Giudizio: 7.5/10
Sei anni dopo il clamoroso successo riscosso con la sua opera prima Ilo Ilo, il regista singaporiano Anthony Chen riunisce i due protagonisti della storia che tanto aveva impressionato e convinto nei circuiti festivalieri, per dirigere Wet Season, altro racconto che fa di quel minimalismo realista che è orami il marchio di fabbrica di Chen, il suo caposaldo principale.
Se in Ilo Ilo il racconto è incentrato sul rapporto tra un ragazzino di 10 anni con la colf filippina sullo sfondo della crisi che colpì nei tardi anni 90 l'economia asiatica, Wet Season è imperniato invece sul legame che si crea tra un adolescente e la sua insegnante di cinese , con sullo sfondo la crisi politica e sociale della Malesia, paese da cui proviene nella storia la protagonista, ed una sorta di sussurata denuncia verso un paese che sembra sempre più portato ad abbandonare i suoi tratti distintivi in favore di una globalizzazione che sembra inarrestabile ( emblematico il tema della lingua cinese che rimane comunque quella ufficiale della città-stato).
Senza indugiare oltre sui numerosi punti di contatto che Ilo Ilo e Wet Season possiedono, è chiaro che Chen è regista molto interessato al racconto delle problematiche di fanciulli ed adolescenti per sfociare poi nel suo ultimo lavoro, Breaking Ice, di cui parleremo a breve, nell'universo dei giovani ventenni.
In Wet Season abbiamo la protagonista Ling, ancora una volta l'attrice malese Yeo Yann Yann pure stavolta, come nel precedente ricoperta di riconoscimenti per la sua eccellente interpretazione, una insegnante di cinese delle scuole superiori, in evidente fase di crisi coniugale anche per una gravidanza che non riesce ad avere nonostante tutti i tentativi messi in atto, compreso il bombardamento ormonale e l'inseminazione artificiale.
Tra i suoi allievi, l'unico che sembra dimostrare un minimo di interesse per le attività scolastiche è Wei Lun, un giovane trascurato dai genitori perennemente assenti che col passare del tempo si lega a Ling.
Quest'ultima passa le sue giornate tra l'attività scolastica e la cura del vecchio suocero semiparalizzato e incapace di parlare, vede nel giovane allievo una persona anch'essa sola, abbandonata e desiderosa di un un rapporto umano e quindi ben volentieri passa i pomeriggi a scuola con lui, unico allievo nelle lezioni di recupero.
Il legame che Wei Lun instaura con Ling diventa ben presto di quelli pericolosi perchè l'affetto travalica in una sorta di passione insana alla quale Ling riesce a mettere argine con molta difficoltà.
Se in Ilo Ilo l'assenza della famiglia si riversava addosso ad un ragazzino di 10 anni in piena formazione , qui la medesima situazione si ripercuote su un giovane in fase di sviluppo, alla ricerca del suo spazio nel mondo degli adulti, che vaga però privo di qualsiasi guida e protezione.
L'incontro con una donna sola, malinconica , delusa e alla ricerca ossessionata di maternità diventa quindi comprensibilmente un cocktail esplosivo, una situazione pericolosa anche socialmente, che mette a repentaglio quanto costruito fin lì.
Il finale beffardo che da un lato ci mostra per la prima volta uno squarcio di sole che Ling non vedeva da tempo in una piovosa e tropicale Singapore, e dall'altro un epilogo ambiguo che non chiude il cerchio se non nella sostanza, concorre comunque a delineare quella che è una caratteristica essenziale del cinema di Anthony Chen, e cioè il racconto quasi sussurrato, raramente sopra le righe, un minimalismo narrativo che non toglie però il carico emozionale alla storia, un ricorso frequente ai silenzi che però dicono più di parole sparate a raffica.
Anche la scelta , che poi è il motivo del titolo, di rappresentare una Singapore nella quale il cielo è sempre plumbeo e carico di pioggia , quasi fossero le lacrime di dolore che i personaggi riversano in maniera simbolica sul racconto, fa sì che Wet Season viva molto di simbolismi e di emozioni che corrono sotto traccia, mettendo in mostra quello che fondamentalmente è l'incontro di due anime sole, silenziose, abbandonate che subiscono le ingiustizie della vita e che trovano nel semplice stare insieme una via di fuga dal vuoto che li circonda.
L'opera messa in piedi da Anthony Chan si muove tra sommesse sofferenze e ribellioni, nutrendosi però di una grazia non solo visiva, citando Jackie Chan e King Hu, ricordando come quella regione dell'Asia (quella delle celebri tigri asiatiche) sia sempre in bilico tra economia in sfrenata ascesa e scatti autoritari, equilibri instabili e sommossse, per mostrarci il piccolo mondo di due protagonisti che in questo ambiente così mutevole cercano un piccolo spazio di affermazione personale.
Se Ilo Ilo aveva mostrato le potenzialità di Anthony Chan che meritavano una conferma per potere essere considerate in maniera completa, Wet Season è la classica opera seconda che conferma quanto di buono fatto vedere e che impone il regista all'attenzione del Cinema che conta.
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