Giudizio: 4.5/10
Opera seconda del regista tedesco Rick Osterrmann, già transitato qualche anno orsono per la Mostra del Cinema di Venezia, Krieg è lavoro che tenta con molta fatica di miscelare tenebrosi tormenti personali in rigoroso stile ausburgico con tematiche sociopolitiche che ruotano intorno al dramma della guerra.
Tratto dall'omonimo romanzo di Jochen Rausch, il racconto è imperniato, attraverso una dicotomia temporale molto stretta, sul protagonista Arnold, che vediamo all'inizio stabilirsi in compagnia del suo cane in una vecchia baita di montagna immersa nelle nevi; quella destinazione però non è un isolamento sabbatico o vacanziero, bensì la fuga da un dramma personale che ci viene raccontato sull'altro binario temporale: la morte del figlio in uno scenario di guerra in oriente.
La scelta del ragazzo di recarsi in guerra induce un profondo scompiglio nella famiglia di Arnold , fieramente ancorata su posizioni pacifiste e la sua morte ha un effetto deflagrante sulla sua stabilità.
Isolato tra le montagne, Arnold mostra il suo volto segnato irrimediabilmente dal dramma che di pari passo ci viene mostrato attraverso un alternarsi di piani temporali; ma il peggio per l'uomo sembra dover ancora arrivare: una presenza oscura, intangibile e al contempo pericolosa sembra averlo messo al centro dei suoi disegni folli portando la situazione ad un livello di scontro e di guerra personale destinato a giungere alle estreme conseguenze.
Krieg è lavoro che con molta ambizione cerca di svilupparsi attraverso troppe tematiche e situazioni , col risultato di risultare ben poco convincente , sia nel suo complesso che nei singoli aspetti esplorati.
Il tema della guerra e del pacifismo, spesso solo di facciata, francamente non riesce ad essere minimamente interessante troppo spesso legato a clichè fin troppo abusati.
Lo snodo centrale del racconto che vede Arnold trasformarsi in un eremita per isolarsi ed espiare delle colpe che probabilmente neppure gli appartengono e che d'improvviso vede proiettati di fronte a sè il senso di rimorso e di sconfitta personale contro cui battersi, impersonificato dal misterioso personaggio che lo perseguita con violenza, è debole e anche piuttosto semplicistico.
La riflessione finale che la violenza non esiste solo nei teatri di guerra ma, pericolosamente, alberga anzitutto dentro ognuno di noi, pronta ad esplodere quando cadono le nostre difese e ci si sente minacciati è piuttosto debole e sembra più un pretesto per cercare di mettere in piedi una storia che abbia una certa dose di suspance.
Il modello che deriva dal Boorman di Un tranquillo week-end di paura o dallo Spielberg di Duel però non regge , anzi probabilmente nel finale, nel tentativo di dare una quadratura al cerchio, crolla in modo abbastanza fragoroso.
Insomma di Krieg rimangono da apprezzare quasi solo le magnifiche immagini dei paesaggi montani che per fortuna , da sole, a volte riescono a dare un senso ad un lavoro che trova proprio nella ambizione del regista di voler trattare tematiche difficili, spesso troppo lontane tra loro, il motivo principale della sua deludente riuscita.
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