Una giovane ragazza morta, quattro uomini che in un modo o in un altro sono ad essa collegata; il thriller però dura poco, presto sappiamo come sono andate le cose, impresse in un filmato.
Il voyeur ossessionato vicino di casa che spia la ragazza con dispendio di telecamere e microfoni, l'ex fidanzato che non si rassegna alla rottura, il nuovo amante, uno stimato professore universitario con famiglia che i reperti biologici inchiodano come colpevole e un impresario-magnaccia-strozzino che come fiuta la possibilità di fare soldi con ricatti e minaccia si fionda nel caso anima e corpo. Ognuno dei quattro possiede il suo punto di vista , segue le sue convinzioni e i suoi impulsi e quando , presto, si capisce come sono andate realmente le cose dal thriller si scivola repentinamente nella dark comedy.
Chi si ostina a definire An Ethics Lesson come un thriller prende un abbaglio, così come la definizione di commedia tarantiniana ha poca aderenza; semmai col procedere della storia si ha , a volte , l'impressione di esser capitati nel bel mezzo di una pellicola nera coeniana, forse meno raffinata, ma con la sua dose di sarcasmo e di dileggio per i protagonisti.
Più che nella sostanza del racconto scritto dallo stesso regista alla sua opera prima, quello che colpisce favorevolmente nel film è la sua struttura , fatta di avanti e indietro lungo il sentiero narrativo, le vicende sono viste da varie prospettive, ognuna appartenente ai protagonisti e Park è molto bravo a cucire gli strappi e i salti temporali, dando paradossalmente una linearità apprezzabile a tutta l'opera.
Quando poi assistiamo all'esilarante monologo dello strozzino, intriso di una personalissima e surreale filosofia di vita che da il senso al titolo del film, si scivola nel surreale da commedia quasi demenziale, così come il sottofinale grottesco, nel bianco della sala fotografica solcata dai rivoli di sangue che scorrono a profusione, in una sorta di resa dei conti che richiama , con ben più umorismo, alcune scene de Le Iene, dominata dalla figura etera e surreale di Moon So-ri, getta le basi per la composizione definitiva del puzzle; ma proprio la comparsa della moglie del professore universitario in galera per l'omicidio diventa il grimaldello per un finale in cui , sembra, che nulla sia successo, la storia a quanto pare può ricominciare con le stesse dinamiche.
La spicciola filosofia etica del film sta nel fatto che quando si va fuori di testa, la rabbia diventa l'artefice e il giudice implacabile delle nostre vite, a maggior ragione nel caso di tutti i protagonisti che per un motivo o per l'altro hanno chiesto troppo alle loro esistenze, a prescindere dalla propria natura.
An Ethics Lesson è insomma film che funziona in larga parte, sa divertire con gusto spesso macabro, mostra una carrellata di personaggi nei quali è proprio l'etica a difettare e che vengono irrimediabilmente presi in un gorgo dal quale non c'è via d'uscita.
A parte i dieci minuti già citati in cui il film trova in Moon So-ri il suo deus ex-machina , l'interpretazione che lascia il segno indelebile nel film è quella di Cho Jin-woong, lo strozzino dalla filosofia spicciola, autentico motore del lavoro di Park Myung-rang, regista che faremmo bene a tenere sotto osservazione per il futuro.
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