Giudizio: 8/10
Andrey e Ivan sono due fratelli adolescenti che vivono nel selvaggio nord della Russia con la madre e la nonna che si prendono cura di loro; improvvisamente un giorno ricompare il padre , assente da 12 anni, che loro conoscono solo attraverso delle sbiadite fotografie.
La tempesta emotiva che si abbatte sui due ragazzi è poderosa: chi è quell'uomo che non conoscono? da dove torna? Con quale autorità sin da subito impone le sue regole? L'uomo da parte sua decide di trascorrere qualche giorno con i figli in un breve viaggio in un luogo dalle tinte magiche: un isolotto disabitato in mezzo ad uno dei tanti immensi laghi che costellano la zona di confine tra Russia e Finlandia.
I due ragazzini reagiscono alla presenza paterna con un ventaglio di emozioni che vanno dall'odio e la rabbia alla adorazione: il più grande è affascinato , il piccolo invece prova una avversione profonda per questo intruso che pretende di imporre regole con durezza e spesso con violenza.
I pochi giorni trascorsi insieme ( la storia si snoda su un arco temporale di una settimana) saranno una continua e drammatica prova per i due ragazzi in un succedersi di eventi che danno tinte da tragedia greca al racconto.
Esordio folgorante alla regia per il regista russo Andrey Zvyagintsev con il quale ottiene il Leone d'Oro a Venezia nel 2003, The Return è opera dai contorni ciclopici, nella quale si respira fortissimo lo spirito eroico e drammatico che sconfina nel mitologico di chiaro stampo russo: la settimana di Ivan e Andrey con quell'uomo che si professa padre è un percorso di formazione alla vita tumultuoso e inarrestabile nel quale tutto quello che una esistenza può riservare viene concentrato e compresso.
Non è solo il rapporto padre-figli ad essere indagato, c'è anche il cinismo della vita ed il fato che sferzano le giovani vite dei protagonisti; dall'altra parte invece c'è una figura paterna che sembra uscita da un romanzo di altri tempi nella sua durezza e nel suo mistero.
Se le figure dei due ragazzi sono ben tratteggiate anche nei loro contorni psicologici più sottili, quella del padre è ridotta ad un totem, una icona intorno alla quale si coagulano misteri: cosa ha fatto quell'uomo per 14 anni? E' stato in una delle tante guerre regionali che hanno caratterizzato la recente storia russa? E' un mercenario? O un gangster? E, inoltre, cose c'è su quell'isola meta del viaggio oltre a quella simbolica torre che si erge verso il cielo dalla quale si scruta l'infinito? Cosa contiene quella cassetta che l'uomo dissotterra? Dubbi e domande che non trovano risposte, che servono solo a creare un personaggio che sembra addirittura appartenere ad un altro mondo.
Un uomo che cerca forse faticosamente di fare il padre e di colmare un vuoto di troppi anni, due figli che forse solo sul finale si avvicinano alla figura paterna, quando ormai è troppo tardi; The Return vive su questo doppio binario di emozioni e di sentimenti personali descritti con grande rigore stilistico, privi di stratificazioni superficiali; film essenziale nella sua narrazione e nella sua costruzione, dove anche la spettacolosa natura in cui è calato atterrisce coi suoi grigiori e le sue tinte livide così come, allo stesso modo che troveremo in Leviathan, ultimo lavoro di Zvyagintsev, le rovine urbane e post industriali costellano il racconto con la loro presenza inquietante, alimentando quel senso di dolore diffuso che si insinua in ogni fotogramma.
Bellissimo. Ricordo bene l'anno della sua vittoria a Venezia dove strappò (meritatamente) il Leone d'Oro al nostro Marco Bellocchio, che andò su tutte le furie. La forza di questo film sta nel suo mistero e nella storia, allo stesso tempo semplice e 'universale', comprensibile a tutte le latitudini, concetto che il nostro cinema così provinciale e altezzoso fatica a capire...
RispondiEliminaNon ricordo l'episodio di Marco Bellocchio, ma non stento a credere visto come regaiscono ogni qual volta uno straniero vince il Leone d'Oro, da provinciali appunto...
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