Giudizio: 4/10
Una cosa è certa, Hiroki Ryuichi non dice bugie: in Crying 100 Times si piange e basta.
Piange Fuji il protagonista che dopo un incidente di moto presenta una amnesia retrograda e non riconosce più la fidanzata; piange Yoshimi che oltre ad avere perso il fidanzato ha il cancro, piangono i personaggi di contorno, piange persino il cagnetto di Fuji che sente la mancanza del padrone; poi, siccome l'amore è sì cieco ma qualche volta ci vede benissimo, i due si rincontrano dopo quattro anni e naturalmente si re-innamorano, continuando però a piangere perchè il cancro di lei è ormai giunto al capolinea mentre lui scopre piano piano quanto gli è stato tenuto nascosto dalla sua condizione di smemorato e dalle bugie sia di lei che dei suoi sodali.
Naturalmente tutto finisce in un pianto congiunto e irrefrenabile quando lei vuole vedere il mare per l'ultima volta ( siamo pienamente dalle parti del famigerato L'Ultima Neve di Primavera ) , si promettono amore eterno quando tutto ormai è chiaro a tutti senza bugie nè sotterfugi con tanto di matrimonio hawaiano e di speranza di vedere l'arcobaleno lunare, si tengono la mano fino a che la giovane spira nel più cinematografico e dozzinale modo possibile.
E naturalmente piange ancora lui sulle spiagge hawaiane dove decide di andare per affondare definitivamente se stesso nel baratro della disperazione; neppure l'arcobaleno lunare che per magia si appaleserà lenirà il suo pianto.
Film convenzionale, privo di qualsiasi tipo di profondità , infarcito di luoghi comuni , compresa la musichetta strappalacrime che accompagna i momenti più tragici, Crying 100 Times è film deludentissimo: non c'è un guizzo, non c'è tratteggio dei personaggi, a parte le lacrime sempre pronte a sgorgare, verrebbe da dire che è quasi una messa in scena talmente eccessiva da apparire totalmente falsa dal punto di vista narrativo.
Si salva, forse, solo qualche colpo di coda di regia che riesce a inquadrare bene alcune scene e alcune situazioni di contorno.
Dove sia finito il regista di Vibrator e di It's only Talk è uno dei tanti misteri che il magico e arcano mondo cinematografico ogni tanto ci mette davanti; un regista che sapeva essere penetrante, pregno di idee e di vero sentimento che sapevano regalare emozioni sembra scomparso da anni, tra lavori appena decenti, quando va bene, ed altri totalmente deludenti; vero che il tempo passa , ma il talento non è cosa che si sbiadisce col tempo.
Non c'è quasi nulla che funzioni in questo lavoro: esplorare in questo modo così ovvio il tema dell'amore perso e ritrovato, minato però sin dall'inizio dalla malattia e dalle bugie, porta inevitabilmente a risultati che possono piacere solo a chi considera il cinema sorgente di lacrime gratuite che non siano risultato di un melodramma ipertrofico, bensì completamente gratuite, come a seguire uno scopo ben preciso e basta.
Con molto dispiacere anche Hiroki rischia di finire in quella lista di registi il cui credito è vicino all'esaurimento.
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