Giudizio: 6/10
Il killer che vuole tagliare col passato
Ji Yeong-do è il classico colletto bianco di una delle tante aziende rampanti della Corea lanciata verso il benessere e la potenza economica: la camicia sempre bianca immacolata, il vestito e la cravatta neri, le scarpe lucide, la sede di lavoro in uno dei tanti grattacieli; dietro la facciata però, in sotterranei bui e squallidi si nasconde il vero volto della compagnia: una associazione di killer professionisti prezzolati al soldo di chi vuole fare fuori qualcuno in maniera perfetta.
Ji è fra i più apprezzati nel suo lavoro, si merita promozioni a valanga e la stima dei suoi superiori, fino a quando qualcosa si incrina nella sua granitica (apparentemente) personalità: nelle crepe della freddezza si insinua una sorta di umanità e di pietà ritrovate che, unite alla scoperta del suo lato sentimentale che lascia affiorare un passato nostalgico, lo portano alla decisione di volere abbandonare il lavoro e affacciarsi ad una vita "normale".
Il tema del killer in crisi di identità e morale è tra i più sfruttati nel genere dell'action movie e ci ha regalato anche lavori da antologia: A Company man, film d'esordio di Im Sang-yoon, è perfettamente in linea con i canoni del genere.
Per larga parte la storia si fonda su atmosfere e ambientazioni tutt'altro che da action movie, semmai cerca di indagare nelle pieghe di una società come quella coreana ossessionata dalla competitività e dalla ricerca di un buon posto di lavoro che porti soldi a tutti i costi; "tutti dobbiamo mangiare e portare i soldi a casa" si sente dire spesso nel film quasi che la battaglia che Ji intraprende contro la compagnia che non ammette fuoriuscite volontarie, sia una sorta di attentato ad una stabilità economica priva di ogni morale.
Come detto, esclusi gli ultimi 20 minuti, il film non fa ricorso all'azione per mantenersi in linea di galleggiamento; questo però costituisce il grosso limite della pellicola nel momento in cui in luogo dell'azione e del ritmo non trova spazio in maniera organica lo studio psicologico e introspettivo dei personaggi, ove se ne escludano un paio di contorno.
Cosi' la figura di Ji rimane impressa soprattutto per quel suo parlare (poco) e per monosillabi e per la sua imperturbabile faccia scolpita nella roccia anche quando dismette camicia bianca e vestito nero ed indossa il cappellino da baseball, essendo colpevolmente priva di un indagine interiore più approfondita che avrebbe giovato alle atmosfere e al racconto.
Nel complesso comunque A Company Man si lascia vedere e la regia di Im Song-yoon è discreta riuscendo comunque a mantenere l'attenzione anche laddove la storia segna il passo.
Il divo televisivo So Ji-sub, già visto in Rough Cut, avrebbe anche la faccia giusta per ben reggere il ruolo, peccato per la scelta di trasformarlo in una specie di totem (poco)parlante asettico e privo di slanci.
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