domenica 9 novembre 2025

Eddington ( Ari Aster , 2025 )

 



IMDB

Giudizio: 6.5/10

Con Eddington, Ari Aster abbandona ,o quanto meno sospende, la modalità tipica dell’horror puro, quella di Hereditary  Midsommar , per imboccare la via di un western contemporaneo (neo-western) fortemente politicizzato, ambientato nel pieno della pandemia di Covid-19 e delle agitazioni sociali degli Stati Uniti del 2020.
La pellicola mette in scena una cittadina immaginaria del Nuovo Messico, Eddington appunto, dove lo scontro tra lo sceriffo Joe Cross (Joaquin Phoenix) e il sindaco Ted García (PedroPascal) s’innesca in un clima di paranoia, protesta, complottismo, mascherine, teorie del virus, lotta razziale e disorientamento politico, insomma un trumpismo montante che avrebbe poi portato inevitabilmente alla pantomima dei MAGA.
Da questo incipit, Aster intesse un discorso ambizioso: non più solo la famiglia come nucleo di orrore interiore, non più solo la cerimonia di rito come metafora del trauma, ma un intero Paese in dissoluzione , o meglio, in perenne combustione nel quale vengono a galla in maniera esplosiva situazioni e latenti contraddizioni che portano a rivalutare la vera natura della società yankee. Il tutto, va detto, avviene ben prima della ascesa di Trump, ma ciò che Aster racconta è quanto di più profetico ( o semplicemente ovvio?) riguardo la deriva intrapresa dal paese in questi ultimi anni.
Il film utilizza la pandemia come cornice di tensione: il momento in cui le regole sanitarie, le restrizioni e la paura collettiva spalancano spazi di delirio, isolamento e conflitto. In questo senso, la mascherina, il rifiuto della mascherina, l’asmatico-sceriffo che non la vuole indossare mostrano come i singoli simboli diventano totem ideologici.
Aster costruisce così un discorso sulla fragilità del tessuto sociale: quando una calamità (sanitaria, ma presto anche politica) colpisce, la comunità non reagisce in modo compatto ma esplode in una guerra di tutti contro tutti , una resa dei conti tra angosce individuali e paure collettive.
La candidatura dello sceriffo Joe Cross , che diventa simbolo di un certo tipo di America “ritorno alle origini”, “radici radical-repubblicane”, intolleranza , assume le tinte del populismo. Il sindaco García, ispanico, diventa l’“altro”, il bersaglio del rancore, del sospetto, della rivendicazione etnica e razziale. 
In questo  scontro politico-sociale che sembra scorrere sempre sul filo del rasoio che fa da confine tra il populismo becero e la violenza silente, Aster pare voler mettere in scena la summa,  se non la parodia, di tutte le follie americane che si sono accumulate dal 2020 in avanti: pandemia , protesta per la morte di GeorgeFloyd , elezioni presidenziali , cultura delle armi , teorie del complotto , trumpismo etc.
In tal modo il film non è solo un western, ma una satira amara dell’“America spaccata”, che utilizza il genere per smascherare macro-temi: la paura, il tribalismo, l’impossibilità di mediazione, la perdita di senso civico.



Come nelle opere precedenti di Aster, la violenza ,spesso disturbante e grottesca , non è solo mezzo spettacolare ma corpo emotivo del racconto. In Eddington essa assume dimensioni comunitarie: non è solo trauma individuale, è esplosione collettiva. 
Si assiste alla disgregazione di una cittadina che diventa microcosmo di un Paese in crisi. Le teorie del complotto, i culti pseudo-religiosi, le armi, la setta guidata da Vernon Jefferson Peak (interpretato da Austin Butler) si sovrappongono ai conflitti razziali e politici, creando un magma in cui la coesione sociale va in pezzi. 
Accanto alla dimensione pubblica e politica, Aster intreccia temi classici del suo cinema: la colpa, il trauma, la memoria che ritorna. La moglie del protagonista, Louise (EmmaStone), fragile, vittima di abusi e sedotta da una setta, rappresenta la presenza ingombrante del passato personale che si inscrive nell’epoca del caos collettivo. L'individuo non è estraneo alla tempesta esterna: partecipa, è travolto, e a volte la provoca.
Nel panorama della sua filmografia, Eddington rappresenta un passo differente; nei precedenti lavori — Hereditary e Midsommar — Aster operava all’interno dell’horror rituale, con ambienti isolati, cerimonie ataviche, orrori introspettivi. In Beau is Afraid  ha già tentato un ampliamento verso la satira, la commedia nera e la disperazione esistenziale; ora, con Eddington, passa a un genere più “mainstream”  come il western ma lo utilizza in modo ironico, destabilizzante, sottilmente politico.
L’impianto narrativo è dunque più ampio, più corale, meno “microcosmico”. L’azione si svolge in un ambiente urbano-frontiera (piccola città del Nuovo Messico), piuttosto che in una comunità chiusa o in un villaggio isolato. Il tempo è storico (maggio 2020), non atemporale. L’orizzonte è nazionale, non solo familiare o mitico. Questo cambio di scala comporta opportunità — nuove problematiche, un racconto più ambizioso — ma anche rischi: il dover gestire molti personaggi, molti filoni tematici, molte caricature sociali.
Dal punto di vista visivo, la scelta del formato widescreen  e l’ambientazione nel deserto evocano il western classico, ma l’estetica si carica di surreale e grottesco, come da cifra Asteriana. 
Sicuramente la volontà di Aster di affrontare un’America contemporanea in crisi ­— complottismo, pandemia, polarizzazione politica, proteste razziali — è coraggiosa e rilevante e Eddington si configura come una sorta di mappa mentale, visiva e narrativa, di quegli anni tumultuosi , un autentico  sguardo lucido sulla decomposizione americana, come è stato definito ed interpretato da molte parti, e rimane tirando le somme sul giudizio critico del film l’aspetto certamente più valido e meglio riuscito della pellicola cui va ad affiancarsi la  performance attoriale : Phoenix, Pascal e Stone contribuiscono a dare corpo a personaggi riuscendo a non oltrepassare quella sottile linea che ne avrebbe fatto delle semplici e banali caricature.
Anche  la contaminazione di generi funziona nei momenti in cui Aster gestisce bene ritmo, tensione e accumulo, molto meno quando con l’evento deflagrante che fa esplodere il tessuto filmico fin lì costruito ci si ritrova nella violenza splatterosa che si muove tra i fratelli Coen e Tarantino senza però le sfumature ironiche e surreali di quest’ultimi.
Viceversa l’opera di Ari Aster presenta  anche numerosi aspetti che convincono poco o nulla, in primis la sovrabbondanza di elementi tematici che vanno a creare un corpo narrativo difficile da gestire che porta inevitabilmente alla dispersione , il tutto esacerbato da un repentino cambiamento di genere e di atmosfere, come già detto, che fa scivolare il film in un incedere caotico che sembra sfuggire di mano più di una volta al regista, fino al finale che se può apparire potente è invece piuttosto debole di fronte alla messe di tematiche gettate in campo dal regista al punto che il peso della riflessione politica e sociale rischia di diventare didascalico: il messaggio è forte, ma forse poco mediato e lascia qualche interrogativo su quale sia il reale significato 
Insomma è proprio nel terzo atto e nel finale che Eddington mostra la sua ambizione più rischiosa  e allo stesso tempo il suo punto più debole. 
Nel costruire la prima parte con tensione, accumulo, crescendo drammatico, Aster controlla elementi e anticipa un’esplosione narrativa: si percepisce che prima o poi “scoppierà” qualcosa di grosso. E infatti lo fa. Ma nel farlo, tutto diventa rapidissimo : la violenza esplode, la coesione narrativa si frammenta, e alcune relazioni tematiche rimangono in sospeso.
Questo non è necessariamente un difetto assoluto anzi, in parte è coerente con l’idea del caos sociale, dell’ordine che cede il passo all’anarchia. Ma dal punto di vista della costruzione filmica, porta a una sensazione di eccesso: una “pletora” di tematiche e simboli che, nella fretta dell’esplosione, non trovano sempre una ricomposizione piena.
In definitiva, Eddington è un film che va visto e discusso. Non è perfetto, ma è importante. Ari Aster con questa opera mette in campo un’idea audace: utilizzare il western (genere che rappresenta in America l’identità-frontiera) come specchio per riflettere una nazione che non riconosce più se stessa e che ha perso la bussola.
Il film ha momenti di grande potenza visiva e tematica, e riesce a scalfire lo spettatore con la sua visione di un’America allo sbando. Allo stesso tempo, l’ampiezza del progetto è tale che lascia alcuni segni di stanchezza strutturale: troppe voci, troppi rivoli, un finale in cui la coesione narrativa vacilla.
Se dovessimo associarlo a una valutazione finale, lo considereremmo un film «imperfetto ma memorabile»: uno di quelli che pur con le sue cadute rimane nella mente, non semplicemente come intrattenimento, ma come specchio inquietante di un tempo che stiamo vivendo. Per gli amanti di Aster è una tappa essenziale, perché segna una trasformazione significativa del suo cinema ma al tempo stesso lascia più di un dubbio e una bocca piuttosto amara; per chi invece cercasse un film più “curato” nella struttura narrativa o comunque non fosse particolarmente dentro la concezione cinematografica del regista Eddington va considerato con cautela e potrebbe produrre una profonda delusione.

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