mercoledì 1 marzo 2023

Walk up ( Hong Sangsoo , 2022 )

 




Walk Up (2022) on IMDb
Giudizio: 8/10

Seguendo uno schema ormai quasi consolidato, Hong Sangsoo anche nel 2022 sforna due film uno dei quali si aggiudica l'Orso d'Argento Premio Speciale della Giuria alla Berlinale, consolidando una tradizione che ormai è incrollabile come lo sono gli appuntamenti che scandiscono la carriera del regista coreano: Walk Up è la seconda opera del 2022 , presentata a Toronto ed in seguito a San Sebastian e rappresenta l'ormai ennesimo racconto che Hong sembra cucirsi addosso con intenti narrativi a forte impronta autobiografica, caratteristica di larga parte dei lavori sfornati da qualche tempo a questa parte che  hanno portato l'autore a rivolgersi verso se stesso e a guardarsi dentro piuttosto che a dipingere quella carrellata di personaggi, a volte quasi grotteschi, perennemente in lotta con la vita e con se stessi, che animavano le opere di Hong fino a qualche anno orsono.
La storia si apre con Byungsoo, un regista , ennesima proiezione di se stesso nel corpo dell'ormai alter ego principe del regista, l'attore feticcio Kwon Haeyeo, che si reca con la figlia Jeongsu a far visita ad una sua vecchia amica, Ms Kim; questa è una interior design cui il regista vorrebbe affidare la figlia intenzionata ad intraprendere quella carriera; è chiaro sin da subito che tra i due esiste qualcosa che proviene dal passato che va al di là della semplice amicizia.



Da questo punto il film procede attraverso quattro quadri, e qualche scena di passaggio, una sorte di interludio, che si svolge all'interno di una palazzina di proprietà di Kim nella quale a diversi piani sono posizionati un ristorante, un atelier da artista ed un appartamento con terrazzo.
Con un andamento ellittico che si concretizza nel finale, assistiamo a situazioni che si imbricano nel tempo e nello spazio che sono i due veri padroni nel film, insieme alle innumerevoli bottiglie di vino ( stavolta la fa da padrone , per il soju c'è solo una parziale rivincita nel finale) che diventano l'anticamera del sogno e dell'aspetto onirico del film, ed un incredibile copertina di un LP di Fausto Papetti in bella mostra in uno degli ambienti in cui si svolge il film, la cui presenza nel contesto del film sarebbe la prima domanda che oserei porgere al regista in una ipotetica intervista  ( dopo il Morandi di Bong Joonho, ora il Papetti di Hong...)
Riducendo all'osso, direi quasi ad un minimalismo non solo narrativo , ma soprattutto tecnico e strutturale, grazie ad  un bianco e nero molto classico , Hong lascia il suo alter ego scorrazzare nel tempo ( quanto non sappiamo ma è chiaramente individuabile il suo trascorrere) e nello spazio della palazzina , ogni piano della quale sembra offrire dei connotati narrativi alla storia nel suo insieme, al cui centro, mai come in Walk up, ci sono le interminabili chiacchiere e discussioni tra i protagonisti, seduti al tavolino con l'immancabile alcool che aiuta a sciogliere il ghiaccio che immobilizza un po' tutti: il regista che vede il suo ultimo lavoro in pericolo per i soliti problemi con il produttore, la proprietaria del ristorante con la quale avrà una relazione che si spertica in lodi dei suoi film senza però saper spiegare perchè le sono tanto piaciuti se non ripetere all'infinito un banale "mi divertono e bevo sempre prima di vederli" , la salute del regista traballante, un'altra relazione con una donna animata da un sano pragmatismo e con la quale Byungsoo si lancia in un accorata e febbrile riflessione sulla religione con tanto di crisi mistica, momenti di passaggio tra sogno e realtà, un procedere del racconto la cui dinamicità è data dal salire o scendere le scale dei personaggi.
L'insieme dei quadri, tutti all'interno della palazzina , tranne pochissimi momenti, ci presenta una sorta di compendio di quello che è ad oggi il cinema di Hong: piani fissi, anche le zoomate ridotte al minimo, dialoghi asse portante del film, una perenne difficoltà a trovare uno spazio-luogo dove confrontarsi, lo stesso concetto di spazio e di tempo che sembra perdere i connotati logici in favore di un indefinibile magma che alimenta la pellicola, una introspezione personale che ha ormai soppiantato il ritratto di personaggi spesso criticabili e detestabili che rappresentano le nostre più varie debolezze e le nostre difficoltà a rapportarsi.
E' indubbiamente un Hong che scivola sempre più verso l'ermetismo quasi esistenzialista, che riduce al minimo i movimenti, in cui solo la parola sembra avere ancora un minimo di vitalità, un palcoscenico sul quale, attraverso il suo alter ego, il regista cerca di trasmetterci quello che lui vede specchiato dentro se stesso.
Quel senso di divertito disincanto col quale ci si avvicinava ai lavori di Hong, ormai da molto quasi dei capitoli di una unica interminabile storia, lascia il posto, soprattutto nei suoi due ultimi lavori, ad una certa melanconia, perchè sempre più tangibile appare il disagio che sembra agitarsi nel regista e che è lo specchio del disagio di tutti noi; ci rimane ad offrirci una sana dose di risata e di moderata allegria quel "nunc est bibendum "  che è diventato un po' l'inno dei film del regista coreano, quasi una esortazione a cercare nel torpore dei sensi e nella ebbrezza alcolica quel punto di passaggio tra realtà e sogno.
Se Kim Minhee stavolta è presente solo come produttrice, il già citato e fedelissimo  Kwon Haehyo e Lee Hyeyoung, già al terzo film in due anni con Hong, dopo il suo ritorno in patria dopo quasi 15 anni, sono interpreti validissimi, ormai quasi dei pilastri imprescindibili per i film del regista coreano.


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