martedì 22 novembre 2011

Lost in Beijing ( Li Yu , 2007 )

Giudizio: 7/10
Persi in una Pechino glaciale

Il terzo film di Li Yu, che recentemente ha diretto Buddha Mountain , uno tra i lavori più validi dell'ultimo anno in Cina, è uno di quei film che nascono con lo stampo del film che farà discutere: all'epoca della sua uscita esistevano almeno due versioni, una delle quali addomesticata; ciò non ha impedito però, dopo solo un anno dalla sua uscita, di far finire il lavoro della regista cinese tra i film censurati, creando quell'alone di interesse quasi morboso che va probabilmente ben oltre il reale valore dell'opera.
Indubbiamente le scene di sesso, mai gratuite occorre dire, e certi accenni al sottobosco della corruzione della società cinese non potevano non attirare l'attenzione su Lost in Beijing.
Le tematiche trattate hanno trovato , soprattutto grazie ad un regia in alcuni momenti quasi ridondante, il giusto habitat in una città come Pechino che viene descritta da Li Yu in una maniera molto asettica, dilatata, impersonale, quasi fredda, al punto di far assurgere in svariati frangenti proprio gli scorci della capitale cinese ad assoluti protagonisti della pellicola.

Giunti a Pechino da poco Pingguo ed An Kun, formano una giovane coppia trasferitasi in città per fare fortuna; vivono in una catapecchia e svolgono come lavoro il lavavetri di palazzi lui e la massaggiatrice lei in un locale ambiguo gestito da un tipo dedito al gioco e alle donne facili.
Un episodio a metà strada tra l'incidente e l'equivoco porta Pingguo ubriaca a cadere tra le braccia del suo capo donnaiolo e ad essere scoperta dal marito mentre lava il vetro delle finestre.
Quando la donna scopre di essere incinta, i due giovani cercheranno di mettere a profitto la situazione ricattando , ognuno per conto suo, il puttaniere, il quale , da parte sua non vede l'ora di diventare padre, visto che sua moglie è sterile e non può dargli la prole; il patto viene stilato, il neonato di fatto venduto, ma quando la coscienza comincia a riemergere dalle nebbie pechinesi, probabilmente è troppo tardi per poter salvare la situazione.
Il nucleo del film sta proprio nell'effetto destruente che il lattante porta con sè e che riversa sui componenti di due coppie così diverse ma accomunate nella delusione: i due aspiranti padri intraprendono una guerra sotterranea per affermare la loro paternità, la madre vera vive il suo ruolo con passività e con crescente abbandono, la madre finta , da parte sua, non riesce a non vedere il volto da donnaiolo che si nasconde dietro quello del marito.
Una profonda competizione  fatta di gelosie, intrighi, cattiverie reciproche e invidie tiene in piedi tutto il film, con sullo sfondo , inquietante , una città nella quale sembra che tutto sia possibile, immerso nello sfarzo e nella modernità apparente, dove si compra e si vende tutto, compresi affetti e prole.
Li Yu accentua molto i tratti descrittivi della città , con immagini che spesso sembrano girate da sopra un ottovolante, zigzagando tra una gru e l'altra , percorrendo le immense vie trafficate con appena uno squarcio sulla Pechino da cartolina nella quale si staglia perfino il ritratto di Mao sulla Piazza Tienanmen. 
Questo taglio molto impersonale che da come risultato una città algida, grigia, anonima, desolata nelle sue dimensioni da pachiderma è senz'altro uno degli aspetti più validi del film, che d'altra parte tende in qualche frangente a perdersi un po' per strada, indeciso se braccare da vicino le peripezie dei protagonisti o immergersi in una riflessione sul neomaterialismo cinese.
Contribuisce sicuramente alla buona riuscita del film la bravura dei quattro attori protagonisti ( Fan Bing Bing , Tony Leung Ka Fai, Tong Dawei e Jin Elaine) che regalano eccellenti interpretazioni.

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