Giudizio: 8/10
Il breve prologo con cui inizia The Cow Who Sang a Song Into the Future, animato da una atmosfera ipnotica e placida nella quale però ben presto trova spazio la vita ( gli insetti, i pesci che nuotano) e la morte ( i pesci morti, un topo ormai mummificato ) sulle rive di un fiume; sentiamo addirittura i pesci cantare un grido di dolore terminale che lascia presagire la loro imminente morte; poi improvvisamente questa atmosfera quasi onirica è squarciata con violenza dall'emergere dalle acque limacciose del fiume di una donna con un casco da motociclista in testa; poco dopo capiremo chi sia e capiremo anche il suo ruolo di grimaldello narrativo, un po' come quei fantasmi che popolano certo cinema del sud est asiatico (Thailandia soprattutto) che vagano alla ricerca di una pace liberatoria.
In quella zona sta tornando Cecilia, avvisata dal fratello delle cattive condizioni di salute del padre, con al seguito i due figli Alma , ancora ragazzina e Tomas adolescente in grave conflitto con la madre per la sua decisione di sentirsi una donna entrando così in conflitto col genere di nascita.
Il padre di Cecilia è proprietario di un caseificio , e l'altro figlio, Bernardo, lo ha rilevato nella gestione vista la malattia; la madre è morta quando i due figli erano ragazzini in circostanza drammatiche, suicidatasi gettandosi con la moto in uno degli stagni che il fiume forma nelle campagne circostanti.
Apparo chiaro quindi che alla base dei rapporti personali della famiglia c'è un qualcosa di irrisolto, di drammatico che impedisce di poter rapportarsi in maniera serena.
Quando la donna emersa dal lago si presenta alla casa annessa la caseificio dove la famiglia di Cecilia vive capiamo chi era in realtà quella figura emersa dalle acque del fiume, un corso d'acqua terribilmente malato, contaminato da scarichi industriali che sta uccidendo la fauna del luogo.
Il padre di Cecilia aveva già visto il fantasma della moglie e ciò aveva causato il malore che lo aveva portato in ospedale; la donna avrà modo nel silenzio che anima il suo corpo da giovane donna strappata con violenza alla vita di incontrare i nipoti, la figlia e il marito, riportando a galla vecchie tensioni, scoprendo cicatrici mai rimarginate, ma al tempo stesso sarà il confronto per quanto silenzioso con la sua famiglia a far sì che il passato non sia più così pesante ed insopportabile per tutti, aprendo ad una riconciliazione catartica.
Attraverso questa storia che galleggia tra la fiaba moderna, la storia di fantasmi ed un realismo ipnotico che concorrono a creare quelle atmosfere che tanto ammaliano quando escono dalle opere di registi come Apichatpong Weerasethakul, la regista cilena al suo primo lungometraggio presentato con risultati eccellenti al Sundance, forte anche di una coproduzione che oltre al Cile ha visto l'impegno franco-tedesco-americano, affronta una storia famigliare drammatica segnata da una tragedia mai risolta nell'ambito di una aura premonitrice preapocalittica legata al grave problema ormai globale del degrado dell'ambiente; la storia prende il via da un episodio accaduto circa 15 anni fa in Cile quando una industria riversò nel fiume Cruces prodotti altamente contaminanti che causarono un disastro ecologico immane.
La regista cerca di mantenere un equilibrio narrativo armonico tra la fiaba famigliare e la tematica ecologica, che spesso si intersecano, soprattutto quando Cecilia si trova ad ascoltare la canzone della mucche, concede alla madre, morta ed emersa dalle acque putride e mortali, di essere il catalizzatore di un processo di accettazione e di riavvicinamento dopo la separazione , di scelte personali dei suoi famigliari, compresa quella tribolata di Tomas, una pacificazione che risana le fratture, un superamento del concetto di colpa cui sentiamo riferirsi spesso un po' tutti i componenti del gruppo, una nuova armonia per andare avanti.
Ed è proprio l'armonia il tema che emerge con più forza dal film: ricreare l'armonia al nostro interno farà si che le api tornino, le mucche , sotto forma di vitelli rientrino nei loro alloggi, il fiume non sia più portatore di morte; la nostra armonia interiore aiuterà a ridare armonia alla natura , rispettandone le regole e cercando di evitare di procurare altri danni.
Sicuramente è un messaggio ecologista sui generis, carico però se non di ottimismo, almeno di positività, che mette da parte gli slogan e che invita a guardarsi dentro e a cercare la soluzione del problema.
Dal punto di vista della ambientazione il film di Francisca Alegría è ben costruito , grazie ai paesaggi bucolici e alle atmosfere sospese, ondeggianti, cariche di simbolismi e di spiritualità su cui aleggia un leggero soffio di mistero: sin dal primo momento del film la regista ci lascia capire su quali basi dovremo trovare la sintonia col racconto, con le sue zone d'ombra, con le sue apparenti assurdità, con la comprensione del dramma famigliare, che si guarda bene dall'esplicitare, che culmina e trae origine nel gesto di Magdalena , la mamma di Cecilia.
Potrà forse apparire troppo carico di una forma di ingenuità primordiale il film, ma se consideriamo che i temi trattati vanno alla base , nell'intimo delle nostre vite e delle nostre coscienze la cosa non deve per niente stupire o lasciare interdetti: The Cow Who Sang a Song Into the Future è una opera prima ricca di qualità , sentita , in cui le tematiche sono affrontate con discrezione, quasi silenziosamente, lasciando spazio alla voce della natura col canto delle mucche, momento della pellicola di grande bellezza e sensibilità.
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