Giudizio: 9/10
Sull'onda di una scia interminabile di riconoscimenti iniziata al Festival di Cannes in una sezione parallela , proseguita nei festival di tutto il mondo e alimentata da una messe di giudizi entusiastici della critica quasi unanime, Aftersun della regista scozzese Charlotte Wells, si aggiudica a mani basse il titolo di "film evento" dell'anno, solitamente assegnato a quei lavori che emergono in maniera chiarissima tra gli altri pur non avendo praticamente un background che ne giustifichi il successo: il motivo di ciò, per quanto riguarda il film della giovane scozzese, è semplicissimo, Aftersun è un film che si rivolge a tutti, nel senso meno ampio del termine, cioè al suo interno contiene un tesoro emozionale che ciascuno di noi deve andare a scoprire, facendo ricorso alla forza della memoria e del ricordo.
Protagonisti assoluti, quasi unici del racconto sono padre e figlia, Calum e Sophie, che qualcuno scambia per fratello e sorella, tanto breve è la distanza che li separa con gli anni: lui sta per compiere 31 anni , lei 11, vive con la madre dalla quale Calum è separato, ad Edimburgo, mentre lui vive a Londra; il racconto si svolge durante la settimana che i due trascorrono assieme in una località balneare della Turchia; siamo sul finire del millennio scorso, tardi anni 90 come ci rammenta con precisione la colonna sonora dai toni nostalgici verso un periodo fin troppo vituperato ( gli anni 90 che sembravano dover essere la tomba del genere umano atterrito dal nuovo millennio e dalla tecnologia che iniziava ad infiltrarsi nella nostra vita).
Una vacanza spensierata insomma, fatta di piscina, di mare, di cene all'aperto e di escursioni, scandita dalle immagini che Sophie imprime su nastro con la sua handycam , una settimana in cui i due possono finalmente trovarsi e forse anche conoscersi meglio, di consigli dati da un genitore che vuole essere un rifugio per la figlia che sta per lasciarsi alle spalle l'infanzia ed affacciarsi alla adolescenza.
Il trascorrere delle giornate ci viene presentato ora con la prospettiva di Sophie ora con un montaggio a tratti sincopato di immagini estratte dalle riprese della telecamera della ragazzina, fatte di colori spesso saturi, di figure sgranate, di movimenti di camera, qualcosa di inafferrabile insomma, come se mettere su nastro la realtà possa essere quanto di più complesso esista.
Poi però ogni tanto tutto diventa scuro, dapprima per pochi attimi poi per momenti sempre più lunghi, la tenebra è squarciata da lampi di luce stroboscopica di una discoteca dove il volto di una donna osserva con il viso contratto, poi in un'altra scena vediamo la stessa donna svegliarsi al pianto di un neonato: è il giorno del suo compleanno, compie 31 anni, è l'immagine di Sophie ormai adulta e capiamo che tutto ciò che stiamo vedendo non è altro che quello che la donna ci trasmette attraverso il suo sguardo, una prospettiva di recupero della memoria, impressa indelebilmente sui quei nastri ormai divenuti obsoleti.
Ben presto anche il sole che colora di una limpidezza assoluta e abbacinante le immagini della vacanza turca assume un altro connotato: Calum con il gesso al braccio a mostrare una frattura insanabile della sua intimità, Calum che piange disperato e fuma ossessivamente, Calum che cerca di nascondere il suo malessere, forse la sua depressione o magari un disagio di altro tipo alla piccola Sophie che dal canto suo col fiorire della sua adolescenza inizia a capire , come tutti noi ad un certa età , che il padre non è l'eroe invincibile, la corazza dietro la quale proteggersi e forse quella vacanza che la Sophie adulta ricorda con tristezza e dolore assume ora un aspetto diverso , lacerante , perchè la memoria e il ricordo non sono più mediati dal mito paterno ma dalla triste consapevolezza dei disagi che turbavano l'esistenza del padre.
Ed ecco allora che quell'atmosfera da rave party, da discoteca con le sue luci stroboscopiche impazzite nella quale Sophie guarda attonita l'immagine del padre come era allora, sempre più vicinoa lei e che balla nervosamente diventa la costruzione del ricordo , una metafora dell'essenza del film: frammenti di immagini che compaiono e scompaiono nel corso di un attimo sufficiente solo a vederne i contorni in un preciso e brevissimo momento che si ripete sincopato all'infinito.
Charlotte Wells non ci svela nulla, ci porta fin sulla porta di quella discoteca, la stessa che Calum , nell'apoteosi del trionfo della metafora, attraversa nel momento in cui si separa da Sophie dal ritorno dalla vacanza: verso Londra lui, verso Edimburgo lei, forse per l'ultima volta.
Ed è proprio nella costruzione di uno dei finali più belli che ci è dato di vedere nel Cinema degli ultimi anni, pochi minuti di silenzio, di sguardi , di oggetti che scorrono e di colori che sfumano che si giunge finalmente al nucleo pulsante del film: la forza del ricordo, la costruzione della memoria attraverso essi, la caduta dei filtri che il tempo e la nostra esistenza ci hanno messo lungo il percorso per arrivare a capire la forza di un legame, il rimpianto per non essere stati in grado di fermare il tempo nella nostra vacanza in Turchia che abbiamo avuto tutti, gli abbracci carichi di dolore, quelli veri e quelli idealizzati: ecco perchè Aftersun è un film per tutti, per tutti quelli che hanno la voglia ed il coraggio di rivedere il passato e i ricordi con lo sguardo ormai libero.
L'opera prima di Charlotte Wells è uno di quei film che graffia sulla pelle in maniera profonda, senza che te ne accorgi; lo capisci solo in seguito quando anche tu hai attraversato quella porta al termine del corridoio bianco, come fanno , per strade diverse Calum e Sophie; a quel punto i graffi diventano solchi che penetrano nella carne e rimangono impressi per sempre , proprio come i ricordi.
Raramente ci è dato di vedere un'opera così profonda , così difficile e ariosa nello stesso tempo, priva di difetti, in cui l'immagine, vero focus centrale del film, è costruita con una maestria eccelsa: gli sprazzi sfocati del nastro di Sophie, le immagini piene di sole, di allegria e di lacerazioni che covano nascoste, il montaggio e la scelta delle inquadrature della regista costruiscono un insieme armonico su cui si innesta una colonna sonora specchio dei tardi anni 90 su cui troneggia una magnifica Under Pressure di Bowie con i Queen.
L'esordio della giovane regista scozzese è di quelli memorabili, grazie ad un film da cui trasuda limpida la forza dell'autobiografia, un'opera che pone inevitabilmente Charlotte Wells sotto i riflettori come uno dei talenti cinematografici più splendenti degli ultimi anni.
Le interpretazioni di Paul Mescal e della esordiente Frankie Corio sono strutturalmente fondamentali alla riuscita del lavoro: lui è bravissimo nel mettere in scena un giovane uomo che sente il peso di una vita che gli sfugge di mano creandogli un senso doloroso di inadeguatezza che va a minare la sua sensibilità di padre che vede la figlia che lentamente gli sta lasciando la mano; la giovane esordiente è una di quelle facce che penetrano lo schermo e che fonde la freschezza della sua età ad una spontaneità folgorante; la coppia funziona benissimo si completa e regge con forza degna di due veterani tutto il peso del film che è sempre centrato sui loro volti.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.