Giudizio: 5/10
Uno spiazzo sterrato tra gli alberi che funge da parcheggio, un breve sentiero nel bosco che porta ad una pietraia scoscesa che funge da spiaggia di un tranquillo angolo di un lago della Provenza, uomini nudi distesi al sole pronti ad aguzzare lo sguardo e a dare segni di vita solo quando arriva qualcuno in spiaggia, un corpulento uomo solitario che guarda lo specchio d'acqua , lunghe nuotate nel silenzio rotto solo dallo sciabordio delle piccole onde, escursioni nel bosco umbratile alla ricerca di occasionali rapporti consumati in fretta tra preservativi usati, cartacce ed aghi di pino, passioni che esplodono alla sola vista di corpi abbronzati, onanisti voyeur; poi c'è un morto ripescato, la passione diventa quasi ossessione e ricerca di qualcosa di più completo, la gelosia affiora e si scivola dal morboso al tentativo di thriller a tinte chabroliane.
Tutto ciò è Lo Sconosciuto del Lago, tralasciando le esplicite scene di sesso omosessuale con tanto di particolari anatomici ben ostentati.
Qualche dialogo filosofico, mai pecoreccio , sulla omosessualità e la solitudine tra il protagonista Frank e il panzone sconosciuto che passa le sue giornate a fare nulla, che non si avventura nel bosco, lui che è un ex abitué e reduce di Cap d'Agde quando era sposato, mica Rimini cavolo e un racconto che circolarmente ripete, quasi fosse un loop ossessivo le sue immagini.
Diciamolo chiaro: se lo Sconosciuto del Lago fosse stato un film di amori eterosessuali strutturato nella stessa maniera, sarebbe stato definito dalla critica che esalta questo, come una porcata, degna del peggior Lars Von Trier pornomane, e quindi viene spontaneo chiedersi: può la sola tematica omosessuale ribaltare il giudizio su un film? Proprio oggi, in epoca di sacrosanta e giusta omologazione dell'amore sotto ogni forma, può ancora destare ammirato stupore una storia banale e scontata solo perchè gay?
In tutta onesta, fossi gay, mi sentirei a disagio più dalla visione di film come questo che dall'omofoba ritrosia sociale dura a morire.
Dove il film sa invece offrire qualche lampo di interesse è nella buona regia, nel creare quel clima paradossalmente claustrofobico da recinto che ispira la bianca spiaggetta, nel sapere dare voce allo stormire di fronde e al frangere delle onde in uno stile che pare richiamare addirittura il grande Rohmer, nel sapere offrire il lato luminoso e quello oscuro dell'estate, come si apprezza nel finale che tutto sommato risulta , anche dal punto di vista narrativo, uno dei momenti più validi del film.
Il mondo del Cinema francese ha idolatrato questo lavoro , non solo con una messe di nomination ai Cesar, ma anche con il massimo riconoscimento sulla Croisette nella sezione Un Certain Regard: forse vale la pena pensare, a parziale consolazione, che ultimamente se il nostro cinema non ride , quello oltralpe non sta molto meglio.
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