Giudizio: 7/10
Che Jiang Wen fosse uno tra i registi cinesi contemporanei più geniali era ormai appurato da diverso tempo grazie ai suoi film quasi tutti pietre miliari del cinema a partire da quel In the Heath of the Sun che nel lontano 1994 alla Mostra del Cinema di Venezia svelò le grandi doti del regista; che il regista stesso sia un personaggio molto sui generis, dalla grande personalità che qualcuno potrebbe scambiare per tracotanza e presunzione, amatissimo e stimatissimo in patria anche per essere attore di indubbie qualità è altrettanto noto; che i suoi lavori siano spesso ricchi di un gusto per il paradosso e l’eccesso colorati di genialità è altrettanto indiscutibile: nonostante tutto ciò Gone with the Bullets è lavoro che riesce comunque a spiazzare e del quale è veramente difficile dare una lettura completa , soprattutto riguardo a quelle che erano le reali intenzioni del regista.
Partiamo da una impressione puramente personale basata solo su qualcosa di sensoriale: sembra che Jiang Wen abbia voluto , provocatoriamente, mettere sul piatto quello che il cinema cinese può esprimere quando tenta di abbracciare Hollywood in modo quasi pedissequo; “volete lo spettacolo puro con lustrini e paillettes , eccovi serviti” sembra voler affermare col suo controverso lavoro che sia in patria che all’estero ha ricevuto commenti che abbracciano tutta la gamma dei valori, da porcata assoluta a capolavoro.
Ed in effetti Gone with the Bullets è per molti versi film non semplice, pur tenendo a mente l’esperienza cinematografica di Jiang Wen.
Nonostante il titolo ingannatore la pellicola non ha nulla a che vedere con il precedente Let's the Bullets Fly, che pur nel suo frequente ricorso alla ridondanza era lavoro coerente con lo stile di Jiang; qui periodo storico e atmosfere son ben diverse così come la struttura del film stesso.
Siamo nei primi anni 20 a Shanghai, durante i primi anni della zoppicante Repubblica Cinese che aveva abbattuto il millenario Impero Celeste; come in tutti i periodi di transizione non tutti erano disposti ad accettare il nuovo ordine , motivo per cui si creò in Cina una serie di autentiche satrapie personali a capo delle quali dominavano i signori della guerra , quasi sempre alti dignitari militari del vecchio regime imperiale cui spesso lo stesso traballante potere della repubblica doveva piegarsi.
Ma Zouri, alto dignitario della dinastia Qing ,come spesso ci ricorda nel film rammentando il suo rapporto privilegiato con la Imperatrice Cixi, ha pensato bene di riciclarsi invece come un faccendiere ante litteram, al punto che lo stesso figlio di un potente signore della guerra si rivolge a lui per riciclare denaro: in uno straordinario prologo, preceduto da una breve riflessione dello stesso Ma sullo shakespeariano To Be or not To Be, assistiamo ad una scena che sta a a cavallo tra la parodia e la citazione de Il Padrino con il protagonista che si atteggia a Don Vito Corleone, in una delle più classiche iconografie della cinema moderno.
La recensione completa può essere letta su LinkinMovies.it
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