venerdì 19 agosto 2011

Arirang ( Kim Ki-duk , 2011 )

Giudizio: 5/10
Kim-barbone si autocelebra

Una volta tanto la Tv di stato, Rai tre per la precisione, compie un'opera meritoria e manda in onda in tipici orari ghezziani-ferragostani, l'ultimo lavoro del regista coreano, assente ormai da tre anni e rientrato , seppure in una rassegna collaterale, nella kermesse di Cannes con questo documentario (per ora definiamolo così) che vuole dare risposte alle numerose voci che circolavano da tempo sulla causa della prolungata assenza di Kim.
Si era vociferato a lungo di una sua grave forma di depressione che lo aveva portato ad allontanarsi dal mondo del cinema e con questo lavoro autobiografico , sotto forma di autoconfessione, il regista sembra volere confermare le voci, anche se alla fine quelli che emergono sono altri aspetti.

Il film è una lunga intervista con se stesso, a tratti sotto forma di seduta di autopsicanalisi, in altri momenti sotto forma di rimembranze, in cui Kim racconta come dopo Dream sia iniziata la sua crisi artistica e personale, mettendo come punto di inizio il trauma subito per l'incidente occorso durante le riprese del film in seguito al quale per poco non ci scappava il morto.
La doverosa premessa da fare in fase di commento del film è che se, come lui stesso dice, il girare questa confessione video è stata d'aiuto nel superare i problemi, ne siamo tutti ovviamente contenti, che però Kim ci voglia far credere che questa confessione con se stesso sia permeata di sincerità dolorosa e di genuinità, questo francamente risulta difficile da accettare.
Vederlo ridotto come un barbone che vive in una catapecchia nella quale manca il cesso, motivo per il quale assistiamo anche a un paio di defecazioni en plein air tra la neve, ma dove fanno bella mostra i numerosi riconoscimenti ricevuti nonchè le sceneggiature e i poster dei suoi lavori, suona un po' troppo di falso , al limite della presa per i fondelli. Anche le lacrime che il regista versa sanno più di recitazione per non parlare della canzone che da il titolo al film cantata in perfetto stile pansori ( chissà se lo ha sentito cantare Im Kwon-taek...) che vorrebbe infondere commozione ma che di fatto ammorba e non poco.
Quello che invece si afferma in maniera più tangibile è che sotto le mentite spoglie dell'autocelebrazione Kim mostra la sua vera faccia di persona sola, in crisi artistica, che ha vissuto con pane e cinema e che si trova invece quasi inspiegabilmente messo da parte e tradito nonostante gli onori di stampo nazionalistico decretatigli dai suoi connazionali, una volta raggiunta la fama (soprattutto e dapprima in nei festival europei).
Più che depressione insomma, solitudine, delusione e rancore efficacemente messi in mostra con una serie di epiteti sparati apparentemente al vento ma indirizzati verso coloro che lo hanno in qualche modo messo nell'angolo (i suoi aiuto-registi che lo hanno tenuto fuori dal grande giro una volta affermatisi) e che suonano come minacce di vendetta.
Momenti quindi di sincerità qua e là si affacciano, soprattutto quando parla di cinema, ma poi, anzichè approfondire il suo disagio riguardo alla sua vita privata, alla famiglia e agli affetti, quando si lancia in ovvie e inconcludenti riflessioni sul senso della vita, l'impressione che ci si trova di fronte ad una autocelebrazione un po' lamentosa torna a farsi viva prepotentemente.
In cento minuti di film c'era probabilmente da aspettarsi qualcosa di più da parte di un regista in vena di confidenze private che vorrebbe raccontare la propria vita e le difficoltà ed invece troppo spesso si ha la netta impressione di trovarsi di fronte ai soliloqui di un ubriaco da osteria all'una di notte dopo aver bevuto un paio di bottiglie di vino.
Comunque, visto che in questi giorni Kim ha annunciato il ritorno dietro la camera da presa con un lavoro girato totalmente in Europa, è probabile che l'aver messo su pellicola questa confessione-celebrazione sia stato veramente di aiuto per superare il momento difficile e di ciò non possiamo che rallegrarcene.

5 commenti:

  1. Rispetto troppo il lavoro passato del vecchio Kim per approcciare una pellicola che mi pare davvero troppo autoreferenziale per i miei gusti: non vorrei chiudere la visione con la voglia di prenderlo a calci in bocca. ;)

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  2. Purtroppo ormai sono svariati anni che Kim sta percorrendo una china desolante da quando ha raggiunto l'apice della sua cinematografia con Ferro3 e questo sembra veramente la degna chiusura di un percorso involutivo.
    Comunque ha già annunciato che presto uscirà il suo nuovo lavoro girato totalmente in Europa e dal titolo che mette i brividi : " Amen" , sperando che non sia la conclusione di una messa da requiem.

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  3. a me invece è piaciuto molto, ho visto molta sincerità in questo "autoritratto". Kim parla di un'attrice che ha rischiato di morire in un suo film...forse è davvero qui il vero punto dolente. Dopo aver visto L'isola (magnifico, un colpo di fulmine) mi ero chiesto da dove veniva quella violenza in un autore così fine, e la biografia di Kim me ne ha dato una conferma. E' probabile che Kim abbia esaurito quella fase della sua violenza interiore, e che ora stia cercando nuove strade. Il percorso iniziato con L'arco, il mito e la tradizione, era interessante ma non mi sembra che i film successivi siano stati dei passi avanti.
    Speriamo, ma in Arirang il nostro Kim sembra meso davvero male...

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  4. Vedremo. A questo punto direi che cercherò di recuperarlo, pur correndo il rischio di "bottigliarlo", come dico dalle mie parti.
    Fatti un giro, se ti va, Missile.
    Detto questo, come li recuperi tutti questi film orientali? Io faccio una fatica fottuta!

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  5. @Giuliano: a dire il vero di sincerità ce ne ho vista veramente poca, mi è sembrato come quello che "se la canta e se la suona da solo"; anche enfatizzare sull'incidente (cosa che può avvenire su tutti i set cinemtografici) mi è sembrato eccessivo. mi è sembrato più uno sfogo di una persona incavolata e sola che se l'è legata al dito.

    @James senz'altro ti verrò a trovare :) Considera che il 70% dei film orientali che vedo sono coi sub in inglese, perchè purtroppo nonostante lo sforzo enorme che fanno taluni gruppi di appassionati, quelli che si trovano coi sub in italiano sono veramente una briciola nel mare.

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