Un quartetto di attori grandissimi
Ventisei anni dopo l'uscita di Dragon Gate Inn di King Hu, pietra miliare del wuxia classico, all'interno di quella New Wave ispirata dal nume tutelare Tsui Hark, il grande Maestro si rende artefice di questo remake in veste di sceneggiatore e di produttore.
Come sempre paragonare lavori che distano così tanto nel tempo tra di loro è opera difficile, ingenerosa e tutto sommato inutile; quello che invece interessa è il tentativo di riproporre un genere classico che affonda le radici nelle tradizioni , alla luce dei nuovi tempi, operazione che Tsui Hark ha compiuto spesso e volentieri nella sua carriera, finalizzata al rilancio di un certo cinema popolare HKese.
Il regista Raymond Lee, che firma il lavoro nel quale però è fortissima l'ispirazione del produttore, prende ben presto le misure dal celebre film di King Hu, mettendo decisamente in secondo piano tutte le trame , gli inganni e i tradimenti di cui quell'opera si nutriva, in favore di un racconto forse meno sottile, ma dal forte impatto dato dai personaggi; qui la storia della lotta di potere tra gli eunuchi che dominavano la corte imperiale e le forze più fedeli all'imperatore è sommariamente raccontata nel prologo dalla voce narrante; si assiste ad un incipit che mostra la crudeltà e la sete di potere dell'eunuco Cao (un sensazionale Donnie Yen) dopo di che si viene trascinati dagli eventi nella locanda in mezzo al deserto, il Dragon Inn appunto, che diviene il palcoscenico della quasi totalità dei fatti raccontati, conferendo una sorta di misurata claustrofobia a tutto il film (citazioni a iosa si potrebbero fare, ma meglio non cadere nella trappola).
Qui il piccolo manipolo che cerca di portare in salvo i giovanissimi figli del principale oppositore di Cao mandato a morte, salvando invece i figli che debbono servirgli da guida per scovare gli altri avversari, si fronteggia con gli scagnozzi di Cao, pronti ad intervenire e che si fingono mercanti: situazione di stallo apparente con frequenti scaramucce, cui assiste tra divertimento ed opportunismo la proprietaria della locanda Jin, interessata solo ai soldi e ad accalappiare uomini.
In una situazione in cui domina l'attesa, il sospetto, il controllo vicendevole si consumano duelli tra salti e colpi di spada, amori tormentati e amori non corrisposti, si offrono ravioli di carne mista (anche umana), si fronteggiano in un duello dalla forte carica sensuale la locandiera e Mo-yan ,abilissima spadaccina ,che si strappano a vicenda i vestiti, un abilissimo cuoco che disossa in maniera mirabile e si studiano piani per portare , entrambe le fazioni, a compimento il loro compito.
Un finale da fantasy-splatter pervaso di melodramma, in cui si apprezza Donnie Yen in tutto il suo splendore malvagio, trova posto in una ambientazione quasi surreale, nel mezzo del deserto.
Avvalendosi di una schiera di ottimi interpreti, il film focalizza soprattutto i personaggi, anche quelli di contorno, offrendo al contempo momenti di frenetica spettacolarità convulsa in cui neppure un luogo chiuso e limitato nello spazio quale una locanda riesce a togliere ariosità e grandezza e di tanto in tanto vediamo affacciarsi una certa melanconia legata ai tempi bui che impediscono il concretizzarsi delle storie d'amore e della vita tranquilla.
Brigitte Lin nel ruolo di Mo-yan mostra tutto il suo fascino magnetico, Tony Leung Ka-fai nella parte del nemico giurato di Cao e Maggie Cheung in quello della locandiera Jin sono perfetti nei loro ruoli, soprattutto la Cheung che le regala quella maliziosità ricca di sguardi malandrini, ma è Donnie Yen a stupire in un ruolo da perfido come pochi, imbalsamato nel suo sguardo glaciale, pronto a regalarci però un finale pirotecnico.
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