sabato 28 giugno 2025

B for Busy / 爱情神话 ( Shao Yihui / 邵艺辉 , 2021 )

 




B for Busy (2021) on IMDb
Giudizio: 7.5/10


Con il suo film d’esordio B for Busy , la regista cinese Shao Yihui firma una delle opere prime più originali del cinema contemporaneo cinese recente, una commedia delicata e stratificata che si muove con grazia tra l'ironia, il realismo urbano e una sottile malinconia di fondo. Ambientato nella vivace ma anche logorante Shanghai di oggi, il film offre un’istantanea della vita adulta nelle grandi metropoli cinesi, mescolando osservazione sociale, riferimenti cinematografici raffinati e una narrazione corale dai toni agrodolci.
La storia si sviluppa attorno a Lao Bai, un insegnante di pittura di mezza età divorziato, interpretato con sensibilità da Xu Zheng (noto soprattutto per i suoi esilaranti ruoli brillanti e anche produttore del film), e a un gruppo di donne che gravitano intorno alla sua esistenza: la parrucchiera Miss Li (Ma Yili), l'artista Miss Zhao (Wu Yue) e la madre single Gloria (Ni Hongjie). 
Ognuno di loro porta con sé ferite invisibili, sogni rimandati e una voglia di rimettersi in gioco che si intreccia continuamente con la paura di rimanere delusi.I protagonisti sono adulti in preda ad un disincanto sentimentale che deriva da esperienze personali fatte di amori falliti, divorzi, compromessi dolorosi. Non ci sono illusioni giovanili, ma nemmeno cinismo assoluto. L’amore viene mostrato come qualcosa di fragile, a volte buffo, sempre necessario.
Attraverso piccoli dettagli — i commenti delle madri, i giudizi velati dei conoscenti — il film racconta la pressione esercitata dalle aspettative familiari e sociali, in particolare su donne che hanno superato la "giusta età" per sposarsi secondo i canoni tradizionali cinesi, un intrecciarsi di modernità e di tradizione spesso in conflitto che dipinge una società ormai giunta al capolinea finale della sua spettacolare trasformazione vissuta negli ultimi venti anni che avvolge anche Shanghai, una città che col suo cosmopolitismo storico diventa un po' un personaggio del film , quel futuro raggiunto da chi ha saputo salire sul treno della modernizzazione, ma al tempo stesso quella città dove ancora pulsa un cuore fatto di tradizione, ben rappresentato dalla regista con il ricorso pressochè totale al dialetto di Shanghai nei dialoghi del film.



La regista inoltre dimostra grande conoscenza del cinema anche europeo, affidandosi spesso ad atmosfere da novelle vague francese, racconti rohmeriani oppure ad atmosfere vagamente alla Wong Karwai; lo stesso fatto di dipingere Shanghai con la grazia di un pittore ma con la forza di uno scrittore rimanda alla mente agli storici binomi regista-città che hanno fatto la storia del cinema (Woody Allen e New York su tutti); queste influenze sono sempre metabolizzate e rielaborate in maniera personale da Shao Yihui, che costruisce uno stile proprio, fatto di delicatezza e ironia, di osservazione empatica e ritmo narrativo misurato.
Il film non racconta una grande avventura sentimentale, né cerca il dramma: B for Busy preferisce dipingere piccole scene quotidiane, incontri e dialoghi intimi che lentamente delineano il bisogno umano di compagnia, riconoscimento e amore in una società che, pur essendo iper-connessa, genera una profonda solitudine.
La Shanghai di Shao Yihui non è solo uno sfondo, ma un vero e proprio personaggio: una città cosmopolita, stratificata, moderna ma anche nostalgica, dove i caffè bohémien convivono con i vicoli tradizionali e dove il passato e il presente si scontrano continuamente.
Formalmente, B for Busy si presenta come una commedia sofisticata, ma dietro l’umorismo sottile si cela una dolce tristezza che accompagna i personaggi. I dialoghi sono brillanti, serrati ma mai teatrali, costruiti con attenzione quasi letteraria, capaci di far emergere, attraverso battute e silenzi, l'interiorità dei protagonisti.

sabato 7 giugno 2025

The Last Dance / 破·地獄 ( Anselm Chan / 陳茂賢 , 2024 )

 



IMDB

Giudizio: 7.5/10


Con The Last Dance, il regista e sceneggiatore Anselm Chan (al suo secondo lungometraggio dietro la macchina da presa) compone una raffinata partitura che intreccia il lutto e il riso, la tradizione rituale e la modernità urbana, la morte e – inevitabilmente – la vita. Un film profondamente radicato nel tessuto sociale e spirituale di Hong Kong, capace di raccontare un tema universale come il distacco dai propri cari attraverso uno sguardo fortemente localizzato e allo stesso tempo accessibile a un pubblico globale, elevandosi inoltre a metafora dello status dell'ex colonia britannica ancora in forte crisi di identità dopo il ritorno alla Cina mainlander
Dominic (interpretato con misura e humour dall'eccellente Dayo Wong, conosciuto soprattutto per i suoi ruoli brillanti) è un wedding planner sulla via del fallimento. Dopo la pandemia, il mercato dei matrimoni è in crisi, e lui si ritrova per necessità ( e in un certo senso anche per fortuna) a gestire un’agenzia funebre cedutagli da uno zio della fidanzata , prossimo alla pensione. È un uomo pragmatico, moderno, sdrucito nei sogni, esattamente l'opposto  del suo nuovo partner,  Master Ben Man ( interpretato dalla leggenda del cinema brillante dell'epoca d'oro di Hong Kong Michael Hui), un sacerdote taoista, socio del precedente proprietario dell'agenzia funebre, che incarna l’antico sapere, il rigore del rituale, la sacralità dell’aldilà. Tra i due si instaura una tensione che è prima di tutto culturale e simbolica: tradizione contro innovazione, passato contro presente, spiritualità contro economia.
Ma Chan non indugia nella contrapposizione dicotomica di facile presa; il film si costruisce proprio sulla lenta contaminazione tra questi due mondi: da un lato Dominic che pensa che tutto sommato gestire un funerale non è poi tanto diverso da organizzare un matrimonio ( con le inevitabili situazioni grottesche che questa convinzione produrrà) , dall'altro Man che vive il suo ruolo nella rigorosa osservanza dei principi taoisti immutabili da secoli.   Non c’è vittoria di uno sull’altro, ma una crescita reciproca. È qui che The Last Dance trova il suo tono originale: non una commedia slapstick, non un dramma metafisico, ma un ibrido curioso, capace di attraversare i registri con intelligenza e sensibilità.



Il titolo originale del film –  letteralmente "Rompere l'inferno" – richiama direttamente uno dei riti più affascinanti e complessi della tradizione funebre taoista: il Po Dei Juk , un rituale in cui il sacerdote, armato di una spada cerimoniale al culmine di una danza sfrenata rompe simbolicamente le barriere infernali per liberare le anime erranti dei defunti. È un rituale profondamente teatrale, fatto di maschere, danze, fuoco e musica, e proprio in questo carattere spettacolare Chan trova un parallelo con l’arte scenica del cinema e con la vita stessa.
Il regista filma questi momenti con rispetto antropologico ma anche con consapevolezza estetica: i riti non sono solo testimonianze etnografiche, ma diventano azioni drammatiche che coinvolgono i personaggi e lo spettatore. Non sono semplici “usanze locali”, ma vere e proprie narrazioni incarnate, capaci di dare senso e dignità alla morte, e soprattutto di creare una comunione  tra vivi e morti.
Uno dei meriti maggiori del film è la sua capacità di interrogarsi sul ruolo della morte nella società contemporanea, e in particolare nella Hong Kong post-coloniale e post-pandemica. In una città sempre più globalizzata, dove l'efficienza ha soppiantato la riflessione e il culto degli antenati rischia di ridursi a formalità, The Last Dance rivendica la centralità del lutto come pratica viva.
Attraverso il contrasto tra Dominic e Master Ben, Chan ci chiede: come onorare i morti oggi? Come trasmettere un sapere antico ai giovani che ne hanno perso il linguaggio? La risposta non è nostalgica, ma attiva: il film suggerisce che il rito non deve essere abbandonato, ma reinventato, non nel senso di “semplificarlo” o “adattarlo al mercato”, ma nel trovare nuove vie per mantenerne viva la potenza simbolica.
La linea narrativa che coinvolge Yuet (Michelle Wai, pluripremiata per questo ruolo), la figlia di Master Ben, introduce un ulteriore livello tematico. Infermiera che opera sulle ambulanze di soccorso, razionale e concreta, Yuet è cresciuta tra canti rituali e offerte di carta, ma ha scelto di vivere lontana da tutto questo, anche perchè i rigidi principi taoisti vietano alle donne , esseri impuri, di poter presenziare i9n prima persona nel ruolo di sacerdotessa.  La sua distanza dal padre è anche una metafora della rottura generazionale oltre che parabola sulla contrapposizione di genere; tuttavia, il riavvicinamento dei due – mediato proprio da Dominic, outsider profano – mostra come il trauma e la cura possano convivere.
Il tema della trasmissione intergenerazionale diventa così uno dei cardini del film: non si tratta solo di passare un’eredità materiale, ma una grammatica del dolore e della consolazione. La danza finale (che dà il titolo al film) non è solo un numero coreografico, ma un atto di riconciliazione, un gesto fisico di continuità.
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