La donna che volle farsi Imperatore
Wu Zetian è uno dei personaggi storici cinesi più noti e più rappresentati: prima ed unica imperatrice della millenaria storia dell'impero ha attirato su di sè le ovvie attenzioni non solo degli storici, ma anche del mondo cinematografico che le ha dedicato un numero di film e di serie televisive infinito.
Nel 1963, il regista cinese Li HanHsiang, noto soprattutto per le sue produzioni cinematografiche storiche, prodotto dalla leggendaria Shaw Brothers che ha scritto la storia del cinema HKese prevalentemente sulle arti marziali, ha diretto questo lavoro biografico sulla famosa imperatrice cui, è bene dirlo, la storiografia ufficiale non ha certo lesinato giudizi sprezzanti e negativi; solo negli ultimi decenni un'accenno di revisione storica ha cercato di mettere a fuoco in maniera più obiettiva il lungo dominio di Wu Zetian nell'ambito della Dinastia Tang prima, e della breve dinastia Zhou di cui lei stessa si designò fondatrice, usurpando di fatto il potere dalle mani dell'imperatore e dei suoi figli.
Quello che in effetti fu un periodo storico turbolento viene raccontato nel film sempre in relazione alla figura della donna, che pur di nascita non aristocratica entrò a corte come concubina a 13 anni per uscirne da morta ad oltre 80 anni, regnando incontrastata per 14 anni coperta di un'aura di sacralità che lei stessa alimentò, soprattutto riguardo all'interpretazione di un Sutra buddhista che parlava di una madre misericordiosa che avrebbe regnato sul mondo.
Il film racconta con una certa attendibilità storica gli eventi che portarono Wu a fondare la dinastia Zhou (rivendicando addirittura una discendenza con l'antica e omonima dinastia), si addentra nelle trame di corte, descrive come una ex concubina ripudiata e racchiusa in un monastero alla morte del marito in quanto incapace di donargli eredi, venga riammessa a corte nel quadro di un intrigo dal quale sarà però solo lei ad uscire vincitrice; ma soprattutto delinea i contorni di una donna combattuta e divisa tra ambizione smodata, sete di potere , amore filiale e uno strisciante senso di inappropriatezza alimentato dal forte risentimento dei cortigiani e della famiglia stessa.
Adeguandosi al classico stile Shaw Brothers che tende ad enfatizzare la recitazione e gli eventi, Li HanHsiang riesce con una certa efficacia a rendere un ritratto della imperatrice che appare credibile soprattutto nell'ambito della propria contraddittorietà che ha alimentato per secoli storie di cupidigia , si smodata ferocia ( è accusata di avere ucciso più di un figlio) e di dissolutezza fin quasi all'incesto, ma che ha riconosciuto anche il grande ruolo avuto nella penetrazione del buddhismo nell'impero e nella razionalizzazione dell'accesso alle cariche pubbliche incentivando la pratica degli esami imperiali.
Insomma alla fine il risultato è quello più interessante in film di tenore storico: stuzzicare l'interesse per un personaggio che fra storia e leggenda, mito e realtà induce una forte curiosità biografica anche in relazione al fatto di essere una di quelle "eroine" di cui la Storia millenaria della Cina non possiede così tanti esempi.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.