Giudizio: 8/10
La Roma sacra e la Roma puttana
La Roma di Paolo Sorrentino sembra rimandare ad archetipi antichi, a cartoline cinematografiche del passato su cui è stampigliata la firma indelebile di Federico Fellini: La Grande Bellezza sembra muoversi verso quei modelli, salta subito alla memoria e all'occhio La Dolce Vita e Roma del Maestro riminese, ma il rimando è quasi automatico, come un riflesso condizionato, probabilmente improprio perchè Sorrentino non ha la stessa pietas narrativa di Fellini, non chiede empatia per i suoi personaggi, semmai suscita e invoca sentimenti opposti dal disgusto al disprezzo più totali, pur servendosi di un bestiario umano e di una gusto per il grottesco affini al grande regista de La Dolce Vita.
La Roma di Fellini era il caos del GRA , le sfilate di moda dell'abbigliamento clericale, i rioni popolari, quella di Sorrentino è la Città Eterna Sacra delle chiese barocche e dei palazzi signorili, è la Roma del Colosseo ma è soprattutto la Roma puttana e sguaiata, il ventre molle in cui galleggiano i disperati che hanno venduto l'anima al divertimento a tutti i costi, gli psudo-colti che vivono di gossip e di falso edonismo; una umanità che trova nelle Feste sulle terrazze vista-mozzafiato la sua esaltazione fatta di cattivo gusto e di apparenza, dove saltano felici al ritmo delle canzoni dell'estate che lavano il cervello donnine scosciate, milf che tentano di essere arrapanti con movenze sinuose ed ammiccanti, peracottari arricchiti, cialtroni di ogni risma, cocainomani attempati e, primo fra tutti Jep Gambardella, autentico deus ex machina di questa grottesca movida privata notturna, colui che crea e distrugge le feste, che fa della mondanità l'essenza di una vita annoiata e arrendevole.
Proprio Gambardella ,che fu anni prima uno scrittore insignito del Premio Bancarella e che da allora vivacchia come giornalista di costume, fustigatore di mode e arti, diventa nel racconto di Sorrentino un Virgilio ben poco poetico, semmai disilluso e stanco, legato ad una mondanità di necessità perchè è l'unico aspetto della vita che conosce, salvo domandarsi spesso, guardando il bestiario umano che lo circonda, se tutto ciò ha un senso; un uomo che è il re delle feste romane, ma che rimembra il primo amore giovanile sugli scogli sotto il faro dell'isola, un tuttofare che dispensa pillole di saggezza disincantata da uomo fallito e che fa a pezzi chi cerca ipocritamente di emergere dalla melma dove sguazza (la scena con la critica feroce all'amica scrittrice).
Posto per l'umanità vera ce n'è poco al di fuori di questa miriade di personaggi che recitano il loro ruolo in una vita miserabile e surreale: solo uno scrittore teatrale fallito ed una spogliarellista attempata sembrano avere i tratti di coloro che tentano di uscire dal coro, che vivono con disagio crescente un ambiente così malsano , dove persino i funerali sono show, dove gli altri prelati si perdono in chiacchiere da cuochi allo sbaraglio e dove persino una santa centenaria appare troppo poco santa e molto ingranaggio di un meccanismo perverso.
Sullo sfondo di tutto c'è Roma, la città dei mille monumenti, vista da angolature spettacolari ed originali, la città che sa offrire sempre un fugace squarcio di bellezza, una città che foraggia il suo ventre molle ma intimamente lo disprezza , proponendo come contraltare il suo lato più suggestivo, quella Grande Bellezza cui allude il titolo.
Sorrentino si conferma, dopo il poco convincente This must be the place, scrittore di grande livello, perchè La Grande bellezza ha anzitutto una sceneggiatura coi controfiocchi, sulla quale il gusto per il grottesco e per l'estetica del regista intessono una trama sfavillante, ricca di mille sfumature che disegnano con freddezza e con una lucidità chirurgica gli aspetti di una umanità votata al degrado, al punto che la battuta di tutto il film che più lo rappresenta è quella del vicino di casa di Gambardella arrestato dalla DIA perchè pericoloso criminale: " In questo paese è la gente come noi che fa andare avanti le cose!"
La Grande Bellezza è film bello che merita di essere visto con occhio disincantato, libero da certi pregudizi che accompagnano ormai costantemente i lavori di Sorrentino, dove anche il cast particolarmente ricco da il meglio di sè, a partire dall'immancabile Toni Servillo fino a un insolito Carlo Verdone, patetico parvenu della movida notturna, pesce fuor d'acqua che compie l'unico gesto eroico del film e a una sorprendente Sabrina Ferilli, che oltre a donarsi generosamente nelle sue nudità e a mostrare un grottesco tatuaggio di Woityla, regala una bella prova nei panni della spogliarellista matura.
Bel commento, assolutamente condivisibile. Solo una puntualizzazione: la Roma di Sorrentino non è solo quella dei debosciati pieni di soldi e vuoti di valori. Il personaggio di Verdone (splendido, secondo me) è emblematico: anche i poveracci cercano in ogni modo di arrampicarsi su quella scala sociale, senza rendersi minimamente conto dello squallore di chi la frequenta. Spietato ed esemplare ritratto della nostra epoca.
RispondiEliminaVero, per non dilungarmi troppo ho un po' accantonato la figura di Verdone , che , però, va sottolineato, è un "burino" come diciamo noi , cioè viene dalla provincia, dove tornerà apparentemente sconfitto, ed è comunque, insieme al personaggio della Ferilli ,l'unico che mostra ancora un fondo di dignità.
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