Giudizio: 8/10
Diretto dal regista franco-cambogiano Davy Chou, Return to Seoul è uno dei lavori del 2022 che più hanno lasciato il segno nell'annata cinematografica: basato su una reale storia , quella di una amica di Chou ( ma di fatto storia comune a tutti gli immigrati di prima e seconda generazione, quale appunto è anche il regista) l'opera racconta il personaggio di Freddie , una giovane francese di origine coreana adottata quando era ancora in fasce, che per un banale ( ma non tanto, tutto lascia pensare) disguido si ritrova a Seoul invece che in Giappone dove era originariamente diretta prima che problemi di volo la portassero nella capitale coreana.
Nel corso del racconto scopriremo che Freddie in effetti era da molto che coltivava l'idea di tornare in Corea alla ricerca delle sue radici, per cui il trovarsi catapultata in una città dove paradossalmente è una perfetta estranea ha sulla ragazza l'effetto di circondarla di un alone di straniamento e di isolamento, sebbene Freddie trovi subito in Tena , la receptionist dell'albergo in cui alloggia una valida guida e amica.
La ragazza si rivolge all'agenzia che gestisce le adozioni internazionali e riesce ad avviare il complicato e burocratico iter per cercare di raggiungere i genitori biologici; il padre lo troverà subito ed accetterà di vederla, mentre la madre non darà segno di sè , di fatto bloccando la pratica avviata da Freddie.
L'incoontro col padre, un alcolizzato che vive con la madre e la sorella in una cittadina di provincia non produce nulla nella ragazza, troppo distante è il modo di vita e di pensare del genitore che non fa altro che accentuare il suo disagio in un paese che sembra respingerla in continuazione.
Freddie, inoltre, scopriamo che è persona con cui rapportarsi non è facile, arroccata nel suo isolamento , fortificata ed indurita nel suo essere da sola senza avere l'aiuto di nessuno.
Il viaggio di Freddie in Corea porterà la ragazza , nel corso degli anni in cui si svolge la vicenda, a rivisitare il suo presente ma anche il suo passato verso il quale nutre ancora diffidenza e disinteresse, aspettando sempre che la madre si faccia viva, visto che le regole le proibiscono ulteriori richieste dopo quella fatta all'inizio.
Quello che fa di Return to Seoul un film per certi versi straordinario è la prospettiva scelta dal regista per raccontare una storia che chiaramente ha molto di autobiografico: raramente il racconto cade nello scontato, anzi mantiene sempre quel filo di emotività che è il caposaldo fondamentale, ci presenta l'evoluzione di Freddie man mano che il suo substrato coreano viene a galla, il suo affrontare una esistenza dominata dalle domande senza risposte, dalla incapacità a creare legami duraturi, da una durezza interiore che funge da corazza verso l'esterno.
Ad un certo punto è solo la prospettiva di poter finalmente conoscere la madre che funge da traino, da clic emotivo che potrebbe finalmente sbloccare una esistenza bloccata e svuotata di emotività, frantumare quel muro che la protagonista si è creata intorno, ma Chou non dà spazio al facile lieto fine, alla commozione dozzinale: Return to Seoul emoziona , commuove e avvolge il cuore in una morsa dolorosa perchè ci mostra la vera essenza dei sentimenti, l'odissea interiore di una giovane donna che non è solo lost in translation, ma soprattutto persa nel suo mondo di cui la sua vita passata non fa parte: per Freddie la soluzione dei suoi dilemmi, dei suoi incroci emotivi, della sua identità rimangono una luce lontana difficile da raggiungere e che anzi diventa sempre più fievole.
Return to Seoul è film che fa del suo minimalismo carico però di una forza esplosiva il suo cardine principale, grazie ad un racconto sorretto da una regia essenziale, poco propensa alle divagazioni, nel quale domina un personaggio costruito con grande sensibilità come Freddie ( magnifica la prova della giovane Park Jimin, esordiente straordinaria nella sua intensità) e che ha il grande pregio di riuscire ad arrivare a stimolare le emozioni nella maniera giusta.
David Chou dimostra , a sei anni di distanza dalla sua opera prima, di essere regista di talento e di sensibilità non comune, capace, ne siamo certi, di regalarci in futuro opere di grande valore come è questa.
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