Stavolta Sorrentino stecca
Va in America Paolo Sorrentino per il suo ultimo film e la sua prepotente parabola di qualità subisce una brusca frenata.
Vero che la rockstar in rottamazione protagonista del film somiglia molto come stereotipo ai personaggi atipici che popolano il cinema del regista (usurai viscidi, cassieri della mafia eroinomani e sociopatici, il politico per eccellenza , il Divo Giulio), ma tutta la storia che ruota intorno a lui zoppica pesantemente, accellera confusamente e frena repentinamente, si perde in divagazioni tenute assieme da una buona capacità di regia e dalla figura del personaggio protagonista, ma alla fine, lascia poco e niente.
Ma nonostante questo e nonostante la prova istrionescamente buona di Sean Penn, il personaggio stesso disegna più spesso ombre che luci al punto che tutto ciò che ruota intorno a lui si perde in mille rivoli, taluni dei quali francamente poco comprensibili.
Nella prima parte del film è la figura quasi grottesca di Cheyenne, parodia di se stesso, rockstar sull'orlo di un baratro esistenziale combattuto tra depressione e poco credibili sensi di colpa, che vaga all'interno della storia tra una casa algida, una piscina sempre vuota, il fedele carrello per la spesa sempre dietro, il soffio per spostare i capelli che scendono sugli occhi, un ruolo da iniziatore alla vita (o di ruffiano) per la giovane amica, un vago senso di morte ( con relative riflessioni filosofiche) che gli aleggia intorno; un girovagare senza quasi costrutto, tutto molto poco definito al punto da risultare anche abbastanza noioso.
Sembra trovare la meta nel momento in cui, imboccando un binario vagamente Wendersiano, il film inizia a presentare pretese da road movie con Cheyenne che torna a casa in America per la morte del padre da cui non ha rapporti da molti anni.
E' un tuffo in un tentativo di analisi famigliare di un rapporto mai sviluppato che Cheyenne cerca di rivitalizzare mettendosi sulle tracce del carnefice del padre ai tempi dei campi di concentramento in Germania, di cui inizia a seguire le tracce basandosi su un diario e vagando tra posti sperduti del Michigan del New Mexico e dell'Utah, a bordo di un pick up affidatogli da uno strambo ma efficacissimo personaggio , questo sì in stile Sorrentino, in una atmosfera falsamente Coeniana.
Ma anche il road movie regge poco, a parte il colpo di coda del finale, in cui qualche pennellata indubbiamente bella si perde in un racconto che si appiattisce troppo.
Regia che senz'altro regala buone immagini che però stavolta restano solo negli occhi e colpiscono poco o niente , inserti belli ma assolutamente fuori dal contesto (vedi la comparsata di David Byrne), interpretazione di Sean Penn buona e sopra le righe ma che non riesce a coprire la debolezza del personaggio, troppo simile ad una macchietta; forse l'immagine più bella del film è quella della struttura vetri e acciaio del Lansdowne Road Stadium che si staglia dietro le case di Dublino.
addirittura solo una stellina??
RispondiEliminaInsomma, sono d'accordo però 1 forse è un po' eccessivo come voto. Detto questo ci aspettavamo tutti tantissimo da questo binomio Sorrentino/Penn e siamo stati leggermente o pesantemente delusi.
RispondiEliminaEh sì Marco, perchè va bene Penn mascherato e bravo , va bene la buona regia, va benissimo la musica e la comparsata di Byrne, ma alla fine ti ritrovi con un pugno di sabbia sbriciolata in mano.
RispondiElimina@Alessandra: esatto, è come quando a scuola ad uno bravissimo si diceva: "Potevi fare molto di più", da Sorrentino ti aspetti qualcosa di più di una pittoresca messinscena ad uso e consumo di un bravo attore.
Ammazza, che critica spietata! XD
RispondiEliminaBoh, sarà che non ho fiducia nel cinema italiano, sarà che non conoscevo sorrentino prima di questo film, ma io l'ho apprezzato moltissimo...
Beh il Sorrentino prima di questo è un regista coi fiocchi che ha sfornato lavori veramente degni di nota; ma questo è davvero poca cosa, a ciò aggiungi la delusione per l'aspettativa tradita ed ecco che si spiega il giudizio complessivo :)
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