Giudizio: 7/10
Messe da parte le ridanciane e grottesche atmosfere del poco riuscito Vulgaria, Pang Ho-Cheung si cimenta in un lavoro che da più parti viene definito come un film "maturo"; in effetti Aberdeen ha ben poco a che vedere con i precedenti lavori del regista HKese, sia quelli diretti nella prima parte della sua carriera (i migliori) che quelli della seconda parte, alcuni dei quali decisamente poco convincenti; quello che fa di Aberdeen un film diverso, in cui comunque la mano del regista si riconosce, è la sua compostezza e serietà, molto spesso circondata da uno strano alone da commedia sofisticata.
A detta dello stesso regista Aberdeen vuole essere quello che realmente appare a noi spettatori: un film sulla famiglia che nasce da riflessioni personali dello stesso Pang, quasi un desiderio intimo di fare luce su una entità con cui, sempre a suo dire, si è spesso trovato in conflitto.
Il racconto ruota intorno ad una famiglia della media borghesia HKese: il capo famiglia è un prete taoista che celebra riti per aiutare le anime a trovare la strada del ritorno a casa e che , molto più laicamente, frequenta una escort da night club dopo che la moglie è morta ormai da dieci anni; Tao è il figlio maggiore, un tutor che insegna e predica l'importanza dell'aspetto fisico nell'ambito del lavoro, la moglie , ovviamente, è una attrice e modella, ormai un po' ai margini visto che l'età inesorabilmente avanza, il fato ha voluto che la loro figlioletta Chloe non è quella che si suol definire una bella bambina; Ching è l'altra figlia perennemente tormentata e convinta che la madre non l'amasse al punto, assurdamente, da rimandarle indietro i tradizionali soldi di carta che si bruciano nelle cerimonie commemorative dei defunti, il marito Yu è un medico che se la spassa con la su infermiera nonostante il notevole divario di età.
Una famiglia come tante quindi, al cui interno però si celano piccoli e grandi misteri: antiche colpe, segreti non confessati, tensioni striscianti, dubbi non risolti che si rigenerano dal passato rendono difficile l'armonia del nucleo famigliare.
Nello sviluppo di questi nodi e nelle diverse prospettive con cui vengono visti si basa la struttura del racconto e nonostante una certa ovvietà e un superficiale finale, l'impalcatura funziona.
All'interno però, e qui sta il tocco di Pang, la storia di una bomba della Seconda Guerra Mondiale ritrovata in piena città, una balena arenata sulla spiaggia, sogni che si svolgono in una surreale e artificiale Hong Kong in miniatura in cui i personaggi si muovono e in cui c'è perfino spazio per una salamandra diventata Godzilla: questo è il tipico surrealismo di Pang fin dai tempi di Exodus.
Ma anche Hong Kong ci è mostrata sotto una luce molto diversa: post moderna, estraniante, quasi deserta, ricca di un fascino freddo che mal si sposa con il vero volto della città, fotografata in maniera egregia da Jason Kwan, quasi uno scenario per una riflessione sulla famiglia e sulle sue dinamiche, ma anche, sparsi qua e là, sull'ossessione per l'aspetto esteriore, l'infedeltà, le fragilità personali.
Nel complesso Aberdeen è un buon film che stupisce proprio per il brusco cambio di rotta che Pang sembra avere impresso al suo consueto percorso artistico: manca il sarcasmo e la cattiveria dei primi film, manca il gusto per i toni da pura commedia cui ci aveva abituato ultimamente, ma le atmosfere surreali e un certo sguardo beffardamente divertito ci sono tutti.
Il cast di livello, almeno nei nomi, si conferma tale anche nei fatti: tra tutti Gigi Leung e Miriam Yeung regalano le prove più convincenti, in un film in cui Pang sembra strizzare molto l'occhio all'universo femminile
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