domenica 14 febbraio 2010

A history of violence (David Cronenberg , 2005)

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La violenza è ovunque , basta portarla a galla

David Cronenberg è regista duro, diretto che usa la forza delle immagini in maniera secca , senza interposizioni e mediazioni sia quando  racconta le mutazioni corporeee che quelle dell'anima: in History of violence non viene meno al suo stile e costruisce un film drammatico fino all'inverosimile, nel senso non catalogativo del termine, bensì nell'essenza stessa del dramma. Anzi a ben guardare potrebbe essere definito un thriller classico questo lavoro, se non fosse che l'aspetto narrativo dominante non è certo la storia ad alta tensione che si svuluppa, ma la descrizione di una violenza geneticamente determinata e che appartiene ineluttabilmente a tutti.
La lunga scena iniziale, vissuta come una sorta di incubo, è in perfetto stile tarantiniano e fa da prologio ideale alla storia di una famiglia come tante della provincia americana: un padre gestore di un bar, una mdre avvocato, un figlio maschio adolescente e una figlia bambina; quasi il perfetto sogno sogno americano fatto realtà, un american style life fatta di armonia e benessere, su cui tutto scivola senza lasciare tracce.
L'improvviso impatto con una realtà anch'essa molto americana fatta di delinquenti che rapinano il bar di Tom finendo con l'essere uccisi dalla sua reazione e la altrettanto improvvisa notorietà che l'uomo acquisisce nella città grazie al suo gesto eroico, hanno il potere di fare deragliare il film e tutte le esistenze, portando da una serie di eventi che connotano una storia fatta di violenza ancestrale.
Tom in realtà , molti anni prima era un altro: un killer violento e spietato che mal si sovrappone alla faccia pulita di Viggo Mortensen, ma che dei gangster venuti da Filadelfia fanno tornare a galla in un modo che nessuno, neppure lo stesso Tom, può nascondere; ha lasciato troppi conti in sospeso con la vecchia vita ed ora è giunto il momento di saldarli.
La mutazione di Tom sarà drammatica e spiatata, seppur indirizzata solo alla conservazione della sua nuova identità, e ,soprattutto, ogni cosa intorno a lui cambierà come se il tappo improvvisamente saltato via avesse fatto fuoriuscire qualcosa di incontrollabile: il figlio reagirà con inaudita violenza alle angherie dei bulli della scuola, la moglie , lasciando da parte i giochini similadolescenziali propedeutici al sesso, vorrà essere sbattuta con cattiveria sulle scale prima di prendere a calci il marito ( o forse la sua vecchia identità). Tutto vira in maniera cupa verso una violenza incontrollata e priva di controllo.
I conti da saldare sono molti per Tom (alias Joey) e lo portano fino al faccia a faccia col fratello, boss della malavita che gli rinfaccia le pesante conseguenze che ha dovuto patire per i suoi atteggiamenti del passato, il prezzo da pagare è altissimo, inevitabile.
Il finale, scuro e silenzioso, ma altamente esplicativo, sembra voler mettere le cose a posto, in quale modo non sappiamo, possiamo solo intuirlo.
Tutto ciò che sembra stare a cuore al regista sta nel repentino e sconvelgente cambiamento che si insatura nel momento in cui il sospetto prima e la certezza poi irrompono nell'armonia delle cose e conducono all'emergere dal profondo di una violenza che sa albergare anche nei recessi di chi all'apparenza sembra lontano da essa.
Se per Tom è un ritorno alla sua esistenza precedente, non cancellata, ma solamente sepolta e sopita, per tutta la famiglia è l'acquisire coscienza che non esistono spiriti liberi da impulsi violenti: saranno solo gli eventi a decidere il momento in cui affioreranno.
Oltre a Viggo Mortensen, brillano le interpretazioni splendide di Ed Harris nei panni del boss venuto da Filadelfia a far tornare a galla la vita nascosta di Tom e un William Hurt superbo nella breve ma intensissima apparizione sotto le spoglie del fratello malavitoso di Tom.


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