Con i premi assegnati ieri sera si è concluso il 6° Festival del Cinema di Roma.
Lungi dal voler stilare i soliti aridi bollettini su giudizi critici riguardo ai lavori presentati voglio qui riportare solo alcune impressioni sulla kermesse cinematografica, focalizzando alcuni punti e alcuni momenti che maggiormente mi hanno interessato.
Giudizio complessivo: difficile da esprimere; sarà perchè di festival ancora giovane si tratta, sarà perchè non è ancora chiaro cosa voglia offrire, ma questo Festival risulta un po' troppo senza anima; nato come Festa del Cinema sembra voglia trasformarsi in un evento festivaliero a tutti gli effetti, sulla scia dei grandi eventi cinematografici (Venezia, Cannes, Berlino, solo per citarne alcuni) , senza però avere una visione di insieme del cinema che tali eventi necessitano. L'avere relegato ad esempio il cinema asiatico a tre sole opere nell'arco di tutte le rassegne è scelta scellerata, essendo tale cinematografia e tale industria sicuramente la più viva e la più dinamica di questi anni, per di più presentando lavori che già da mesi hanno visto la luce e già disponibili nel mercato dell'Home Video.
Il fastidioso nazionalismo per il quale si vogliono infarcire le rassegne con una pletora di lavori italiani poi è assolutamente fuori luogo, a meno che non si decida di trasformare il Festival in un traino per il cinema italiano.
Dal prossimo anno, pare, qualcosa cambierà a livello di direzione, vedremo quale strada si deciderà di intraprendere.
Nulla da eccepire sulla organizzazione che si è dimostrata puntuale e valida, anche se con qualche piccolo ritardo negli orari.
I momenti da ricordare: sicuramente almeno due film, Un cuento chino e Love for life, lavori belli , il primo dei quali non avrà difficoltà a raggiungere il successo nelle sale, dove andrebbe proiettato con la didascalia: "Ecco come si fa una commedia brillante in maniera intelligente, prendete esempio voi eredi della Commedia all'Italiana".
Il red carpet di Wim Wenders, affabile e disponibilissimo, nonostante la sua fama di personaggio schivo.
La magnifica Zhang Zihy, colpevolmente trascurata a livello di premi
Michelle Yeoh , protagonista del film d'apertura
I luoghi del Festival: il parco della Musica è struttura che fa invidia anche alle città più evolute, oltre ad essere una delle pochissime opere degne di nota realizzate a Roma negli ultimi quaranta anni; le sale sono confortevolissime e il villaggio tutto offre una buona accoglienza.
I momenti da dimenticare: la consueta sfilata di pagliacci, esibizionisti, infiltrati e personaggi vari che non sanno neppure come si scrive Cinema, ma questo purtroppo è un vecchio difetto.
Noomi Rapace che è brava sicuro, ma che non si capisce dove basi i suoi atteggiamenti da personaggio consolidato dello star system, visto che ha fatto tre film uno peggio dell'altro (la mefitica trilogia ) e che quello presentato a Roma, per cui è stata anche premiata, non è che si sia un capolavoro, anzi; per non parlare dell'atteggiamento avuto, in combutta con tutta la delegazione di Babycall, alla proiezione del film, dove passati quindici (leggasi quindici) secondi dall'inizio se la sono svignata dalla sala per ricomparire tre minuti prima della fine.
Cosa c'entrino con un Festival del Cinema, documentari (si fa per dire...) come quelli sul calciatore Di Bartolomei o sullo spacciatore pregiudicato ( o geometra , come preferite) Cucchi morto in circostanze poco chiare rimane un mistero glorioso, ma in un mare magnum dove tutto è ammesso a livello cinematografico c'è poco da stupirsi.
E per finire una considerazione banale ma che fotografa un aspetto di costume e culturale: l'enorme divario tra la disponibilità e la mancanza di atteggiamenti divistici tra i rappresentanti della cinematografia orientale e quelli occidentali (escludendo il divo Richard Gere); pronti a farsi fotografare con il pubblico e al dialogo i primi, molto più a distanza i secondi, quasi a temere il contatto. Credo sia una semplice conseguenza del modo di intendere il cinema e il ruolo di personaggio pubblico che trae origine da profonde differenze culturali.
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