giovedì 23 ottobre 2025

Hard Truths [aka Scomode verità] ( Mike Leigh , 2024 )

 



IMDB

Giudizio: 7.5/10

Hard Truths è un film drammatico del 2024 scritto e diretto da Mike Leigh, che riprende molte delle ossessioni già presenti nella filmografia del regista britannico: il peso del passato, la difficoltà di convivere con verità non dette, la crisi interiore, il fallimento delle relazioni fondamentali. 
Protagonista è Pansy Deacon, interpretata magistralmente da Marianne Jean-Baptiste, una donna depressa, ipocondriaca, incattivita col mondo  che lotta con la vita quotidiana, con i rapporti familiari e con il proprio senso di sé. 
La vicenda si svolge essenzialmente nella Londra contemporanea, in una casa modesta, nei supermercati, nei rapporti interni in famiglia, nei momenti ordinari (anche se molto carichi emotivamente). Pansy vive con il marito Curtley, idraulico, e il figlio adulto Moses, obeso, che sembra chiuso in se stesso in maniera ermetica , passivo. La sorella Chantelle, single con due figlie adulte, è una figura contrastante: cerca di mantenere un equilibrio, di essere di sostegno e di fatto è l’unica che si adopera per cercare di sollevare lo stato della protagonista. 
Il film non ha una trama “a grandi eventi”: è piuttosto uno studio del personaggio, un racconto frammentato di tensioni quotidiane, litigi, passeggiate nell’ignoto della vita affettiva, ricordi e, soprattutto, resistenza a ciò che è inevitabile. La morte della madre di cui corre l’ anniversario e il confronto al cimitero tra le due sorelle  sono i momenti che portano alla superficie conflitti lunghi, segreti, gelosie, paure, innescando dinamiche sopite.
Il ritmo è lento, composto di piccoli scenari, quasi micro-scene, che svelano gradualmente i disagi interiori. Non c’è un “colpo di scena” straordinario; piuttosto, Leigh procede per accumulo di tensione, mostrando come il passato non risolto, le ferite non elaborate agiscano su ogni interazione quotidiana. 
Pansy è una donna che vive con ansia, ipocondria, paura di uscire, disgusto per cose “normali” – fiori, animali – e un costante senso che qualcosa non va. È una vita attraversata da un dolore che non è esplicitato subito, ma che si percepisce nella sua rabbia accumulata pronta ad esplodere in ogni momento, nella sua tensione emotiva. 
Questa condizione mentale la separa non solo da sé stessa (cioè dalla possibilità di vivere una vita meno carica di tensione), ma dagli altri: l’altro principale che la costringe a confrontarsi, sua sorella Chantelle, cerca di essere ponte, sostegno, ma anche questa relazione è fortemente squilibrata. Anche il marito e il figlio vivono di reazioni, di resistenze, e spesso subiscono.



Come in molti film di Leigh, la famiglia è luogo dove si accumulano aspettative non dette, preferenze percepite, ferite infantili che non sono state affrontate. Pansy crede di essere stata trascurata, non considerata, o valutata male, pensa che la madre preferisse Chantelle. Sono idee che possono essere vere, parzialmente vere, ma si mescolano a fantasmi interiori, rimpianti, ansie. 
C’è il dolore per la madre morta, i rapporti interrotti, forse la mancanza di una figura di riferimento, un’elaborazione del lutto che non è stata fatta. Queste “verità sepolte” non sono rivelate in un flashback esplicito, ma traspaiono, contaminano il presente. Leigh costruisce queste verità con precisione, senza retorica, ma lascia che emergano attraverso le azioni, le reazioni, il silenzio. 
Una delle tensioni centrali è il contrasto tra il desiderio di negare, sfuggire, e la forza della realtà, che non può essere ignorata: la morte della madre, la sofferenza interiore, il fatto che gli altri attendono qualcosa da Pansy, la vita quotidiana che preme. Pansy tenta di negare, minimizzare, difendersi, ma la realtà riemerge: il confronto al cimitero, la consapevolezza che la famiglia “la odia” o almeno la teme, la paura che non c’è amore. 
Le relazioni sono imperfette, segnate da incomprensioni. Il marito Curtley è una presenza che cerca di reggere, ma che sembra logorato; il figlio Moses è fragile, sembra non avere ambizioni ma forse ha solo paura, forse non ha mai avuto spazio per emergere; Chantelle è la sorella che prova ad amare, ma anche lei soffre, non sempre sa come agire. L’amore famigliare  è presente, ma è sporco, doloroso, spesso non ricambiato nella misura che ciascun personaggio vorrebbe. 
Una delle caratteristiche più forti del film è che Leigh non concede una soluzione facile né un epilogo consolatorio. Anche quando Pansy sembra esporsi, confessare la paura, nell’incontro col cimitero, nell’ammissione “sono così spaventata”, non c’è una guarigione repentina, né una redenzione netta. Il film lascia aperto lo spazio d’incertezza: la possibilità che le cose restino come sono, o che qualche piccolo cambiamento possa emergere ma gradualmente.
Come accennato, il film è episodico, costruito su micro-scenari che fanno emergere pezzi della personalità di Pansy, dei suoi fantasmi, della tensione con gli altri. Ogni scena ha il valore di svelamento parziale: un litigio, un’uscita, un confronto. Questo tipo di struttura riflette la concezione che Leigh ha dell’esperienza umana: la vita non è fatta di picchi narrativi classici, ma di cumuli di tensioni sotterranee, di abitudini, di dolore che ribolle sotto la superficie. I temi emergono per accumulo, per contrasto, per ripetizione, non per esibizione.
Molti dei temi di Hard Truths sono coerenti con quelli che Leigh ha esplorato in altri suoi  film: il ritratto morale e psicologico del personaggio , spesso in pesante contrasto con se stesso, e ricco di contraddizioni e di fragilità esplosive; la famiglia come nucleo nel quale si celano le memorie, le situazioni non risolte , veri e propri misteri che condizionano le esistenze; l’aspetto politico inteso come rapporto tra individuo e contesto sociale che crea pressioni , anche se in questo lavoro è un aspetto meno incisivo ed infine uno stile in cui realismo, attenzione al dettaglio, tempi dilatati e improvvisazione concorrono a creare una verità relazionale.
Di contro possiamo dire che gli aspetti forieri di novità stilistiche sono la centralità del dolore psichico come motore del racconto, mai così duro ed emotivamente carico; la mancanza di qualsiasi forma di redenzione per il personaggio che preclude alla protagonista una uscita dal tunnel, sebbene il finale rimane aperto pur nella suo pessimismo e infine la rappresentazione di una famiglia nera britannica non di ceto proletario priva di qualsiasi mediazione o furbe trovate.
Nel complesso, Hard Truths è molto coerente con la poetica di Leigh: il suo modo di costruire personaggi che non sono eroi, che non sono perfetti, che portano su di sé i segni di ferite passate; il suo uso del realismo domestico; la tensione tra il desiderio di cambiare, di essere compresi e la resistenza interna; l’idea che la verità non detta pesa come un macigno; e che spesso l’unica vera soluzione è un passo minuscolo, non un grande gesto epico.
Anche stilisticamente, la costruzione lenta, l’attenzione alle piccole scene, il rifiuto di melodrammi ovvi, la fotografia che registra piuttosto che abbellire, il rumore di fondo della vita (litigi, silenzi, gesti quotidiani) sono elementi che confermano la “firma” artistica di Leigh presente in numerosi film. 
Certo qualche limite Hard Truths ce lo ha , soprattutto nella scarsezza dell’impianto narrativo praticamente privo di trama che può creare quasi frustrazione in un pubblico che cerca il racconto articolato, lo stesso ritmo compassato che sembra elevarsi solo nelle scenate della protagonista può risultare difficile da sostenere, però il film nel complesso ha il suo valore. 
Hard Truths non è soltanto un film sulla depressione o sull’ira; è una riflessione profonda su come si costruiscano le personalità attraverso attese non soddisfatte, attraverso l’invisibilità di certi dolori, attraverso rapporti familiari costituiti anche di rifiuto, incomprensione, preferenze implicite. Leigh ci mostra che le “verità dure” non sono quelle che si espongono con clamore, ma quelle che persistono sotto la pelle, minano la vita quotidiana, impediscono il benessere se non vengono in qualche modo affrontate.
La scelta di non risolvere, di non offrire consolazioni facili, è coerente con la visione che Leigh ha della vita: non tutto può (o deve) essere sistemato nel racconto; spesso la più grande verità è che qualcuno resta ferito, ma può continuare a camminare. E che l’amore, anche quando è imperfetto, può essere forza, anche se non salva. Hard Truths ci mette davanti a una domanda: fino a che punto possiamo far fronte alle verità che ci fanno male? E che prezzo paghiamo se le neghiamo?
Hard Truths è  uno dei film più intensi e riusciti di Mike Leigh negli ultimi anni. Non è facile da guardare – ma è inevitabile che non debba esserlo. È un’opera che sfida lo spettatore ad accettare il disagio, a riconoscersi nei difetti, nelle rabbie, nelle paure che molti preferirebbero nascondere. Marianne Jean-Baptiste dà una prova formidabile, mostrando come la buona recitazione non sia solo sintassi ma capacità di far sentire ogni filo teso del carattere.
Se si cerca un film che dia conforto, forse Hard Truths non è la scelta migliore. Ma se si è disposti a confrontarsi con la durezza della vita, con la verità nascosta, con l’amore che non basta sempre, con il fallimento come parte dell’esistenza, allora è un film che può lasciare tracce profonde.


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