Giudizio: 8/10
Quale legame inseguire?
Il Premio Speciale della Giuria del Festival di Cannes, assegnato al regista giapponese Hirokazu Kore-eda è il giusto riconoscimento per un cineasta che con Like Father, Like Son è giunto al suo nono lavoro e che presenta una filmografia fatta di pellicole che quasi tutte, per un motivo o per l'altro, hanno lasciato il segno nel panorama giapponese, risultando uno degli autori più attenti soprattutto alle tematiche famigliari che come sappiamo costituiscono uno dei cardini narrativi del cinema Giapponese.
Quest'ultimo lavoro, senza dubbio non il migliore del regista, è comunque un film bello, che si contraddistingue per il suo stile inconfondibile , uno dei puni di forza del cinema di Kore-eda: è un racconto che ti aspetti e nonostante ciò è capace di stimolare l'interesse e di toccare i sentimenti.
Come spesso è avvenuto nei lavori precedenti la trama del film è piuttosto esile, con pochissimi snodi, lineare nella sua semplicità e racconta di due famiglie cui , dopo 5 anni, viene comunicato che i loro figli sono stati vittima di uno scambio (non troppo accidentale scopriremo poi) nell'ospedale dove sono nati.
Da una parte c'è Keita, la cui famiglia attuale, risponde ai classici paradigmi della società competitiva giapponese: bella casa, esistenza agiata, padre votato al lavoro e convinto assertore della disciplina famigliare all'insegna del "fai sempre meglio degli altri", moglie dedita alla cura del focolare domestico; dall'altra Ryusei che vive invece in una famiglia meno abbiente, in cui regna un po' di sana anarchia e dove l'affetto dei genitori sembra essere più spontaneo e genuino .
Accettare lo scambio? E se sì come gestirlo? Oppure rifiutarlo sapendo che quello che si sta allevando non è il proprio figlio biologico? Rinunciare a quello che si è costruito con l'affetto in favore del richiamo del sangue? Su questi dubbi e domande si basa la traccia principale del film che però , e qui sta la bravura di Kore-eda e il punto di forza del racconto, non cade mai nel drammatico, non presenta situazioni strappalacrime, direi che evita con grande chiarezza ovvietà e facili sentimentalismi; questa d'altronde è stata da sempre la scelta del regista nel raccontare le sue storie.
Chi si aspetta un film su problematiche genitori-figli farà bene a riporre le aspettative: il film racconta sì di questo rapporto , ma su basi molto istintive, quasi naturalistiche, ma soprattutto è un forte racconto sulla paternità (o sulla genitorialità in senso lato); cosa fa di un uomo un buon padre? e come può definirsi tale? è più forte il legame ancestrale, che sembrerebbe prerogativa femminile, o quello che si costruisce con l'affetto , con l'educazione e con la partecipazione?
Kore-eda una risposta la accenna, anche se il finale può lasciare spazio a qualche ambiguità che però non disturba, semmai incuriosisce; quello che il regista metta in scena è la presa di coscienza da parte soprattutto di Ryota, il padre "acquisito" di Keita, che la paternità non si costruisce su schemi rigidi, che mandare il figlio nella migliore scuola o spingerlo a studiare il piano oppure che la competitività e la dedizione assoluta possono anche non essere sufficienti se non si crea quella complicità e quella attenzione che invece la famiglia di Ryusei sembra regalare al ragazzino.
Quello che fa di Like Father, Like Son un film che si fa apprezzare è che, nonostante i tempi piuttosto dilatati , tipici del regista giapponese, emerge un forte senso umoristico e una leggerezza nel racconto capaci di ingenerare più che commozione una tenera partecipazione e , tutto sommato, possono anche essere considerate piccole pecche sia la scarsa comprensibilità del gesto dell'infermiera che da il via all'affaire sia il fatto che non credo sia così semplice anche in Giappone trattare ragazzini di cinque anni come pacchi senza scatenare in loro reazioni inconsulte.
Come sempre Kore-eda costruisce un racconto che fa della pulizia stilistica e della profonda moralità i due assi portanti, senza ostentazione e senza pedanteria, continuando in quella sua disamina dei vari aspetti dei ruoli all'interno della famiglia che hanno fatto di lui uno degli autori più "lirici" del panorama cinematografico mondiale.
Anche stavolta la scelta dei ragazzini è stata prossima al prodigioso: entrambi bravissimi e splendidamente calati nel ruolo, soprattutto riguardo alle loro diversità caratteriali; al loro fianco Masaharu Fukuyama, Machiko Ono , Lily Franky e Yoko Maki ben si integrano nel ruoli di genitori, mettendo bene in risalto le differenze di filosofia di vita che contraddistinguono i protagonisti
Molto bello, ricco di sfumature, e con attori-bambini eccezionali (questa non è una novità per il regista, sin dai tempi di "Nobody knows")! E spicca anche all'interno di un festival di Cannes che di film belli ne ha offerti parecchi. Invece ho visto da poco "Air Doll" (che finora mi mancava) e l'ho trovato finora il più deludente di tutta la carriera di Koreeda.
RispondiElimina