Giudizio: 8.5/10
Apichatpong Weerasethakul è un altro di quei (pochi) registi la cui coerenza stilistica ( formale e sostanziale) lo ha portato ad un punto che appare in modo netto come di non ritorno; il suo Cemetery of Splendour sta al regista thailandese come Stray Dogs sta a Tsai Ming Liang: un punto di arrivo di una filosofia cinematografica estrema, spirituale, a tratti ostica, quasi elitaria nella sua profondità e nella sua essenza che stravolge i tradizionali piani narrativi.
Che il regista thailandese amasse raccontare di quel punto immaginario d'incontro tra realtà e sogno, tra visione e subconscio, tra anima e corpo è inconfutabilmente dimostrato dalla sua filmografia che ne ha fatto uno dei registi più stimati e quotati dell'estremo oriente, ma in Cemetery of Splendour tutto quello che Weerasethakul ha sapientemente rimestato nei suoi lavori precedenti trova la sua sublimazione intrisa di una sorta di ascetismo spirituale che fonde il sogno con la realtà e la vita con la morte.
Cemetery of Splendour, presentato in Un Certain Regard dello scellerato Festival di Cannes del 2015 dove ha ottenuto la media voti overall ponderata più alta da parte della critica,si svolge in una vecchia scuola in decadenza riadattata ad ospedale in cui giacciono alcune decine di militari colpiti da una strana forma di letargia dalla quale si risvegliano per brevi periodi prima di ripiombare repentinamente e senza preavviso nel sonno.
Jen è una donna disabile e piuttosto avanti con gli anni che si occupa come volontaria dei malati, soprattutto di Itt, un giovane cui nessuno fa mai visita; nello stesso stanzone che funge da reparto una giovane , Keng, dotata di poteri mediatici funge da tramite tra i parenti ed i malati per metterli in comunicazione; i militari giacciono immobili nei loro letti, con delle surreali strutture tubulari che cambiano di colore e che dovrebbero curarli, Jen tesse un sottile legame tra sè ed il militare che assiste, dapprima silenzioso e fatto solo di gesti, quindi di parole e di sguardi nei brevi momenti di risveglio di Itt.
Questo rapporto tra i due che ad un certo punto della storia si trasforma in un dialogo per interposta persona, la ragazza medium appunto, è il centro di tutto il racconto, o meglio di tutto ciò che il regista vuole rappresentare sia nella sua tematica più strettamente spirituale, sia nella metafora politica del suo paese.
Ecco quindi che Cemetery of Splendour diventa una lunga riflessione, spesso silenziosa o appena sussurrata, sul quel mondo che vive sospeso tra la vita e la morte, abitato dagli spiriti in pena (tipica tematica del cinema thai) in cui la realtà non è il lussureggiante bosco nel quale si muovono Jen e Itt (attraverso la partecipazione corporale di Keng) bensì il cimitero dove si agitano gli spiriti degli antichi re e principi thailandesi che necessitano delle anime e delle energie dei soldati dormienti per riportare in auge il loro splendore: la lunga scena è di una bellezza che spaventa tanto è tangibile la tensione spirituale che culmina in un momento potentissimo che riesce a mescolare erotismo e pietas.
Lo snobismo apparente che il cinema del regista thailandese si porta dietro altro non è che una forma di tacito patto da accettare prima di immergersi nella visione dei suoi lavori, una caratteristica che pochi registi possiedono e che conferisce ai loro lavori quell'aura di apparente estremismo spirituale: bisogna accettare le regole del gioco che Weerasethhakul mette sul banco, essere disposti a farsi sormontare da un impetuoso flusso di intima introspezione e , soprattutto, non rifiutare aprioristicamente il confronto tra realtà e sogno che in qualche punto trova sempre un magari piccolo e impercettibile contatto.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.