Giudizio: 10/10
Schermo nero, titolo scritto in bianco che campeggia nel centro; lentamente il bianco svanisce, il nero rimane e una musica stridente che dapprima raggela poi lascia spazio a note che sembrano provenire da un baratro che sprofonda nella terra; note che solcano lo schermo nero, in mezzo qualche rumore metallico, forse addirittura delle voci lontane, il tempo passa... Poi lentamente qualche cenno di vita si fa strada: cinguettii lontani, sempre più frequenti e più limpidi e alla fine dopo alcuni minuti interminabili il mondo si apre , squarciando il nero dello schermo con una immagine bucolica anche essa interminabile, piano fisso in lontananza che riprende scene d'estate su una riva di un fiume, qualche mormorio , qualche gesto lontano.
In questo inizio tra i più strazianti e drammatici possibili, Jonathan Glazer cala il biglietto da visita della sua personale (e geniale) lettura dell'abominio nazista: aguzzate le orecchie, sembra avvertire, perchè non vedrete nulla ma ascolterete quello che a volte, soprattutto senza vedere, può essere più lacerante e raccapricciante di ogni cosa; il Cinema, arte visiva per eccellenza, nata senza parole, al massimo una musica ad accompagnare, demanda al suono, quello generato non dagli strumenti musicali bensì dalla follia umana, il racconto di una delle più grandi tragedie dell'umanità, uno dei trionfi più assurdi del male e della follia lucida dell'uomo.
La famigliola che vediamo in riva al fiume , in quello che potrebbe sembrare quasi un quadro impressionista, è quella di Rudolf Hoss, gerarca nazista , comandante del campo di sterminio di Auschwitz; c'è la moglie , i figli, dei ragazzi ospiti che si godono il sole e il bagno nel fiume.
Giunti a casa , di ritorno da questa giornata di sole e riposo, capiamo chiaramente che quella che sembra una casa linda e pinta circondata da un bel giardino con tanto di orto e serra ha come muro confinante quello del campo di concentramento di Auschwitz: un casa e lavoro perfetto per uno che deve occuparsi di far funzionare alla perfezione la fabbrica di morte che dirige.
E qui piano piano cominciano ad entrare nelle nostre orecchie, già messe in allerta dal prologo, rumori lontani che però non lasciano dubbi: grida disperate, risate oscene, colpi di arma da fuoco, il rumore incessante , come quello di un maglio che non si ferma mai, dei forni crematori che rilasciano senza tregua nuvole di fumo, ordini urlati con voci da esseri demoniaci.
E' il Truman Show, il grande fratello antelitteram del nazismo e dei suoi fedeli servitori: Glazer con una scelta geniale, degna di un grandissimo cineasta, prende spunto dal romanzo omonimo dello scrittore inglese Martin Amis, che per un incredibile scherzo del destino muore negli stessi giorni in cui il film di Glazer viene presentato a Cannes, per costruire , primo probabilmente nella storia del cinema, un racconto dell'Olocausto con la prospettiva dei carnefici, dipingendo i nazisti non come dei "mostri" come troppo spesso vengono identificati, di fatto deumanizzandoli e ponendoli in un mondo quasi avulso dal nostro, ma come dei personaggi mediocri, delle larve umane , incapaci di poter distinguere neppure lontanamente il bene dal male, dei borghesotti in cerca di gloria forti della loro ideologia inculcata da grottesche figure subumane.
Scegliendo di mostrarci Hoss e la sua bella famigliola che vive la propria esistenza in tutta tranquillità, nell'agio più completo, facendo crescere i figli ad un passo da quella fabbrica di morte ed abiezione che è stata Auschwitz, non solo ci mostra come dei mediocri personaggi fossero gli attori della messinscena della banalità del male, ma lo fa sfruttando la tecnica e l'arte cinematografica come raramente si è visto nella storia della settima arte.
I piani fissi interminabili, quasi dei quadri, sempre a distanza, mai un primo piano, una astrazione visiva che rasenta la spersonalizzazione dei personaggi, domina soprattutto la prima parte del film, con quel sottofondo sonoro che fa contorcere le budella a noi ma che a loro non risulta neppure un po' fastidioso; la cenere invece no, quella dà fastidio quando ci sono i panni stesi, e anche quel muro di cinta , meglio far crescere delle belle viti che lo nascondano un po' per non turbare i pomeriggi in giardino con gli amici.
E' questa totale normalità che rende La zona di interesse un film che lascia senza parole, che non riesce neppure ad indignare; è quel suono continuo , quel misto di dolore e lamenti, di follia e di brutalità che rimane nelle orecchie che dà la vera misura dell'atrocità, senza che essa venga mai mostrata.
Tutta la prima parte del film è una lunga rappresentazione della assoluta mancanza di etica, dell'assurdo concetto che sterminare migliaia e migliaia di persone sia un lavoro come un'altro; e poi i ragazzini che giocano coi denti d'oro sottratti ai condannati, la moglie di Hoss che indossa con fare civettuolo la pelliccia rimediata chissà come, le donne della servitù cui viene regalata la biancheria tolta alle donne ebree, il terrore di Hoss quando nel fiume compaiono ossa umane che possano contaminare la purezza dei figli (povero idiota...), la riunione dei gerarchi per mettere a punto i nuovi forni crematori come si trattasse di una catena di montaggio per costruire biciclette.
Quando poi al gerarca viene proposto il trasferimento per occuparsi di una delle fasi decisive della Risoluzione Finale, che dire del confronto aspro tra lui e la moglie che sentenzia. " Abbiamo lavorato tanto per avere una vita bella come questa, un posto dove far crescere i nostri figli e adesso non voglio rinunciarci" ? Probabilmente l'attimo più buio del film a confermare l'assoluta mancanza di coscienza.
Ci sono solo due piccole scintille di umanità nel racconto, la presenza della suocera di Hoss che evidentemente sopraffatta dalla coscienza se ne andrà di soppiatto da quella casa dopo averci fatto sapere che lì oltre il muro c'era sicuramente la signora ebrea dove lei lavorava a servizio, spettacolare ribaltamento delle classi figlio della "rivoluzione" nazista.
L'altro spiraglio di umanità è una delle figlie di Hoss che soffre di incubi notturni per i quali il padre trova l'antidoto della fiaba mentre però sullo schermo noi vediamo una ragazzina ripresa con le telecamere a calore che vaga per il campo lasciando da mangiare nascosto per i deportati, un'inserto del film che si muove tra la fiaba, il poetico e la dubbia interpretazione.
Abbiamo altri due momenti che colpiscono duro nel film, il primo quando Hoss al termine di una riunione di gerarchi che lo ha nominato, in virtù del suo servigio fatto ad Auschwitz, responsabile di tutti i campi di sterminio, viene colto per un paio di volte da conati di vomito: Glazer ha chiaramente detto in una intervista che in quel momento lui è il male assoluto che si è nutrito di cenere, ossa , corpi decomposti e che con un montaggio anche questo geniale, sembra che abbia una visione del futuro: Auschwitz è adesso un museo , cimeli conservati sotto le teche, le donne delle pulizie che scopano in terra, come se stessero in una camera d'albergo, perchè l'abitudine supera lo sgomento e la pietà, come è ovvio che sia , una armatura di cinismo per sopravvivere e non soccombere di fronte al male; ma Auschwitz è anche il luogo dove Hoss, condannato a morte a Norimberga, viene impiccato, ultimo atto di una circolarità aberrante.
Credo che questo film, vincitore del Gran Prix a Cannes, favoritissimo agli Oscar, possa avere in sè una importanza che solo il tempo saprà delineare in maniera netta, ma definire La zona di interesse un capolavoro non penso sia azzardato: la scelta narrativa di Glazer di presentare il punto di vista dei carnefici, cosa che va a cozzare con quanto fatto nel cinema fino ad ora, è una scelta rivoluzionaria, soprattutto perchè diventa causa ed effetto di una scelta narrativa e tecnica che riesce a travolgere emozionalmente ben più di quanto possa essere avvenuto nei film che rimangono i capisaldi del racconto dell'Olocausto (La vita è bella, Schindler's List, Il Pianista, Train de vie , Il figlio di Saul); inoltre l'avere delegato ad un sonoro che è specchio di una realtà che non vediamo mai ma solo immaginiamo il carico emotivo che contrasta con la facciata borghese ripulita della famiglia di Hoss, è qualcosa che riesce a lacerare più di mille immagini.
Non è un film per tutti, questo va detto, è un film che non fa passare certo una bella serata, quando va bene, è un film per molti versi anche ostico, ma al contempo è un'opera la cui grandezza artistica raggiunge livelli incommensurabili, uno tra i più grandi film degli ultimi anni, la cui reale portata , forse, potremo apprezzare solo con l'ausilio del tempo ; ma soprattutto è un film che ci sbatte in faccia come persone così mediocri , larve umane prive di tutto possano avere contribuito con la loro visione da poveri miserabili arroccati sui propri privilegi ad una tragedia come l'Olocausto.
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