Giudizio: 4.5/10
Cosa si può dire di un film il cui unico momento che merita di essere citato è la scena finale sui titoli di coda sostenuta da una simpatica canzonetta? Asteroid City , ultimo lavoro di Wes Anderson , è , purtroppo mestamente, il film in questione, e in questo caso a poco valgono le consuete diatribe fideistiche tra adoratori del regista americano e suoi feroci detrattori: anche le schiere molto nutrite, almeno fino a qualche tempo fa, di fans sfegatati sono rimaste con l'amaro in bocca , sorrette solo da una sorta di adorazione aprioristica che lascia però il tempo che trova.
Come è facile capire quindi sarà molto più semplice e immediato, direi quasi scontato, elencare tutto ciò che non funziona nel film, anche se forse sarebbe il caso di cominciare ad analizzare cosa non convince più nel Cinema di Anderson, da diverso tempo ormai incastrato e impantanato in una palude ispirativa dalla quale stenta ad uscire.
Asteroid City, presentato a Cannes, dove il regista americano era stato solo un'altra volta è un lavoro del quale , come già anticipato, non è semplice parlare: da un lato possiede trama e contenuti appena accennati e anche piuttosto confusi, dall'altra il film si erge come l'ennesima dimostrazione narcisistica da parte del regista che appare interessato a consolidare il suo stile fino a renderlo puro e semplice manierismo, con la inevitabile carrellata di tutto ciò che Anderson ha reiterato nel tempo fino a renderlo il suo inconfondibile marchio di fabbrica.
In effetti bastano i primi minuti di visione per capire che siamo di fronte ad un'opera del regista texano: un narratore racconta di un drammaturgo che sta scrivendo una piece teatrale che poi un regista porterà sugli schermi; il bianco e nero che gioca a rimpiattino col colore sgargiante fumettistico che ci presenta una città quasi fantasma nel mezzo del deserto, la Asteroid City del titolo, modello film western aggiornato nei meravigliosi anni 50 americani; qui si respira la paranoia e il terrore americano di quegli anni: gli esperimenti nucleari per fortificare la guerra fredda e il timore dell'assalto alieno dallo spazio infinito; in questa parodia di città infatti, tremila anni fa, è piombato un asteroide che ha lasciato un bel buco per terra, attrazione turistica infilata nel bel mezzo del deserto.
In questa località si radunano un po' di persone per partecipare ad una premiazione che intende esaltare i giovani genii dell'astrofisica e delle invenzioni.
Il film di Anderson racconta di questa reunion piuttosto sgangherata, dei giovani genii all'opera, dei loro accompagnatori, dell'arrivo di un astronave alinea , di una quarantena imposta dalle autorità in seguito all'incontro ravvicinato.
Ce ne sarebbe per mettere su almeno una commediola divertente, invece si accenna al clima degli anni 50, si scimmiotta il western, si finge di essere interessati all'esplorazione psicologica dei personaggi , alcuni dei quali con un bel carico potenziale di problematiche, si divaga sulla reazione alla certezza che non siamo soli nell'universo e altre amenità simili, con un paio di deragliamenti sconcertanti ( la scena in bianco e nero sulle scale antincendio tra il protagonista e il personaggio di Margot Robbie è una botta di ruffianaggine degna di una telenovela messicana) e per finire il brivido fugace quasi subliminale del nudo integrale di Scarlett Johansson.
Il film insomma si riduce nell'ora e quaranta di durata ad una messinscena che ha come unica finalità quella di autocelebrarsi dal punto di vista artistico-cinematografico con la reiterazione di quanto già visto e rivisto svariate volte: un vero capolavoro di manierismo, perchè poi alcune scene sono indubbiamente accattivanti, il paesaggio da cartoon Looney Tunes con tanto di Beep Beep che fa il balletto in CGI sui titoli di coda (l'unico momento veramente degno di nota cui alludevamo all'inizio) che fa tornare alla mente a quelli che hanno vissuto l'epoca d'oro dei cartoon classici l'eterna battaglia tra tifosi di Willie il Coyote e Beep Beep che divise quasi come la contrapposizione tra Coppi e Bartali.
Ma dietro questa facciata si respira però qualcosa di stantio: il cinema nel cinema, la storia nella storia, la carrellata di comparsate di star che appare sempre più un espediente per riempire di stelline un manifesto scolorito, i soliti movimenti di macchina da presa, i soliti colori sparati, una freddezza narrativa incapace di regalare il seppur minimo sussulto emotivo, la solita atmosfera tra il fantastico e il trasognato, di nuovo la solita carrellata di attori che , tranne pochissime eccezioni, sono pedine inespressive in mano al burattinaio regista: insomma una messinscena ad uso e consumo del regista del tipo " guardate come sono bravo ! ".
Asteroid City insomma rischia di diventare in maniera definitiva l'ultimo bivio utile per rientrare sulla retta via per Wes Anderson: o cambia registro abbandonando questa ipertrofica autocelebrazione oppure riuscirà nell'impresa ardua di mettere in piedi una fantasmagorica parodia di se stesso, probabilmente tutt'altro che divertente.
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