Giudizio: 6/10
Rika è una grigia casalinga con un rapporto matrimoniale molto formale, dominato dalla figura del marito intento a scalare le posizioni nella rigida gerarchia aziendale nipponica; decide di iniziare a lavorare presso una banca nella quale le viene affidato il compito di recarsi a fare visita ai clienti proponendo investimenti di vario tipo; siamo nel 1994 negli anni che seguirono la clamorosa esplosione della bolla speculativa giapponese e che portò il paese sull'orlo di una crisi di grandissime proporzioni.
Rika però il suo lavoro lo svolge bene e riesce in breve tempo ad attirarsi la fiducia dei clienti e anche dei colleghi; durante la visita ad un facoltoso cliente incrocia per un attimo il giovane nipote di questo e quando l'incontro si ripete casualmente per strada la donna cade in una sorta di infatuazione per il ragazzo iniziando così una relazione per molti versi pericolosa.
Il giovane è uno squattrinato studente pieno di debiti contratti per andare al college e la donna, educata cristianamente ed infervorata dal potere della beneficenza sin da ragazzina, decide di aiutarlo e di conseguenza legarlo a sè; per fa ciò rompe quel sottile steccato che circonda chiunque maneggi i soldi per professione e con una serie di imbrogli sapientemente costruiti inizia una nuova vita all'insegna non solo della beneficenza, ma soprattutto del lusso e del divertimento: week end in alberghi da capogiro, spese folli, ristoranti e vini costosi, persino una casa in affitto dove i due piccioncini si ritrovano.
Naturalmente la pacchia non può durare a lungo: il ragazzo si stanca della prigione dorata e soprattutto la banca, grazie ad una collega di Rika, particolarmente scrupolosa e pignola, scopre l'imbroglio e la mette con le spalle al muro.
Finale su duplice binario: da un lato il confronto con la collega che di fatto l'ha messa nei guai nel quale si filosofeggia sul potere del denaro e sull'illusione che esso crea, dall'altro una situazione assolutamente forzata ed inutile che chiude il film e che vorrebbe chiudere soprattutto il cerchio.
Nonostante i successi ottenuti, Pale Moon, del regista giapponese Yoshida Daihachi , tratto dal romanzo dal titolo omonimo di Kakuta Mitsuyo, è lavoro che per molti aspetti delude, sia perchè il regista nelle sue precedenti prove aveva raccontato storie a loro modo originali ed interessanti, sia perchè l'impianto del film è tutt'altro che convincente.
Alcuni luoghi comuni utilizzati come traino (la casalinga scontenta, la competitività sul lavoro, la ribellione) appaiono fin troppo ovvii; anche il prologo della storia che ci presenta brevemente, seppur ripreso durante lo svolgimento , l'influenza dell'educazione della giovane Rika nel suo modo di concepire il denaro e la beneficenza, sembra quasi forzato soprattutto in considerazione della conclusione filosofica cui giunge la protagonista secondo la quale tutto è falso e illusorio, compresa la forza del denaro.
La metamorfosi di Rika, raccontata più nella sua esteriorità che altro( via i vestiti grigi in favore di abiti colorati e di pregevole fattura), sembra addirittura eccessiva se si valuta che in fondo siamo di fronte alla solita storia , abusata e stucchevole, della donna che quando si veste meglio e si trucca significa che ha una storia d'amore in corso.
Magari una riflessione più profonda sul denaro che non si riduca alle sentenza apodittiche della protagonista avrebbe senz'altro giovato al racconto.
Nonostante dal punto vista tecnico Pale Moon presenti dei pregi, è la freddezza complessiva con la quale Yoshida affronta soprattutto la figura di Rika che lascia l'amaro in bocca, perchè il personaggio per come è stato concepito avrebbe potuto essere il vero traino del racconto; in tale senso la prova di Miyazawa Rie si adagia molto sul personaggio, assecondato la sua staticità emotiva e la sua quasi nulla capacità di coinvolgimento.
Concludendo, Pale Moon è la classica occasione sprecata: film che alla fine si salva ma che lascia una bella scia di rimpianti.
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