domenica 25 gennaio 2015

Han Gong-ju ( Lee Su-jin , 2013 )

Giudizio: 8/10

Han Gong-ju è stato prima di ogni cosa un film-fenomeno: opera prima di Lee Su-jin, giovane regista indipendente con alle spalle qualche cortometraggio e tanta gavetta nell'ambiente cinematografico, ha girato il mondo nei vari Festival collezionando numerosi e importanti riconoscimenti, tra cui, il più prestigioso, il Tiger Award al 43° Festival di Rotterdam ma anche a Busan , al Blue Dragon Film Awards e dalla Associazione Coreana dei Critici; oltre a ciò il film , pur non spalleggiato da grandi case di produzione e distribuzione, ha riscosso anche un grande successo di presenze nelle sale.
Il motivo di tutto ciò, cosa abbastanza rara nel cinema coreano indipendente, risiede nella scelta di trattare un argomento che si ispira ad un fatto di cronaca accaduto in tempi pure abbastanza recenti che suscitò orrore ed esecrazione, uno di quei tanti fatti di cronaca che la società coreana sa regalarci con una certa continuità in cui il paese stesso si rispecchia guardando nel profondo della sua coscienza e della sua anima.
In effetti il tema trattato e le inevitabili conseguenze emotive che ne scaturiscono ponevano le premesse affinchè il film potesse ricevere attenzione sia dalla critica che dal pubblico, ma Han Gong-ju, è bene dirlo subito, non ha nulla di ruffiano e di furbo, escluso qualche aspetto che poi vedremo.


La ragazzina protagonista il cui nome da il titolo al film è figlia di una famiglia disintegrata che la abbandona di fatto a sè stessa: madre scappata con un altro uomo, padre ubriacone e sempre a corto di soldi; per cui quando sarà costretta a lasciare la scuola per essere trasferita presso un'altra in cui potesse cercare di riavere una parvenza di vita normale lontana dai luoghi e dalle persone legate al fattaccio, viene affidata alla madre dell'insegnante che si occupa del suo caso, una donna , anch'essa, cui la vita sembra non voler regalare nulla di buono.
Per Gong-ju comunque sarà un tentativo da mettere in atto, quello di dimenticare , di scrollarsi di dosso i sensi di colpa e il terrore, di superare le angosce che il suo stato di vittima che deve però nascondersi comporta.
Lee Su-jin sceglie un approccio narrativo che all'inizio può anche apparire ostico: raccontare il tentativo di rinascita della ragazza, presentando parallelamente, attraverso flashback che tali non sembrano, gli eventi che portarono al terribile episodio vissuto, scelta difficile perchè i due fili del racconto sono talmente ben intrecciati che l'oggi dal recente passato si distingue solo grazie alle diverse divise della scuola frequentata dalla ragazza.
E' quindi un racconto a puzzle in cui fin quasi alla fine si intuisce solo quello che è veramente successo, lasciando una ambiguità che giova molto alla trama del film perchè scopriamo quasi simultaneamente quello che fu l'orrore vissuto dalla ragazza e quello che è il suo animo ferito a morte del presente.
Han Gong-ju è un film sulla colpa, sulle vittime di una violenza disturbante che sembrano però non avere vie d'uscita che non sia il rivivere in continuazione quel passato; ma è anche un atto di accusa contro il conformismo ipocrita prima ancora che contro la deriva violenta e nichilista giovanile.
Non prestando il fianco a facili trappole emotive , tranne l'eccessivo insistere sulla passione della musica della ragazza quasi a voler convincerci della nobiltà d'animo della stessa, ed evitando qualsivoglia scena forte, il regista riesce comunque a creare una pesante atmosfera di disagio colorando il film (in tutti i sensi) di tinte oscure.
Nonostante il finale non pienamente convincente che si erge a metafora, ben preparato nel contesto della storia dalla ossessivo desiderio della ragazza di imparare a nuotare, Han Gong-ju è film potente, duro che lascia aperto lo spazio a profonde riflessioni sulla difficoltà per le vittime della violenza di trovare un punto di rottura col passato.

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