lunedì 27 gennaio 2020

The Golden Glove [aka Il mostro di St.Pauli] ( Fatih Akin , 2019 )




The Golden Glove (2019) on IMDb
Giudizio: 8/10

A cavallo tra il 1970 e il 1975 , Fritz Honka un inquietante personaggio solitario alcolizzato e frequentatore di postriboli nel malfamato quartiere di St Pauli ad Amburgo, uccise in maniera feroce quattro donne per poi smembrarle e conservare i pezzi di cadavere dentro casa, nelle intercapedini del sottotetto o in qualche ripostiglio.
Su questo personaggio e la sua lugubre storia Fatih Akin costruisce il racconto di The Golden Glove ( uscito nelle nostre sala con lo  squallidamente evocativo titolo di Il Mostro di St Pauli ), lavoro che ci restituisce, finalmente , un autore che ultimamente non aveva sempre pienamente convinto.
Riuscire a costruire una pellicola che avesse il giusto connubio tra cronaca, seppur ormai quasi storia, ,analisi sociologica e antropologica e costruzione dei personaggi non era per nulla facile, ma Akin, con un rigore narrativo e formale impeccabile riesce in maniera più che convincente a confezionare un film bello, durissimo , al limite dell'insopportabile in alcuni passaggi ma che non cade mai nell'autocompiacimento nemmeno nei momenti autenticamente gore che presenta.


Fritz Honka è descritto come una relitto umano alla deriva di una esistenza segnata da drammi famigliari, da solitudine e da alcolismo, un essere che già con il suo aspetto, che lombrosianamente parlando possiede i tratti del volto respingenti del folle violento; vive in una catapecchia insana, lurida dove l'unica cosa che non manca è l'alcol da quattro soldi che consuma in dosi industriali; frequenta un bar squallido e lurido altrettanto dove tra ubriachi, prostitute disperate e umanità votata alla deriva implacabile passa le sue giornate dopo il lavoro di scarsissimo livello che svolge.
Il bar è per lui il pulpito dove lanciare i suoi violenti strali carichi di odio e di avversione e soprattutto è il luogo di caccia dove recluta qualche disperata attempata in cerca di alcol disposta a offrirsi alle sue perversioni sessuali, tipiche dell'impotente maniaco.
Il film si apre proprio con la scena del primo omicidio nel 1970, una scena ripresa quasi fossimo dei voyeur  nascosti dietro la porta della ributtante alcova che culmina con la morte della poveraccia , il suo successivo smembramento e la decisione di Honka di gettare alcuni pezzi in giro per la città e di tenerne altri in una intercapedine del sottotetto in cui vive che diventa così un immondo cimitero e deposito di pezzi umani, di cui cerca di nascondere il tanfo, in maniera ridicola, usando una selva di arbre magique.
In una progressione apparentemente inarrestabile il rito messo in piedi da Honka si ripete, non sempre le sventurate finiscono fatte a pezzi, qualcuna fa in tempo a scappare, qualcun'altra se la cava solo son una bella ripassata di botte, perchè alla fine per l'uomo l'importante non è tanto ammazzare quanto annientare e umiliare le sue estemporanee accompagnatrici; le sue vere fantasie sessuali sono rivolte verso una giovane liceale che casualmente ha incontrato e che da allora immagina nelle situazioni più perverse.

Per un attimo  sembra poter metter fine alla corsa verso il baratro, quando un incidente subito in starada, ubriaco ovviamente, lo porta vicino a lasciarci le penne: smette di bere, si da una ripulita alla meno peggio, si trova un lavoro un po' più dignitoso (guardiano notturno in una azienda) ma quando ricade nel vizio del bere, tutto, con maggior violenza ancora, ritorna al punto di partenza.
La sua impotenza diventa motivo di dileggio da parte delle donne che si porta a casa dietro la promessa di una bevuta, e la sua reazione è facilmente immaginabile.
Per fortuna un evento casuale metterà fine a questa esistenza fatta di orrori e di squallore.
Era molto che non si vedeva un film, che non fosse un gore dichiarato ovviamente, così cattivo, duro, lurido nelle sue tematiche e nei suoi personaggi, grazie soprattutto alla mano di Akin che riesce per prima cosa con grandissima efficacia a ricostruire una epoca storica, quella degli anni 70, nella quale il divario tra il proletariato urbano e il resto della nascente società opulenta tedesca  era enorme soprattutto in città portuali come Amburgo: il bar il cui nome è quello che dà il titolo al film è un bellissimo microcosmo fatto di violenti, sfaccendati, falliti , donne votate ala tragedia di una vita spesa tra l'alcol e qualche cliente schifoso e personaggi chiaramente off limits come Honka , che aggiungeva a queste caratteristiche la sua follia e perversione che l'alcol incendiava in maniera inarrestabile; un ritratto efficace e tristissimo di una parte di umanità che aveva smesso di vivere e che aspettava solo la morte.
Ma soprattutto, e vale la pena ripeterlo, non c'è il seppur minimo accenno di compiacimento, di estremizzazione, tutto appare perfettamente coerente con quanto Akin sta raccontando, squallore , ribrezzo e  violenza compresi che sembrano non poter non esistere in un ambiente del genere.
The Golden Glove è quindi lavoro non certo per tutti, perchè comunque le scene di violenza e quelle da horror sanguinolento ci sono e sono disturbanti come raramente si è visto negli ultimi anni , oltre all'ambientazione sporca e lurida che rimane impressa , anche perchè il regista ha di fatto reso la storia in maniera moto fedele dal punto di vista della cronaca cruda, prendendosi solo la libertà narrativa della figura della studentessa che diventa l'ossessione morbosa di Honka.
Prova eccellente quella del giovane Jonas Dassler, attore anche teatrale di grande talento, che supera a pieni voti la difficile prova di dare un volto (detestabile) ad un personaggio così estremo.


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