cui, mentre i colleghi disquisiscono sulla qualità della vita nelle città europee , lei si affonda coltello e forchetta nelle carni . L'unico a intuire qualcosa è Vincent che però cozza contro un muro di silenzio quando chiede spiegazioni troppo razionali che Esther non sa e non vuole dare.
L'escalation della forma morbosa è inarrestabile e in un lungo quasi muto finale che vede solo la protagonista sullo schermo,...
raggiungerà vette di doloroso parossismo.
Non sappiamo cosa porti la donna ad un simile comportamento, possiamo solo intuirlo o fare delle supposizioni, ma alla fine la cosa ha poca importanza: quello che interessa la De Van è mostrare un disagio imperniato su una distorta considerazione di se stessi nel mondo estreriore che trova sollievo solo nell'affermare con le ferite la centralità del proprio essere corporeo, nel far scorrere e assaporare quel sangue che scorre dentro.
Il film colpisce con forza, aiutato in questo da una regia sapiente ridotta all'osso, scarna, con inquadrature crude ma non eccessive, in cui il dramma della donna è sempre in primo piano, scandagliato con costanza.
Bravissima anche come attrice Marina De Van , capace di portarsi sulle spalle praticamente tutto il film, in cui i suoi occhi verdi spalancati sono lo specchio di un dramma umano che non troverà quiete.
Esther è una giovane donna dalla vita apparentemente normalissima, ben inserita nel mondo del lavoro, felicemente accoppiata con Vincent, l'uomo che ama, fino a quando una sera per un banale incidente rimane ferita ad una gamba: da quel momento qualcosa deflagra in maniera violentissima nella sua psiche. Inizia così ad autoinfliggersi ferite, a leccarne il sangue, a conservare i brandelli di cute che si asporta, il tutto mentre continua con non poche difficoltà a tentare di condurre una vita normale fatta di cene di lavoro in cui, mentre i colleghi disquisiscono sulla qualità della vita nelle città europee , lei si affonda coltello e forchetta nelle carni . L'unico a intuire qualcosa è Vincent che però cozza contro un muro di silenzio quando chiede spiegazioni troppo razionali che Esther non sa e non vuole dare.
L'escalation della forma morbosa è inarrestabile e in un lungo quasi muto finale che vede solo la protagonista sullo schermo,...
raggiungerà vette di doloroso parossismo.
Non sappiamo cosa porti la donna ad un simile comportamento, possiamo solo intuirlo o fare delle supposizioni, ma alla fine la cosa ha poca importanza: quello che interessa la De Van è mostrare un disagio imperniato su una distorta considerazione di se stessi nel mondo estreriore che trova sollievo solo nell'affermare con le ferite la centralità del proprio essere corporeo, nel far scorrere e assaporare quel sangue che scorre dentro.
Il film colpisce con forza, aiutato in questo da una regia sapiente ridotta all'osso, scarna, con inquadrature crude ma non eccessive, in cui il dramma della donna è sempre in primo piano, scandagliato con costanza.
Bravissima anche come attrice Marina De Van , capace di portarsi sulle spalle praticamente tutto il film, in cui i suoi occhi verdi spalancati sono lo specchio di un dramma umano che non troverà quiete.
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