Giudizio: 9/10
Il destino del fantasma
Film ormai divenuto pietra miliare nel cinema di Hong Kong , mitizzato anche in Occidente, punto di partenza di svariati remake e rielaborazioni (anche con lavori di animazione), ebbe persino la ribalta della kermesse veneziana ormai quasi 25 anni orsono, liberamente tratto da una novella cinese del XVII secolo, A chinese ghost story è pellicola che sa amalgamare come poche il gusto per la tradizione che si fonda sulle infinite leggende cinesi e la forza visiva sorretta da un rutilante impianto cinematografico dietro cui si sente fortissima l'ispirazione di Tsui Hark , anche qui in veste di produttore.
Storia semplicissima , quasi assente: il giovane Ning giunge in un villaggio nelle vesti di esattore, non trovando alloggio trova riparo presso un tempio, dove ben presto si sveleranno tutta una serie di personaggi che altro non sono che fantasmi, al suo fianco un monaco taoista che sarà il suo protettore , insieme alla bella Xiaoqian, corpo da fanciulla candida abitato da un fantasma costretto a nutrire il demone sovrano procacciando vite umane.
I fantasmi come proiezione dell'uomo racchiuso nella stretta gabbia in cui il destino lo ha racchiuso, incapace di liberarsi e di tornare ad una nuova vita.
Il film sorretto da un tono da commedia con venature melò, si arricchisce del genere wuxia, ma soprattutto si appalesa come un grande fantasy, sostenuto da una fantasia e da una forza di immaginazione che colpiscono per la loro bellezza e linearità.
E' ancora una volta il cinema che si fa tramite dell'immaginazione sfrenata, che racconta leggende popolate da personaggi immaginari e straordinari, un cinema che guarda con l'occhio trasognato e sbalordito la potenza della fantasia senza briglie, che sa offrire anche nei momenti melodrammatici un aspetto quasi fiabesco, alternandolo col tono brillante, col ritmo, con la forza di dialoghi incalzanti.
I fantasmi sono per il cinema cinese (ed orientale in genere) quello che i personaggi mitologici classici sono per il cinema occidentale: veicolano quelli che sono desideri, rimorsi, paure e aspettative dell'uomo, e in questo lavoro Ching gioca con essi, dimostrando come anche loro vivono di sentimenti: la storia d'amore tra Ning e Xiaoqian è il paradigma di questo concetto.
Non sfugge assolutamente la lunga mano ispiratrice di Tsui Hark, reduce nei due anni precedenti dall'aver diretto Peking Opera Blues e Shanghai Blues, a tutt'oggi due tra i capolavori del regista, soprattutto nella sfrenata visualizzazione della fantasia e nell'ancorare il film alle tradizioni del wuxia e delle leggende della Cina; da parte sua il regista mette in piedi una rappresentazione che sfiora spesso l'eccesso, senza però mai cadere in forzature , o peggio nel cattivo gusto, e anche quando la schifosissima quanto smisurata lingua che il demone usa come arma produce litri di liquido , o quando vari altri secreti organici spruzzano liberamente sullo schermo, non si ha mai l'impressione di assistere ad una caduta di stile o ad un compiacimento per l'eccesso.
Come protagonisti troviamo il grande Leslie Cheung (mai troppo rimpianto), al terzo lavoro nel magico 1987, uno più bello dell'altro e una giovanissima Joey Wong che con questo film ottenne la sua prima consacrazione.
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