E' il 1945 , un villaggio sperduto tra le montagne della Cina dal nome profetico di Armappesa all'ombra della Grande Muraglia, di lì a poco la guerra avrà fine, una guerra che agli occhi dei contadini del villaggio ha la faccia della banda giapponese che ogni giorno scende al mare dal fortino che sovrasta le case suonando una marcetta militare, tra fanciulli curiosi e caramelle regalate, quasi una quotidiana fiera di paese insomma.
Le cose cambiano drasticamente quando uno sconosciuto bussa alla porta di Ma Dasan e con modi poco amichevoli gli consegna due sacchi con dentro due soldati giapponesi: il contadino dovrà tenerli nascosti per alcuni giorni fino a quando qualcuno tornerà a riprenderli.
Nel villaggio il trambusto è totale e lo diviene ancora di più quando il tempo passa e nessuno viene a ritirare i due. Frenetiche riunioni tra gli uomini del villaggio, interrogatori burla giocati sull'incomprensione linguistica, discussioni senza fine su cosa fare dei due non portano a nulla. Neppure la decisone di disfarsene uccidendoli risolve nulla, visto che lo stesso Ma Dasan, incaricato del compito , all'ultimo desisterà, probabilmente per atto di pietà.
Si decide al fine di mettere in piedi una sorta di pantomima burlesca con la quale riconsegnare i giapponesi alla loro guarnigione ed ottenere in cambio provviste alimentari.
Il capitano Sakatsuka accetterà lo scambio , il grano arriva nel villaggio, esplode la festa , giapponesi e cinesi assieme, ma all'improvviso qualcuno si ricorda che c'è la guerra e , nonostante il Giappone abbia appena dichiarato la resa, l'ultimo atto militare decretato dal capitano della guarnigione nipponica sarà atroce.
Nonostante le abbbondanti due ore e mezzo , il film è un piccolo grande gioiello, sicuramente uno dei film sulla guerra più belli visti negli ultimi tempi, anche grazie alla regia spettacolare e splendidamente furba di Jiang: inizio con immancabile marcetta, prima parte giocata con un bellissimo tono da commedia brillante, infarcita di equivoci e di gag più o meno involontarie, clima paesano sapientemente dipinto tanto da rendercelo subito familiare, ironica descrizione della cultura di due popoli che rasenta il grottesco con intelligenza, fino allo scoppio finale, sapientemente apparecchiato, proprio come la tavolata approntata per la festa dell'arrivo del grano; ma, come detto, Jiang molto furbescamente ci instilla dentro un'attesa per qualcosa di inevitabile che quando giungerà con le stigmate della ferocia e della violenza pura, non ci troverà impreparati, pur colpendoci pesantemente.
Nel finale v'è anche una lettura socio-politica della guerra, nella quale c'è sconfitta, dolore e morte per tutti, grottescamente e simbolicamente rappresentata dal maggiore cinese che arringa il paese e che ha costantemente accanto due militari americani che masticano spasmodicamente chewing gum e che sembrano più due paggi di corte che dei soldati.
Il bianco e nero un po' retro ma luminosissimo dona una certa qual magia alla pellicola, squarciata da un minuto di colore proprio sulla scena finale, impregnata di simbolismo autentico e tutt'altro che gratuito.
Guerra vista dal basso dunque, dagli occhi di contadini affacendati a sbarcare il lunario , che la vivono essenzialmente come una seccatura per le loro attività , tranne qualche ideologo casereccio e sempliciotto fautore della pace a costo anche del collaborazionismo o qualche invasato propugnatore del "morte ai giappi"; nonostante l'ampia ariosità delle scene che si respira in larghi tratti è essenzialmente quella intimistica la lettura degli eventi bellici, un intimismo pavido e fiero al tempo stesso che dimostra come , al di là degli slogan ativici sull'odio cino-nipponico, la guerra per molte coscienze è lontana anni luce.
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