
Giudizio: 7.5/10
Uberto Pasolini, con The Return – Itaca, il ritorno, compie un’operazione cinematografica audace: svuota l’epopea di Omero della sua dimensione eroica e mitologica per restituirne un’anima profondamente umana, dolorosa e fragile. Il viaggio di Odisseo non è più il racconto di un guerriero che trionfa sugli dèi e sulle avversità, ma quello di un uomo spezzato dal tempo, dalla guerra e dall’assenza.
In questa rilettura minimalista, il ritorno non è un trionfo, ma un faticoso processo di riconciliazione con il passato e con se stessi; Pasolini non è nuovo a racconti minimalisti che contengono però una profondità sorprendente e Itaca , il ritorno mostra questa caratteristica ormai tipica del cinema di Pasolini.
Interpretato con straordinaria intensità da Ralph Fiennes, Odisseo è qui un uomo logorato dal viaggio, appesantito dagli anni e dalle memorie che lo perseguitano. Il suo ritorno a Itaca non è un’epica rivalsa, ma un percorso intriso di esitazione e paura a cominciare dal suo risorgere dal mare come unico superstite della campagna di guerra durata molti anni e conclusa col trionfo di Troia.
Pasolini esplora il lato intimo dell’eroe, mostrandoci un Odisseo che non è più certo di ciò che troverà, che si nasconde all’inizio nelle vesti di un mendicante che trova accoglienza presso il suo servo più fidato che non a caso sarà l’unico a sospettare subito di questo vagabondo straniero che si presenta ad Itaca reduce dalla guerra per avere conferma con il commovente incontro tra Ulisse ed Argo il cane che lo attende , ormai vecchio, da anni. Il tempo ha trasformato non solo lui, ma anche la sua terra e le persone che ha lasciato. Questa incertezza lo rende fragile, quasi un’ombra dell’uomo che partì vent’anni prima.
Juliette Binoche interpreta una Penelope che incarna la strenua forza di volontà e la solitudine; il suo personaggio, privato di qualsiasi aura leggendaria, diventa il simbolo di un’attesa dolorosa e consapevole. La sua tela non è solo un trucco per ingannare i Proci, ma il riflesso di una donna che cerca di mantenere intatto un passato che le sta sfuggendo tra le dita. Tuttavia, il ritorno di Odisseo non porta con sé la tanto agognata serenità, bensì un’inaspettata estraneità. L’uomo che le sta di fronte non è più quello che ha sposato, ma un’ombra di ciò che era, un uomo tormentato da anni di guerre, di sangue e di perdite. Penelope osserva suo marito con una distanza che non è solo fisica, ma emotiva e simbolica.
In questa lettura, il personaggio di Penelope assume quasi un ruolo anti-bellico: il suo pacifismo è accentuato fino al punto da renderla una figura quasi idealizzata, in contrasto con l’oscurità che la guerra ha impresso su Odisseo. Lei rappresenta la casa, il rifugio, la continuità, ma anche la difficoltà di accogliere un uomo che porta dentro di sé il peso della morte e della distruzione.
La sua diffidenza iniziale non è solo il frutto di un test di riconoscimento, come nell’epopea omerica, ma una vera e propria reazione emotiva alla trasformazione di chi un tempo amava. Questo scontro silenzioso tra la quiete e la tempesta interiore del reduce diventa uno dei nuclei emotivi più forti del film, rendendo Penelope non solo una moglie in attesa, ma un simbolo di un mondo che rifiuta la guerra e le sue conseguenze devastanti, che inorridisce di fronte alla atroce vendetta che il marito mette in atto contro i Proci.
Uno dei fili conduttori del film è il tempo come forza inarrestabile che trasforma tutto, erodendo le certezze e ridefinendo i legami. Odisseo torna, ma non torna mai veramente: ciò che ha lasciato non esiste più, e il tempo ha reso Itaca un luogo quasi estraneo. Il suo ritorno non è solo un confronto con la propria terra, ma con la propria memoria, che si scontra con la realtà presente. Ogni cosa è cambiata: gli amici sono invecchiati o scomparsi, l’armonias ha lasciato il posto al caos, le usanze si sono evolute, persino la natura sembra aver preso una forma diversa. Ma il cambiamento più doloroso è quello che riguarda la sua famiglia.
Il rapporto con Telemaco è il nodo centrale di questa trasformazione: un figlio cresciuto senza padre, che ha imparato a definirsi senza la sua presenza e ora fatica a riconoscere l'uomo che si presenta come tale. Il tempo ha creato un solco tra loro, un’assenza che non può essere colmata con la semplice riapparizione di Odisseo.
Anche Penelope non è più la donna che lo attendeva con devozione: la sua lunga attesa l’ha resa forte e indipendente, e il marito che le ritorna appare più come uno sconosciuto che come il compagno perduto. Il film ci mostra come il tempo non sia solo un testimone silenzioso, ma un vero e proprio agente di trasformazione, capace di ridefinire le identità e i rapporti umani in modo irreversibile.
L’idea dell’identità smarrita si manifesta anche nella difficoltà di Odisseo di riconoscersi nel ruolo che aveva un tempo: marito, padre, re. Il tempo e l’esperienza lo hanno trasformato in qualcosa di diverso, e ciò che un tempo definiva la sua esistenza ora gli appare distante, sbiadito. In questo senso, The Return non è solo il racconto di un ritorno fisico, ma di un’odissea interiore: il viaggio di un uomo che cerca di riconciliare il proprio passato con il presente, consapevole che nulla può mai tornare davvero com’era.
Il tempo insomma è una forza inarrestabile che inesorabilmente trasforma tutto: Odisseo torna, ma non torna mai veramente, ciò che ha lasciato non esiste più, e il tempo ha reso Itaca un luogo quasi estraneo, egli stesso manifesta una dolorosa difficoltà di riconoscersi nel ruolo che aveva un tempo in quella terra e cioè essere marito, padre, re.
Pasolini sceglie di eliminare gli elementi soprannaturali del mito per concentrarsi sull’aspetto umano del ritorno dalla guerra. Odisseo porta con sé le cicatrici di un passato che non può dimenticare, un passato che lo ha trasformato in un uomo profondamente segnato, non solo fisicamente ma anche psicologicamente.
Il film affronta il tema del trauma post-bellico con estrema delicatezza, restituendoci l’immagine di un uomo il cui equilibrio interiore è stato alterato per sempre dal lungo conflitto e dagli orrori vissuti. Il campo di battaglia non è solo Troia, ma l’animo stesso di Odisseo, devastato da una guerra che non si è conclusa con il ritorno a casa, ma continua a tormentarlo nei ricordi e nei silenzi.
L’eroe omerico, un tempo simbolo di astuzia e determinazione, qui appare smarrito, quasi estraneo a se stesso. La guerra gli ha insegnato a sopravvivere, ma non a vivere nuovamente nella pace. Questo senso di disorientamento lo accompagna nel difficile tentativo di reinserirsi in una società che non riconosce più, mentre si confronta con l’ombra di un passato che lo perseguita. Il film suggerisce che la guerra non termina mai per chi l’ha vissuta: essa continua nel corpo e nella mente, lasciando ferite che non si rimarginano facilmente.
In questo senso, Odisseo da modello di essere umano che segue la conoscenza , la curiosità di conoscere, la tenacia di volere esplorare il mondo, diventa un archetipo dell’uomo sopravvissuto al conflitto, costretto a ridefinire la propria identità in un mondo che è andato avanti senza di lui.
Il suo sguardo perso, la sua incapacità di esprimere emozioni con la stessa intensità di un tempo, la distanza emotiva che lo separa da chi un tempo gli era vicino, sono tutti elementi che suggeriscono la difficoltà di chi, dopo la guerra, deve riapprendere a vivere.
È un uomo alla ricerca di un senso che si è smarrito nei vent’anni di battaglie e di viaggi, un uomo che teme di non riuscire mai più a ritrovare un vero equilibrio.
In The Return, Itaca non è più il luogo del trionfo e del ristabilimento dell’ordine, ma un territorio che rispecchia il vuoto interiore del protagonista.
La mitologia viene svuotata della sua grandezza e il racconto epico si trasforma in un dramma umano. Odisseo non torna come un eroe vittorioso, ma come un uomo schiacciato dal tempo e dai rimorsi. La guerra, che nel mito è un banco di prova per la gloria, qui appare come un evento devastante che annienta l’identità, lasciando cicatrici indelebili.
La scelta registica di rappresentare Itaca con un’estetica essenziale e malinconica accentua questa sensazione. La fotografia gioca con la luce naturale per creare un’atmosfera sospesa, quasi onirica, in cui la terra natia si presenta spoglia, priva di gloria, segnata dall’usura del tempo. Pasolini trasforma l’isola in un luogo della memoria più che della realtà, un palcoscenico in cui il protagonista deve fare i conti con la propria disillusione.
The Return – Itaca, il ritorno è un film che sovverte le aspettative, offrendo una meditazione sulla perdita, sul cambiamento e sulla ricerca di un’identità che si sgretola con il tempo. Uberto Pasolini firma un’opera intensa e intimista, che rinuncia al fascino dell’epica per scavare nelle profondità dell’animo umano.
La regia essenziale e rigorosa accompagna il racconto con un'estetica minimalista che esalta il senso di spaesamento del protagonista. La fedeltà al racconto omerico è reinterpretata in chiave psicologica, riducendo al minimo gli elementi mitologici e concentrandosi sulla dimensione umana del ritorno.
La ricostruzione storica delle ambientazioni e delle atmosfere è curata nei minimi dettagli, offrendo uno scenario realistico e privo di eccessi stilistici, in cui l'antichità emerge attraverso la semplicità degli oggetti, dei costumi e dei paesaggi.
È un film che invita alla riflessione, che lascia un senso di malinconia e che pone una domanda essenziale: possiamo davvero tornare a casa, o il passato è un luogo in cui non possiamo più abitare?
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.