Giudizio: 4.5/10
Quasi inspiegabilmente entrato nella cinquina finale per gli Oscar da cui è stato prescelto il vincitore, affiancato ad opere come Drive My Car ed E' stata la mano di Dio, La persona peggiore del mondo di Joachim Trier soffre della sindrome del "film carino"; così infatti viene largamente definito in una sola parola la pellicola del regista danese , che a sua volta già non aveva granchè convinto con le sue due ultime opere.
Film carino, che come ben sappiamo non significa nulla , perchè nè di persone nè di oggetti più o meno inanimati si tratta, bensì di cinema che dovrebbe accendere i nostri sentimenti , le passioni, la curiosità o la maraviglia; il film di Trier, purtroppo, sebbene avvolto da una livrea a tratti addirittura seducente è pellicola che cinematograficamente non desta alcuno stimolo.
Strutturato in maniera alquanto pretenziosa in capitoli ( 12 ) un prologo e un epilogo, iniziamo con atmosfere che sembrano derivate da Woody Allen, con tanto di voce narrante che ci inquadra la protagonista che vuole fare il medico per poi capire che le interessa la psiche e quindi abbraccia gli studi di psicologia per concludere poi che il suo mondo è quello della fotografia e per finire comunque a fare la commessa in una libreria.
Si va avanti con ambientazioni da Il grande freddo di Kasdan per inanellare, capitolo dopo capitolo, dissertazioni più o meno filosofiche e altrettanto più o meno sbrigative , in ordine sparso su: tradimento amoroso, femminismo militante ("si può essere femministe e provare piacere a farselo mettere in bocca?" "teoria del pene flaccido che è bello da far indurire" per finire "al sesso orale in tempi di Metoo") , passando per gli immancabili problemi famigliari con figure paterne patetiche, per Freud e la cultura fumettistica underground, la questione ambientale, funghi allucinogeni, arte e ovvietà da telenovela tipo " spero di essere me stessa con te", il tutto imperniato intorno alla figura della protagonista e della sua presunta maturazione personale trattata con un coming-of-age un po' troppo maturo, visto che di una trentenne si parla, che entra in conflitto coi suoi compagni amorosi per la sua mancanza di volontà ad esser madre , sempre spinta a sperimentare , a cambiare pagina rapidamente, a buttare nel cesso tutto per i suoi semplici capricci ( " Vogliamo cose diverse")
E nonostante come il titolo del film si definisca uno dei suoi partner , la vera persona detestabile è proprio lei , Julie, la biondina che non matura mai, che lascia Aksel perchè questi vuole un figlio, si mette con Eivind il bambacione che non si sa se i figli li voglia o meno però la ingravida, e lei che torna da Aksel malato di cancro a chiedergli se lui pensa che possa essere una brava madre: complimenti per la sensibilità e delicatezza ! Il fato comunque ci darà la soluzione dell'enigma.
Insomma questo ondeggiare come una nave senza cocchiero del personaggio di Julie, oltre che risultare tutt'altro che delizioso come qualcuno dice, conferisce al film una andatura che si dimena sempre tra commedia, con pretese sofisticate, e dramma, lasciando sul percorso tutta una serie di tematiche anche importanti, ma che vengono trattate con la superficialità che il personaggio impone, quasi un compendio frettoloso ad uso e consumo di un pubblico che magari si accontenta di sentir parlare dei problemi dell'ambiente o delle riflessioni sulla maternità o sull'arte incastonate tra ovvietà e battute che vorrebbero sempre rimandare a Woody Allen, ma che purtroppo non si avvicinano neppure a quelle meno riuscite del regista newyorchese.
L'impressione che lascia la visione del film di Joachim Trier è quella di un'opera costruita male e confezionata peggio, cui neppure una suddivisione in capitoli (che tra l'altro non hanno neanche una sequenza cronologica ) riesce a dare una organicità: il regista sembra più interessato a mettere nel calderone più cose possibili per mostrarci la frenesia con la quale la protagonista vorrebbe vivere la vita, in stile adolescente ipercinetico che a costruire un canovaccio narrativo che abbia un minimo di struttura e coerenza.
Quello che salva La persona peggiore del mondo dal naufragio completo è la valida ambientazione in una Oslo molto accattivante che cerca di offrire il suo volto più bello ( e la scena di Oslo freezata indubbiamente è notevole) e l'indubbia eleganza delle immagini , sia negli interni che negli esterni; per il resto la pellicola di Trier è deludente, troppo poco per riuscire a regalare qualche sprazzo che meriti di essere ricordato.
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