
Giudizio: 8.5/10
La narrazione di Tsukamoto è volutamente frammentaria e immersiva. Il regista utilizza lunghi silenzi, sguardi prolungati e una messa in scena minimale per costruire un'atmosfera sospesa, in cui la violenza della guerra è sempre presente, pur restando fuori campo. Non ci sono scene di battaglia, solo qualche isolato colpo di arma da fuoco sufficiente però a stravolgere i protagonisti, ma l'eco del conflitto risuona in ogni inquadratura, persino nei sogni o nelle immagine quasi allucinate in cui un tappeto si trasforma nella veduta di una città rasa al suolo dalla quale emerge solo qualche rovina
Uno degli elementi centrali del film è il modo in cui Tsukamoto affronta il trauma e la memoria. Shadow of Fire non parla della guerra in sé, ma delle sue conseguenze, dell’incapacità di lasciarsi alle spalle il passato e della difficoltà di costruire un futuro. Il titolo stesso suggerisce un mondo in cui la distruzione ha lasciato un segno indelebile, un’ombra che avvolge i personaggi e li condanna a una perpetua lotta interiore.
Visivamente, il film alterna momenti di crudo realismo a sequenze quasi oniriche, in cui la luce e l’oscurità si mescolano per rappresentare il conflitto interiore dei protagonisti. La fotografia cupa e granulosa richiama l’estetica del neorealismo e dei film di guerra giapponesi del dopoguerra, ma con un tocco moderno che esalta la sensibilità autoriale di Tsukamoto.
L’uso del sonoro è un altro aspetto cruciale: rumori di passi nella polvere, il vento che soffia tra le rovine, i suoni della natura che cercano di riaffermarsi tra le macerie creano un paesaggio sonoro che avvolge lo spettatore e lo immerge in una dimensione quasi sensoriale.
A differenza di molti film di guerra che si concentrano sugli eventi bellici e sull’eroismo, Shadow of Fire si avvicina a opere come L’infanzia di Ivan di Andrej Tarkovskij , che esplorano la devastazione psicologica lasciata dal conflitto. Tsukamoto riprende il suo interesse per i corpi segnati dalla violenza (già evidente in Tetsuo-The Iron Man e Fires on the Plain) ma qui lo fa con una delicatezza inedita, mettendo in scena personaggi fragili e feriti, lontani dalle figure tipiche dei film di guerra.
Il trauma bellico è la tematica centrale del film e permea ogni aspetto della vita dei protagonisti: la giovane donna è costretta a vendere il proprio corpo per sopravvivere, un gesto che diventa metafora della devastazione fisica e psicologica inflitta dalla guerra, della perdita della dignità e della necessità di adattarsi a un mondo in rovina. Il bambino con la pistola, forse la figura più emblematica del film, è il ritratto di un’infanzia spezzata, cresciuta nell’assenza di affetti e di riferimenti morali, e ora costretta a confrontarsi con la violenza come unica forma di linguaggio. L’ex soldato, invece, incarna il peso della colpa e la difficoltà di conciliare la sopravvivenza con il ricordo delle atrocità vissute e, forse, commesse; l’altro soldato a sua volta mostra la schiavitù e l’ossessione per la vendetta che si vorrebbe purificatrice ma che invece fa sprofondare nell’abbisso della disperazione.
L’elemento più doloroso del film è la necessità per i personaggi di saldare i conti con un passato che non si può cancellare. Il trauma della guerra non si esaurisce con la fine del conflitto, ma continua a vivere nelle coscienze di chi è sopravvissuto, costringendolo a portare sulle spalle il fardello della distruzione. Tsukamoto non offre soluzioni facili: il dolore si insinua nei silenzi, nei gesti, negli sguardi carichi di rimorsi e paure. La pistola che il bambino porta con sé diventa il simbolo di un’eredità di violenza impossibile da spezzare, un oggetto che rappresenta tanto la protezione quanto la minaccia costante di una nuova esplosione di brutalità.
Visivamente, il film amplifica questo senso di inquietudine e disagio attraverso un’estetica cupa e opprimente, fatta di contrasti netti tra luce e ombra, di primi piani intensi che catturano il tormento interiore dei protagonisti, e di una colonna sonora che sottolinea il vuoto e la desolazione del paesaggio post-bellico.
La guerra è finita, ma il conflitto continua nelle anime di chi è rimasto; e Tsukamoto mette in scena un dramma , che è stato nei fatti una tragedia per tutta l’umanità , con una pietas strabiliante, con una costruzione del racconto mirabile e ovviamente con una regia , un montaggio ed una fotografia straordinari che confermano la bravura di questo grande cineasta.
Con Shadow of Fire, Tsukamoto firma un’opera potente e meditativa, che riflette sulla condizione umana in tempo di guerra e sulla capacità di resistere alla disperazione. Il film non offre risposte facili né soluzioni consolatorie, ma invita lo spettatore a confrontarsi con la brutalità della storia e con il peso che essa lascia sulle vite individuali.
Lontano dai classici racconti bellici e dalle rappresentazioni epiche del conflitto, Shadow of Fire si impone come un film intimo e doloroso, che esplora le ombre della guerra con uno sguardo profondamente umano.
Che sia giunto finalmente il momento che anche nei cinema italiani si renda il giusto omaggio a Shinya Tsukamoto, ufficialmente per il suo 65° compleanno, più verosimilmente per non finire col rimanere ad essere tra i pochi paesi che non abbiano reso omaggio ad uno dei più grandi cineasti giapponesi del cinema moderno ?
Preceduta dalla proiezione del suo ultimo lavoro Shadow of Fire nei cinema dalla metà di marzo, seppure con colpevole ritardo di due anni, ma meglio tardi che mai… da aprile sarà possibile vedere sul grande schermo una rassegna con alcuni dei suoi più importanti lavori fin dall’inizio della sua carriera.
Il regista giapponese oltre ad essere rimasto tra i pochissimi veri artigiani del cinema , intesi come amanti dell’arte cinematografica in ogni suo aspetto, con gli ultimi tre lavori, sotto forme diverse e con storie non sempre sovrapponibili, ha intrapreso una lunga riflessione sulla guerra e sugli effetti che essa produce sull’essere umano, intesi non solo come danni fisici, ma anche e soprattutto danni alla psiche proprio per chi è riuscito a sopravvivere alla morte in guerra.
Shinya Tsukamoto continua la sua esplorazione del trauma e della violenza con Shadow of Fire, un'opera che si inserisce nel filone del cinema bellico ma lo affronta da una prospettiva intima e post-bellica. Il film, ambientato nel Giappone devastato della Seconda Guerra Mondiale, segue alcune figure inquiete che cercano di sopravvivere tra le macerie fisiche e psicologiche del conflitto.
La storia si sviluppa attorno a quattro personaggi principali: una giovane donna, proprietaria di un locale ridotto ormai a bettola in mezzo alle macerie che si prostituisce per poter sopravvivere, un bambino orfano che si aggira tra le rovine cercando di sbarcare il lunario e che stringe un legame affettuoso con la donna e un ex soldato di passaggio che tenta di ricostruire un'esistenza in un mondo sconvolto; per un attimo i tre sembrano quasi convergere in una nuova famiglia surrogata , ma presto le devastazioni interiori della guerra sin presenteranno a chiedere il conto; ed infine un altro soldato che si accompagna col ragazzino , nel frattempo allontanatosi dalla donna , che va alla ricerca di una illusoria e vendetta di redenzione.
Il film non si limita a raccontare le loro vite, ma si immerge nelle loro emozioni più profonde, mostrando il dolore, la paura e la speranza che li muovono, ci mostra i postumi degli orrori che emergono durante la notte che non abbandonano nessuno dei protagonisti.
Preceduta dalla proiezione del suo ultimo lavoro Shadow of Fire nei cinema dalla metà di marzo, seppure con colpevole ritardo di due anni, ma meglio tardi che mai… da aprile sarà possibile vedere sul grande schermo una rassegna con alcuni dei suoi più importanti lavori fin dall’inizio della sua carriera.
Il regista giapponese oltre ad essere rimasto tra i pochissimi veri artigiani del cinema , intesi come amanti dell’arte cinematografica in ogni suo aspetto, con gli ultimi tre lavori, sotto forme diverse e con storie non sempre sovrapponibili, ha intrapreso una lunga riflessione sulla guerra e sugli effetti che essa produce sull’essere umano, intesi non solo come danni fisici, ma anche e soprattutto danni alla psiche proprio per chi è riuscito a sopravvivere alla morte in guerra.
Shinya Tsukamoto continua la sua esplorazione del trauma e della violenza con Shadow of Fire, un'opera che si inserisce nel filone del cinema bellico ma lo affronta da una prospettiva intima e post-bellica. Il film, ambientato nel Giappone devastato della Seconda Guerra Mondiale, segue alcune figure inquiete che cercano di sopravvivere tra le macerie fisiche e psicologiche del conflitto.
La storia si sviluppa attorno a quattro personaggi principali: una giovane donna, proprietaria di un locale ridotto ormai a bettola in mezzo alle macerie che si prostituisce per poter sopravvivere, un bambino orfano che si aggira tra le rovine cercando di sbarcare il lunario e che stringe un legame affettuoso con la donna e un ex soldato di passaggio che tenta di ricostruire un'esistenza in un mondo sconvolto; per un attimo i tre sembrano quasi convergere in una nuova famiglia surrogata , ma presto le devastazioni interiori della guerra sin presenteranno a chiedere il conto; ed infine un altro soldato che si accompagna col ragazzino , nel frattempo allontanatosi dalla donna , che va alla ricerca di una illusoria e vendetta di redenzione.
Il film non si limita a raccontare le loro vite, ma si immerge nelle loro emozioni più profonde, mostrando il dolore, la paura e la speranza che li muovono, ci mostra i postumi degli orrori che emergono durante la notte che non abbandonano nessuno dei protagonisti.
La narrazione di Tsukamoto è volutamente frammentaria e immersiva. Il regista utilizza lunghi silenzi, sguardi prolungati e una messa in scena minimale per costruire un'atmosfera sospesa, in cui la violenza della guerra è sempre presente, pur restando fuori campo. Non ci sono scene di battaglia, solo qualche isolato colpo di arma da fuoco sufficiente però a stravolgere i protagonisti, ma l'eco del conflitto risuona in ogni inquadratura, persino nei sogni o nelle immagine quasi allucinate in cui un tappeto si trasforma nella veduta di una città rasa al suolo dalla quale emerge solo qualche rovina
Uno degli elementi centrali del film è il modo in cui Tsukamoto affronta il trauma e la memoria. Shadow of Fire non parla della guerra in sé, ma delle sue conseguenze, dell’incapacità di lasciarsi alle spalle il passato e della difficoltà di costruire un futuro. Il titolo stesso suggerisce un mondo in cui la distruzione ha lasciato un segno indelebile, un’ombra che avvolge i personaggi e li condanna a una perpetua lotta interiore.
Visivamente, il film alterna momenti di crudo realismo a sequenze quasi oniriche, in cui la luce e l’oscurità si mescolano per rappresentare il conflitto interiore dei protagonisti. La fotografia cupa e granulosa richiama l’estetica del neorealismo e dei film di guerra giapponesi del dopoguerra, ma con un tocco moderno che esalta la sensibilità autoriale di Tsukamoto.
L’uso del sonoro è un altro aspetto cruciale: rumori di passi nella polvere, il vento che soffia tra le rovine, i suoni della natura che cercano di riaffermarsi tra le macerie creano un paesaggio sonoro che avvolge lo spettatore e lo immerge in una dimensione quasi sensoriale.
A differenza di molti film di guerra che si concentrano sugli eventi bellici e sull’eroismo, Shadow of Fire si avvicina a opere come L’infanzia di Ivan di Andrej Tarkovskij , che esplorano la devastazione psicologica lasciata dal conflitto. Tsukamoto riprende il suo interesse per i corpi segnati dalla violenza (già evidente in Tetsuo-The Iron Man e Fires on the Plain) ma qui lo fa con una delicatezza inedita, mettendo in scena personaggi fragili e feriti, lontani dalle figure tipiche dei film di guerra.
Il trauma bellico è la tematica centrale del film e permea ogni aspetto della vita dei protagonisti: la giovane donna è costretta a vendere il proprio corpo per sopravvivere, un gesto che diventa metafora della devastazione fisica e psicologica inflitta dalla guerra, della perdita della dignità e della necessità di adattarsi a un mondo in rovina. Il bambino con la pistola, forse la figura più emblematica del film, è il ritratto di un’infanzia spezzata, cresciuta nell’assenza di affetti e di riferimenti morali, e ora costretta a confrontarsi con la violenza come unica forma di linguaggio. L’ex soldato, invece, incarna il peso della colpa e la difficoltà di conciliare la sopravvivenza con il ricordo delle atrocità vissute e, forse, commesse; l’altro soldato a sua volta mostra la schiavitù e l’ossessione per la vendetta che si vorrebbe purificatrice ma che invece fa sprofondare nell’abbisso della disperazione.
L’elemento più doloroso del film è la necessità per i personaggi di saldare i conti con un passato che non si può cancellare. Il trauma della guerra non si esaurisce con la fine del conflitto, ma continua a vivere nelle coscienze di chi è sopravvissuto, costringendolo a portare sulle spalle il fardello della distruzione. Tsukamoto non offre soluzioni facili: il dolore si insinua nei silenzi, nei gesti, negli sguardi carichi di rimorsi e paure. La pistola che il bambino porta con sé diventa il simbolo di un’eredità di violenza impossibile da spezzare, un oggetto che rappresenta tanto la protezione quanto la minaccia costante di una nuova esplosione di brutalità.
Visivamente, il film amplifica questo senso di inquietudine e disagio attraverso un’estetica cupa e opprimente, fatta di contrasti netti tra luce e ombra, di primi piani intensi che catturano il tormento interiore dei protagonisti, e di una colonna sonora che sottolinea il vuoto e la desolazione del paesaggio post-bellico.
La guerra è finita, ma il conflitto continua nelle anime di chi è rimasto; e Tsukamoto mette in scena un dramma , che è stato nei fatti una tragedia per tutta l’umanità , con una pietas strabiliante, con una costruzione del racconto mirabile e ovviamente con una regia , un montaggio ed una fotografia straordinari che confermano la bravura di questo grande cineasta.
Con Shadow of Fire, Tsukamoto firma un’opera potente e meditativa, che riflette sulla condizione umana in tempo di guerra e sulla capacità di resistere alla disperazione. Il film non offre risposte facili né soluzioni consolatorie, ma invita lo spettatore a confrontarsi con la brutalità della storia e con il peso che essa lascia sulle vite individuali.
Lontano dai classici racconti bellici e dalle rappresentazioni epiche del conflitto, Shadow of Fire si impone come un film intimo e doloroso, che esplora le ombre della guerra con uno sguardo profondamente umano.
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