Giudizio: 7/10
Il modello ispirativo cui fanno riferimento i registi Kagerman e Lija è il poema fantascentifico-filosofico omonimo scritto nel 1956 dal Premio Nobel svedese Harry Martinson: Aniara è il nome di una navicella dispersa nello spazio in seguito ad un incidente che l'ha costretta ad uscire dal sistema solare e a vagare nello spazio nella vana speranza di poter in qualche maniera rientrarvi.
Siamo in un futuro non troppo lontano, l'umanità ha necessità assoluta di emigrare dal pianeta che ha visto la nascita della nostra civiltà perchè quella (in)civiltà lo ha distrutto, deturpato, annichilito; la navicella Aniara, grottescamente strutturata nei suoi interni come un mega centro commerciale, dovrebbe portare, come un vascello traghettatore, i viaggiatori nelle colonie che nello spazio l'uomo ha costituito.
L'incidente sconvolgerà i piani, la destinazione non verrà mai raggiunta nonostante le bugie raccontate dall'equipaggio del vascello spaziale, e gli occupanti sono destinati alla morte lenta vagando per lo spazio infinito in un tempo che trascorre inesorabile e che mina i corpi e le menti dei viaggiatori, propensi a lasciarsi andare a impulsi autodistruttivi, a riunirsi in sette ascetiche adoratrici, tendenti alla violenza e alla sopraffazione, quella stessa che ha distrutto il pianeta.
Quando poi anche l'unica IA che riusciva a creare un temporaneo e nostalgico legame con la Terra attraverso la elaborazione di immagini che altro non erano che i processi mentali e mnemonici delle persone decide che è giunto il momento di abbandonarsi al suo destino, il clima nella astronave vira in maniera decisa verso il nichilismo e il senso di autodistruzione.
Nel momento in cui la fine si avvicina una umanità cieca e frammentata non riesce a fare altro che dare fondo ai suoi peggiori istinti in attesa che l'opera di annientamento venga compiuta e lo spazio infinito inghiotta i viaggiatori diretti verso le colonie del genere umano.
Raccontato con uno stile asciutto che non trascende mai nel genere fantascientifico puro, mantenendo invece quello sguardo moralistico-filosofico, Aniara degli esordienti Pella Kagerman e Hugo Lija che con gran coraggio hanno messo mano ad un'opera che, curiosamente, nonostante abbia importanti involontari riferimenti a problematiche attuali, non era mai stata utilizzata come ispirazione cinematografica, è lavoro che rispecchia pienamente il background dei due registi, quel cinema scandinavo austero, a volte cattivo, spesso nichilista che evita in maniera netta la possibilità che la pellicola possa guardare come modello al Kubrick di Odissea nello spazio ad esempio.
Se Martinson nel suo poema raccontava le paure post atomiche della guerra e i crescenti spettri di una guerra fredda che qualora scatenata su scala mondiale avrebbe portato alla fine del genere umano, in Aniara i due registi rivolgono lo sguardo prevalentemente alle valutazioni morali e filosofiche che stanno portando l'umanità ad un punto di non ritorno causa il consumismo sfrenato, l'amoralità, l'egoismo,la corsa all'arricchimento, la violenza continuata sul pianeta e sulle sue forme di vita.
L'umanità che ci racconta Aniara è una massa informe di profughi che si muove su dimensioni planetarie, che colonizza, per deturpare, altri pianeti, una moltitudine di rifugiati la cui esistenza è annebbiata dall'edonismo sfrenato; quella poi che rimane a vagare nello spazio per il guasto tecnico al vascello è l'avanguardia degli esseri annientati, i primi esseri umani cancellati dall'universo per un grottesco processo di autodigestione.
La cupezza dei riferimenti filosofici, il pessimismo e la rassegnazione che si respirano nel racconto contribuiscono a fare di Aniara un film che si tira dietro un pesante macigno e che , a dire il vero, in qualche circostanza tende anche ad appesantirsi, ma il messaggio contenuto nel film è chiaro e per certi versi angosciante, perchè pensandoci bene, forse, quei momenti non sono poi così lontani nel tempo.
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