L'emigrazione, la Cina e l'America
Due anni dopo Le biciclette di Pechino, film che per certa critica va inteso come un moderno manifesto del neorelaismo cinematografico cinese, Wang Xiao-shuai, regista tra i più apprezzati del panorama asiatico, dirige questo lavoro dal forte impatto di denuncia a 360 gradi.
L'argomento trattato in uno stile pacato, al limite del minimalismo è quello dell'emigrazione dalla Cina verso gli Stati Uniti, le tragedie che spesso a questo fenomeno si legano, il contrasto culturale tra una visione della vita che ancora è capace di influenzare il mondo ed un'altra in cui la tradizione e le difficoltà sociali ostacolano un progresso che sa troppo di appropriazione aprioristica di un modo di vivere lontano e per certi versi antitetico.
L'argomento trattato in uno stile pacato, al limite del minimalismo è quello dell'emigrazione dalla Cina verso gli Stati Uniti, le tragedie che spesso a questo fenomeno si legano, il contrasto culturale tra una visione della vita che ancora è capace di influenzare il mondo ed un'altra in cui la tradizione e le difficoltà sociali ostacolano un progresso che sa troppo di appropriazione aprioristica di un modo di vivere lontano e per certi versi antitetico.
La narrazione, molto scarna, ruota intorno al fratello minore Hong e alla sua famiglia: emigrato clandestinamente negli States, dove lavora come lavapiatti in un ristorante gestito da un suo connazionale, si ritrova padre in seguito al legame con la figlia del proprietario che vedendo di cattivo occhio la relazione, denuncia il ragazzo che è costretto a ritornare in patria e ad abbandonare il figlio.
Hong vaga sullo schermo, tra le vie della sua città, in uno stato catatonico, privo di qualsiasi spunto vitale, solo una attrice di una compagnia teatrale sembra riuscire ad aprire una piccola breccia nel suo recinto emotivo, tormentato dall'impossibilità di riuscire a incontrare il figlio, tornato anch'egli in patria, cittadino americano per nascita e simulacro di una civiltà e di una cultura che impedisce, ope legis, al padre di incontraare il figlio.
In tutto il film scorre il rivolo della denuncia: verso una emigrazione forzata che appare come l'unica via d'uscita dall'inedia, verso le autorità cinesi che sanno opporre solo una grottesca propaganda per arginare il fenomeno, verso la cultura americana che osa interferire con il concetto culturale cinese sacro della paternità e che, seppur con un oceano in mezzo, infonde i suoi falsi valori materialistici nella gioventù cinese.
Hong vaga sullo schermo, tra le vie della sua città, in uno stato catatonico, privo di qualsiasi spunto vitale, solo una attrice di una compagnia teatrale sembra riuscire ad aprire una piccola breccia nel suo recinto emotivo, tormentato dall'impossibilità di riuscire a incontrare il figlio, tornato anch'egli in patria, cittadino americano per nascita e simulacro di una civiltà e di una cultura che impedisce, ope legis, al padre di incontraare il figlio.
In tutto il film scorre il rivolo della denuncia: verso una emigrazione forzata che appare come l'unica via d'uscita dall'inedia, verso le autorità cinesi che sanno opporre solo una grottesca propaganda per arginare il fenomeno, verso la cultura americana che osa interferire con il concetto culturale cinese sacro della paternità e che, seppur con un oceano in mezzo, infonde i suoi falsi valori materialistici nella gioventù cinese.
Wang descrive con notevole efficacia questo scontro tra due stili di vita, non disdegnando la denuncia politica , ma nel frattempo sa entrare nell'intimo dei personaggi coinvolti con grande spirito di osservazione, mantenendo un ritmo lento, che induce alla introspezione. Probabilmente la messe e la gravità degli argomenti trattati è tale che in alcuni passaggi mantiene un livello troppo superficiale, privilegiando l'aspetto personale ed intimo della storia, che rimane pervasa, comunque, di un notevole pessimismo ben fotografato nell'epilogo amaro.
Pur rimanendo ad un livello meno valido rispetto a Le biciclette di Pechino, anche Drifters conferma la bravura di Wang, soprattutto nel raccontare le mestizie e i tormenti dell'uomo in una Cina percorsa da sussulti sociali e personali che segnano indelebilmente le esistenze.
Pur rimanendo ad un livello meno valido rispetto a Le biciclette di Pechino, anche Drifters conferma la bravura di Wang, soprattutto nel raccontare le mestizie e i tormenti dell'uomo in una Cina percorsa da sussulti sociali e personali che segnano indelebilmente le esistenze.
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