venerdì 14 aprile 2023

Palm Trees and Power Lines ( Jamie Dack , 2022 )

 




Palm Trees and Power Lines (2022) on IMDb
Giudizio: 6/10

Dopo aver riscosso premi e giudizi lusinghieri al  Sundance Film Festival ( e questo tutto sommato non stupisce...) Palm Trees and Power Lines infatua anche il Festival di Torino dove conquista il premio per il miglior film e la migliore sceneggiatura.
L'esordio alla regia nel lungometraggio di Jamie Dack prende spunto da un corto dal titolo omonimo di quattro anni prima della stessa regista, in cui mantenendosi sempre nel solco di quel cinema indie sempre più didascalico e manieristico, il racconto vaga tra il coming of age, il dramma della solitudine e la triste e profonda riflessione sulle dinamiche del potere tra vittima e carnefice.
La storia si impernia intorno a Lea diciassettenne inquieta, solitaria e silenziosa, in perenne conflitto con una madre instabile, e vittime entrambe del collasso di una famiglia frantumata; anche il suo rapporto con l'ambiente esterno , amici idioti e sessuomani, amiche superficiali e futili, giornate sempre uguali a non far nulla in una provincia suburbana che annienterebbe  chiunque, è tutt'altro che sereno.
In questo mare stagnante emotivo in cui galleggia la ragazza, l'incontro casuale con un uomo molto più grande di lei ha il tipico effetto della deflagrazione in una tranquilla giornata assolata di estate.



Tom dice di essere un imprenditore, si mostra gentile con la ragazza e ben capisce lo stato di sudditanza psicologica nella quale la ragazza sin da subito si pone, soprattutto perchè vede in lui e nelle sue chiacchiere una possibile via di fuga dall'oblio in cui tira avanti.
Ma mano che passa il tempo lui diventa sempre più un imitatore da baraccone di un James Dean di provincia , lei non capisce la trappola in cui la sta immobilizzando e la storia da coming of age svolta verso il dramma generazionale e il racconto di un rapporto in cui non esiste il minimo equilibrio sentimentale ed emozionale.
L'impianto complessivo del film rende merito ad una regista che sposa in pieno alcune di quelle caratteristiche tipiche di certo cinema indie americano sempre pronto a cavalcare le onde dell'emotività sullo sfondo sociale: l'ambientazione suburbana schiacciata tra la metropoli (Los Angeles in particolare) e una provincia abbrutente, la protagonista problematica in lotta con la società e con se stessa ( ed in qualche modo, soprattutto col finale,  anche il Don Giovanni de noiantri sembra poter appartenere a questa categoria, sovvertendo in parte lo schema fino a quel momento stabilito), una dominanza di colori tenui, quasi un flou ad attenuarli, i tramonti immancabili, le famiglie disgregate, tutti topoi che appartengono in maniera quasi codificata ormai a un certo tipo di cinema indipendente americano, troppo spesso più interessato a mostrare questi canoni stilistico-narrativi che a scavare realmente in fondo alle storie.
Indubbiamente la regista mostra una buona mano ferma nel dirigere il film e la scrittura anche ha i suoi pregi, ma questo costante rimanere aggrappati a stili, situazioni, linguaggio e immagini danno una forte connotazione di già visto molte, forse troppe volte.
La tematica dei rapporti di potere che si instaurano a livello emozionale e sentimentale costituisce il principale tema di Palm Trees and Power Lines , al di là delle varie divagazioni che , soprattutto nella prima parte, occupano gran parte del racconto: la tematica è ben lungi dall'essere originale ed è stata coniugata nel Cinema in molteplici, direi quasi infinite, declinazioni, e Jamie Dack non aggiunge nulla di nuovo, trovando uno spunto potente e degno di nota solo nella scena più drammatica e forte che vede la protagonista alle prese con la triste e penosa realtà che frantuma il sogno ma , probabilmente , non quel sentimento marcio e malato che la anima.
Insomma l'opera prima della regista americana, cui va comunque riconosciuta una sincerità di base visto che la storia è ispirata ad esperienze personali, sa troppo di già visto e raccontato, con situazioni, immagini, riflessioni viste tante volte  ( chi non ha pensato al Sean Baker di Tangerine o di Un sogno chiamato Florida alzi la mano...) caratteristica, come già ripetutamente accennato, di un formalismo indie pericolosamente prossimo al conformismo stilistico.
Degna di nota invece è la prova soprattutto di Lily McInerny , praticamente esordiente che da il giusto spessore alla figura di una adolescente alle prese con i tumulti interiori, ben affiancata da Jonathan Tucker col quale costruisce un binomio dall'apparente affiatamento solido.

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